In merito alla deducibilità di interessi passivi derivanti da un prestito obbligazionario, emesso nell’ambito di una ristrutturazione aziendale di un gruppo, si deve aver riguardo alla genuinità di tale operazione ai fini dell’abuso del diritto. L’inerenza degli interessi passivi, infatti, secondo una corretta interpretazione dell’art. 109 T.U.I.R., non può riconoscersi in via automatica ex art. 96 T.U.I.R., ma presuppone che l’operazione che ha ingenerato tale componente negativo non sia qualificabile come elusiva, contrastante con il generale divieto dell’abuso del diritto.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione nella pronuncia in oggetto.
Il caso di specie concerneva la deducibilità, ex art. 109, comma 5 del T.U.I.R., di interessi passivi derivanti da un prestito obbligazionario emesso nell’ambito di una complessa ristrutturazione di gruppo, a conclusione della quale era stata trasferita la partecipazione di una società italiana ad una holding lussemburghese.
Detto prestito, infatti, veniva emesso da una Società al fine di ripagare il debito maturato da un veicolo societario, debito contratto proprio per l’acquisto delle partecipazioni della contribuente emittente, cui poi era seguita una fusione inversa.
Le obbligazioni erano dapprima trasferite al cessionario delle partecipazioni, e poi cedute da quest’ultimo ai propri soci (che possedevano in ultima istanza anche la holding lussemburghese), come corrispettivo per l’acquisto di azioni proprie.
La controversia traeva origine da un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione Finanziaria riprendeva a tassazione i menzionati interessi passivi dedotti dalla contribuente in quanto, a suo parere, derivanti da un’operazione abusiva, avente motivazioni esclusivamente ascrivibili al risparmio d’imposta, sia a beneficio della società contribuente che dei soci persone fisiche di ultimo livello nella catena partecipativa, ai quali si applicava la tassazione agevolata (cedolare secca del 12,50%) degli interessi attivi percepiti su dette obbligazioni.
La Società impugnava l’atto e risultava soccombente di fronte alle Corti di merito sia in primo che in secondo grado, che confermavano sostanzialmente l’impostazione del provvedimento impositivo, dove abusività dell’operazione era stata motivata sull’assunto che l’operazione fosse orientata alla deduzione degli interessi passivi derivanti dal prestito obbligazionario emesso dalla Società e all’applicazione del regime agevolato in capo ai soci persone fisiche, vantaggi fiscali che non avrebbero avuto luogo se le partecipazioni della contribuente fossero state direttamente trasferite alla holding non residente.
La contribuente ricorreva infine per la cassazione della pronuncia di appello, lamentando omessa od insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso, per non avere la CTR adeguatamente argomentato circa il preteso abuso del diritto e l’assenza di valide ragioni economiche sottese all’emissione del prestito.
Si doleva inoltre della violazione e falsa applicazione dell’articolo 109, comma quinto, del T.U.I.R., per avere disapplicato le regola speciale, in tema di inerenza, relativa agli interessi passivi dedotti.
I giudici della Suprema Corte, pur consapevoli dell’orientamento riguardante la mitigazione del principio di inerenza per gli interessi passivi (laddove non è necessaria la correlazione specifica con ricavi o componenti positivi ai fini della deducibilità, ma la più generale riconducibilità dell’onere all’attività di impresa, cfr. Cass., n. 19430/2018), hanno confermato l’interpretazione normativa dei giudizi di merito, sostenendo che la supposta deducibilità degli interessi passivi sul menzionato prestito obbligazionario fosse inficiata dal fatto che questo derivasse da un’operazione abusiva.
Difatti, l’art. 109, comma 5 del T.U.I.R., in quando disposizione generale e residuale, deve essere applicata al seguito di una puntuale analisi sull’abusività dell’operazione a monte del componente reddituale.
Di talché, deve esservi un presupposto intrinseco di correttezza della condotta del contribuente per permettere l’applicazione di tale disposizione, non riscontrata a seguito dell’intervento dell’Amministrazione Finanziaria che, nel caso di specie, aveva condotto un’analisi antiabusiva dell’operazione dalla quale era scaturito il componente reddituale erroneamente dedotto dalla società.
Al riguardo, peraltro, a giudizio del Collegio la CTR aveva compiutamente richiamato gli elementi integranti l’abuso del diritto, anche in relazione al fatto che le ragioni extrafiscali e gestionali addotte dal contribuente non si erano manifestate successivamente all’operazione.
La Corte di Cassazione, quindi, ha confermato l’interpretazione sviluppata dalla precedente giurisprudenza in materia, nella recente pronuncia Cass., n. 869/2019, ed ha rigettato il ricorso della contribuente.