Il disposto dell’art. 28 comma 2 ter, del d.lgs. n. 385/1993 (TUB) come modificato dal D.L. 3/2015 convertito dalla legge n.33/2015, secondo cui “nelle Banche popolari e nelle Banche di credito cooperativo il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio , è limitato, secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della Banca”, non può determinare la completa soppressione dell’effettivo contenuto giuridico economico del diritto di recesso. Il Tribunale non può ritenersi vincolato dalle disposizioni della Banca d’Italia soprattutto quando appaiono non conformi al dettato legislativo.
E’ nulla per violazione dell’art. 2437, comma 6,c.c. la clausola dello statuto secondo cui il Cda di una Banca popolare può rinviare in tutto e senza limiti di tempo il rimborso delle azioni, oltretutto a suo insindacabile giudizio e senza necessità di alcuna motivazione o giustificazione.
Pur volendo ammettere la possibilità di espropriare al socio proprietario il diritto di decidere di liquidare la propria quota, occorre comunque indennizzarlo secondo i criteri ermeneutici stabiliti dalla Corte Costituzionale, cioè sulla base del valore reale della sua quota da liquidargli nell’immediatezza. Non riconoscere questi principi significherebbe denegare il contenuto dell’art. 47 della Costituzione secondo il quale la Repubblica “incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” e “favorisce l’investimento azionario”.
Alle Banche Popolari società cooperative non è applicabile il disposto degli artt. 2446 commi 2 e 3 c.c., per cui la riduzione del capitale può essere effettuata solo nelle forme della riduzione volontaria di cui all’art. 2245 c.c. con tutte le conseguenze del caso.