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Giurisprudenza

Inopponibile all’Amministrazione la cessione di società personale senza pubblicità

16 Febbraio 2021

Luca Cicozzetti, Avvocato, Studio Legale Tributario EY

Cassazione Civile, Sez. VI, 10 settembre 2020, n. 18829 – Pres. Mocci, Rel. Capozzi

Di cosa si parla in questo articolo

La cessione della quota societaria da parte di un socio di società di persone, avvenuta per atto notarile non iscritto nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2290, comma 2, cod. civ., non è opponibile ai terzi; tale cessione, infatti, in assenza di pubblicità, non produce alcun effetto al di fuori dell’ambito societario.

Pertanto, la fuoriuscita dalla compagine sociale del socio, non adeguatamente pubblicizzata, non può essere fatta valere nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Il principio espresso dalla sentenza in oggetto, sembra dunque essere conforme alle precedenti pronunce della Corte di Cassazione in materia (Cass., nn. 1046/2015, 19797/2015).

Nel caso di specie, il contribuente proponeva ricorso avverso una cartella di pagamento attraverso cui l’Agenzia delle Entrate gli richiedeva il pagamento dell’IVA relativa all’anno 2012, dovuta dalla società in accomandita semplice, di cui lo stesso contribuente era socio accomandatario; per l’effetto quest’ultimo era ritenuto solidalmente responsabile per l’obbligazione sociale.

Nel corso del giudizio di primo grado l’Amministrazione finanziaria eccepiva la permanenza in capo al contribuente della qualifica di socio accomandatario della s.a.s., in quanto la cessione della quota societaria effettuata da questi, solo tramite atto notarile, doveva giudicarsi inopponibile ai creditori e non sufficiente ad escludere la responsabilità del contribuente per le obbligazioni sociali.

A seguito dell’accoglimento del ricorso del contribuente, l’Agenzia delle Entrate ricorreva infruttuosamente in appello.

Nello specifico, la Commissione Regionale sosteneva che l’Agenzia stessa avrebbe dovuto formulare una specifica censura circa l’inopponibilità della cessione della quota societaria da parte del contribuente, derivante da atto notarile, non iscritto nel registro delle imprese.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria presentava ricorso per Cassazione avverso la pronuncia del giudice di seconde cure, lamentando violazione falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. e 2990, comma secondo del c.c., ritenendo che non fosse necessario formulare, in sede di appello alcuna censura relativa all’inopponibilità della cessione della quota.

I giudici di Legittimità, con la pronuncia in commento, accoglievano il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, ribaltando la sentenza di appello, sulla base dell’analisi interpretativa che segue.

A parere della Suprema Corte, non è condivisibile quanto sostenuto dalla Commissione Regionale, dovendosi al contrario ritenere che l’Amministrazione finanziaria, nel richiamare i principi in tema di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, abbia fatto riferimento alla norma di diritto di cui all’art. 2290, comma 2, cod. civ.

Sulla base della disposizione in oggetto, lo scioglimento del rapporto sociale, limitatamente a un socio, deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza di adeguata pubblicità, il recesso non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità, come evocata nella pronuncia in analisi, è concorde nel ritenere che il recesso del socio di società di persone, di cui non sia stata data pubblicità mediante l’iscrizione nel registro delle imprese, non è opponibile ai terzi, non producendo i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario.

Di conseguenza, in presenza di un recesso posto in essere con atto notarile non iscritto nel registro delle imprese e dunque, non adeguatamente pubblicizzato, deve considerarsi ancora in essere il rapporto societario nei confronti dei terzi, tra i quali è da annoverare anche l’Amministrazione finanziaria.

Alla luce di quanto sopra esposto, lo scioglimento del rapporto sociale in questione non è idoneo ad escludere la legittimità della richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate al contribuente, di effettuare il pagamento dell’IVA dovuta dalla società in accomandita semplice, secondo la sua quota di partecipazione alla società medesima.

 

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