Con la sentenza in esame, la Cassazione si è pronunciata in tema di capacità giuridica delle società di capitali, chiarendo una volta per tutte che queste ultime non hanno una capacità speciale limitata al compimento di quegli atti strumentali all’oggetto sociale, ma una capacità generale di essere parte di qualsiasi atto o rapporto giuridico, ancorché non rientrante nell’oggetto sociale, tranne quelli che presuppongono l’esistenza di una persona fisica. L’oggetto sociale, pertanto, non è altro che un limite ai poteri degli organi societari.
Alla luce di quanto sopra, secondo la Corte non è condivisibile la tesi tradizionale, sostenuta in anni lontani dalla dottrina, che escludeva l’ammissibilità delle donazioni da parte di società in considerazione della incompatibilità di tali atti sia con l’oggetto sociale (l’esercizio di attività economica ex art. 2247 c.c.) sia con lo scopo (realizzare utili da dividere tra i soci).
La Corte di Cassazione ha inoltre ribadito il principio espresso dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8053 del 2014 e secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 (convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ne deriva che in Cassazione è denunciabile solamente il vizio di motivazione che si traduce in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata. Tale anomalia si esaurisce pertanto (i) nella mancanza assoluta di motivazione; (ii) nella motivazione apparente; e (iii) nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.