Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione si sofferma sui confini del giudicato esterno nell’ambito dell’istituto della revocazione.
Una contribuente aveva proposto ricorso alla Commissione Tributaria Regionale competente, ai sensi dell’articolo 395, coma quinto, del codice di procedura civile, per la revocazione di una sentenza a lei sfavorevole, in ragione del sopravvenuto giudicato esterno formatosi su altra pronuncia della medesima CTR, relativamente ad accertamento di identico contenuto, ma di annualità differente, avente ad oggetto l’indeducibilità di alcuni costi sostenuti e la non detraibilità dell’IVA afferente ai corrispondenti acquisti.
La CTR non aveva ritenuto sussistente alcun conflitto di giudicato poiché, concordemente all’articolo 7 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, il principio dell’autonomia dei periodi d’imposta non consentiva di riconoscere tra le due pronunce una identità di soggetti ed oggetto nonché di comune accertamento del medesimo fatto.
La contribuente presentava pertanto ricorso in Cassazione, dolendosi della violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 cod. civ. e 324 del cod. proc.civ. perché la sentenza era in chiaro contrasto con quanto invece statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13916/06.
La Corte di Cassazione dà atto del mutamento di orientamento giurisprudenziale avvenuto con la sentenza citata dal contribuente.
Si è infatti affermato il principio secondo cui “qualora due giudizi tra le stesse parti abbianoriferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo”.
La preclusione derivante dall’applicazione del principio dell’autonomia dei periodi d’imposta si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo.
Deve ritenersi innegabile il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato nei confronti di quelli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente.
Tuttavia, trattandosi nel caso di specie di controversie rilevanti anche in materia di IVA, la Corte ricorda l’orientamento (Cass., 16010/19; Cass., 16996/12; Cass., 8855/16; Cass., 30033/18) secondo il quale“le controversie in materia di I.V.A. sono soggette a norme comunitarie imperative la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dall’eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza unionale come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta, sicché il giudicato formatosi in materia di tributi diretti non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta sul valore aggiunto, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto”.
La Corte, pertanto, negando forza espansiva al giudicato formatosi su un’annualità diversa relativamente all’Imposta sul Valore Aggiunto, rigetta il ricorso e conferma con diversa motivazione la sentenza della CTR.