“Il diritto al rimborso [del credito IVA] non sorge con la formale emissione della nota di variazione in attivo ma trova la sua genesi nel mancato soddisfacimento del credito vantato del cedente, evento che, nella fattispecie in esame, ha avuto definitiva certificazione con la chiusura della procedura fallimentare apertasi in capo al cessionario debitore.”
È con tale approccio sostanzialistico che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21999 del 12 ottobre 2020, riconosce al creditore il diritto alla restituzione dell’IVA versata in relazione ad un credito divenuto inesigibile e richiesto a rimborso solo successivamente alla conclusione di una procedura fallimentare a carico del cliente, non potendo assumere rilevanza la mera irregolarità formale dell’emissione della nota di variazione prima della chiusura del fallimento.
Nel caso di specie una Società, vantante un credito, comprensivo di IVA, nei confronti di un soggetto dichiarato fallito nel 2005, emetteva nel 2009 relativa nota di variazione ex art. 26, d.P.R. 633/1972, immediatamente prima dalla propria cancellazione, salvo chiedere il rimborso dell’imposta residua, non ottenuta per mezzo di riparto fallimentare, solo successivamente alla chiusura del fallimento, avvenuta nel 2013, mediante rituale istanza.
L’Amministrazione finanziaria rigettava l’istanza della contribuente, ritenendo dirimente la violazione del menzionato articolo 26, quanto al mancato rispetto del momento normativamente previsto per l’emissione della nota, essendo stata quest’ultima, che costituisce presupposto per la richiesta di rimborso dell’imposta versata, emessa prima della chiusura della procedura concorsuale.
La contribuente, impugnato il diniego, risultava soccombente sia in primo che in secondo grado, e proponeva infine ricorso per la cassazione della sentenza di appello, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 D.P.R. 633/72, 30 D.P.R. 633/72 e 21 D.lgs. 546/92, sostenendo che nella normativa di settore non fosse richiesto, quale condizione necessaria per la detrazione o rimborso dell’imposta, che la nota di variazione fosse emessa dopo la conclusione del fallimento, quanto piuttosto che fossero presenti tutti i requisiti sostanziali per accedere al rimborso.
L’art 26 del D.P.R. 633/72, nella versione applicabile ratione temporis, stabiliva che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio, ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25”.
Nel caso di specie, se è vero che la nota di variazione era stata registrata prima della chiusura della procedura fallimentare, al contempo l’istanza di rimborso era stata presentata successivamente.
A giudizio della Corte, in accoglimento delle doglianze della ricorrente, al momento della presentazione dell’istanza di rimborso si era già verificato il presupposto giuridico e sostanziale – costituito dalla definitiva e certa inesigibilità del credito – legittimante la richiesta, a nulla rilevando, ai fini della restituzione dell’imposta, la mera irregolarità dell’anticipazione della nota di variazione.
Per l’effetto, il Collegio ha cassato la sentenza impugnata decidendo nel merito la causa.