Nella sentenza in esame il Tribunale di Roma afferma il principio secondo cui nell’ambito del fallimento di una Società a responsabilità limitata, il curatore è legittimato ad esperire l’azione di responsabilità per mala gestio nei confronti non solo degli amministratori, ma anche dei soci non amministratori i quali abbiano concorso alla commissione degli atti contestati.
Relativamente all’esperibilità dell’azione nei confronti degli organi sociali della società fallita, il Tribunale ritiene acquisito senza dubbio che il curatore possa esercitare, anche in via cumulativa, sia l’azione sociale che l’azione spettante ai creditori sociali. Per quanto riguarda invece la domanda risarcitoria nei confronti del socio non amministratore, la Corte ricorda come l’art. 2476, comma 7, c.c. estenda – per le sole Srl – la responsabilità solidale anche ai soci che si siano intromessi nella gestione della società, intenzionalmente decidendo o autorizzando atti dannosi.
In merito all’onus probandi, il Tribunale afferma come il soggetto agente in via risarcitoria sia chiamato ad allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale di cui chiede ristoro, nonché la riconducibilità della lesione al comportamento dell’amministratore (o del socio non amministratore). In difetto di tale ultima allegazione la domanda risarcitoria mancherebbe infatti di oggetto. Il favor per l’opzione ermeneutica fondata sul concetto di danno-conseguenza comporta pertanto che l’accertamento dell’inadempimento da parte degli amministratori o dei soci non amministratori costituisca presupposto necessario, ma non sufficiente, per affermare la responsabilità risarcitoria dei suddetti; sono infatti necessarie a tal fine altresì la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, e la diretta riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori (ovvero dei soci non amministratori) stessi.
Al termine di tale premessa espositiva, la Corte prende in esame le singole contestazioni riportate nel caso di specie, valutandone la configurabilità come atti di mala gestio. Il Tribunale ritiene non rilevanti ai fini risarcitori sia la mancata approvazione del bilancio sia il mancato deposito delle scritture contabili: ciò in quanto le mere irregolarità formali non sarebbero idonee a determinare danno per la società o per i creditori sociali (pur potendo tali irregolarità fungere da strumenti a mezzo dei quali nascondere condotte di mala gestio). In aggiunta, l’approvazione del bilancio non parrebbe idonea a costituire neppure condotta concorrente nella realizzazione di atti di mala gestio da parte dei soci non amministratori: ciò in quanto si tratterebbe appunto dell’approvazione di una mera “fotografia” della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società. Sicuramente fondati risultano invece il mancato rinvenimento da parte del curatore delle immobilizzazioni materiali, nonché la mancata consegna allo stesso di parte delle disponibilità liquide iscritte a bilancio: è infatti di tutta evidenza che, a fronte di voci dell’attivo risultanti dal bilancio approvato sulla base del progetto predisposto dallo stesso organo amministrativo, è onere dell’amministratore dimostrare la destinazione di quelle attività e l’uso delle stesse per soddisfare interessi della società. Relativamente infine al mancato rinvenimento da parte del curatore di una parte dei crediti iscritti a bilancio, il Tribunale ipotizza la possibilità in capo al convenuto di sottrarsi alla responsabilità dimostrando che il mancato incasso di detti crediti dipenda in concreto da fatti non imputabili all’organo amministrativo. Su tale scorta, il Tribunale ammette che gli amministratori dimostrino di aver fatto tutto il possibile per l’incasso dei crediti, che i crediti fossero ancora efficacemente riscuotibili da parte degli organi della procedura, ovvero che si trattasse di un appostamento non corrispondente al vero e quindi una fittizia posta attiva in realtà inesistente fin dall’inizio. In assenza peraltro di tali allegazioni, la posta attiva indicata in bilancio è da ritenersi reale e i crediti in questione incassati.
Infine, in merito alla titolarità in capo al danneggiato di interessi compensativi asseritamente dovuti in conseguenza del mancato godimento della somma originaria, il Tribunale sancisce la necessità in tal senso della prova specifica del danno da ritardo, negando la configurabilità di un automatismo nel riconoscimento di tali interessi. In altre parole, il riconoscimento di tale pretesa sarebbe possibile solo nel caso di allegazione e prova, da parte del creditore, di un eventuale danno da ritardo, ulteriore e maggiore rispetto a quello risarcito con la rivalutazione monetaria.