La vicenda che ha interessato la pronuncia in rubrica riguarda tra le altre una presunta violazione dell’art. 37-bis, D.p.r. n. 600/1973 e dei principi in materia di abuso del diritto.
Nella specie, l’Amministrazione finanziaria ha contestato ad una società di capitali l’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale a seguito della realizzazione di un complesso di atti tra i quali due rivalutazioni di partecipazioni sociali e una fusione per incorporazione.
L’indebito, sempre a detta dell’Amministrazione, sarebbe scaturito dalla concatenazione di tali atti che avrebbe di fatto permesso la rivalutazione del magazzino della società contribuente – per ovvie ragioni vietata dalle due Leggi di riferimento in materia, la n. 342/2000 e la n. 448/2001 – attraverso l’imputazione del disavanzo di fusione interamente al valore delle rimanenze iniziali dei lavori edili in corso di lavorazione. Conseguentemente, il vantaggio fiscale sarebbe quantificabile nella differenza tra la tassazione piena, ai fini dell’IRES e dell’IRAP, del maggior valore delle rimanenze e l’imposta sostitutiva effettivamente versata a seguito della rivalutazione delle anzidette partecipazioni.
Dal canto suo, la difesa del contribuente deduce la sussistenza di valide ragioni economiche a sostegno dell’operazione di fusione per incorporazione. In particolare, viene posto in evidenza come l’introduzione del D.Lgs. n. 344/2003, nell’abrogare il D.Lgs. n. 358/1997 – il quale è bene ricordarlo all’art. 6, co. 2 disponeva l’affrancamento gratuito delle differenze da fusione nel caso in cui fosse stata già versata un’imposta sostitutiva in occasione di una precedente rivalutazione dei beni d’impresa –, abbia indotto l’attuazione della fusione de qua entro il termine del 20 aprile 2004 perché si potesse evitare la perdita dell’imposta pagata in esito alle rivalutazioni in parola.
Esperiti i due gradi di merito, la Suprema Corte sancisce la definitiva infondatezza delle doglianze dell’Amministrazione.
Gli Ermellini hanno ripercorso l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia CE che proprio in merito ai concetti di elusione e abuso del diritto nelle operazioni di fusione[1] testualmente recitano: “[…] può costituire una valida ragione economica un’operazione di fusione fondata su più obiettivi, tra i quali possono anche figurare considerazioni di natura tributaria […]”, affermando inoltre che “[…] conformemente all’art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434, la constatazione che un’operazione di fusione è diretta esclusivamente ad ottenere un’agevolazione fiscale […] può costituire una presunzione che tale operazione ha come obiettivo principale […] la frode o l’evasione fiscale […]”[2].
Sulla scorta della giurisprudenza eurounitaria appena citata, i Giudici di Piazza Cavour hanno deposto in favore della società contribuente sostenendo che l’operazione in commento non sia stata eseguita né con l’obiettivo dell’evasione né tantomeno con quello della frode. La Corte illustra come quello ottenuto dalla società “[…] sia semplicemente un risparmio d’imposta che una normativa ad hoc introdotta successivamente al compimento di determinate operazioni (nella specie, di rivalutazione della partecipazione in società controllata) consente alla sola condizione che venga posta in essere proprio quell’operazione (di fusione) che l’amministrazione finanziaria assume avere carattere elusivo […]”.
I Supremi Giudici hanno allora escluso la sussistenza di un intento elusivo nel caso di cui si tratta poiché gli strumenti giuridici per il tramite dei quali si sarebbe dovuto perseguire il fine illecito non erano noti al soggetto agente al momento del verificarsi delle condizioni utili alla fruizione del beneficio fiscale eccepito.
[1] Cfr. sent. 17 luglio 1997, causa C-28/95, Leur-Bloem, sent. 5 luglio 2007, causa C-321/05, Kofoed, sent. 10 novembre 2011, causa c-126/10, Foggia-Sociedade Gestora de Participagoes Sociais SA.
[2] Cfr. Cass. civ. Sez. V, 15-11-2000, n. 14776, Cass. civ. Sez. V, 25-03-2003, n. 4317, Cass. civ. Sez. V, 06-09-2006, n. 19227, Cass. civ. Sez. V, 20-11-2006, n. 24623, Cass. civ. Sez. V, 20-07-2007, n. 16097.