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Giurisprudenza

Indeducibilità delle minusvalenze da svalutazione di partecipazioni per distribuzioni di utili soggetti alla “madre-figlia”

19 Novembre 2020

Lorenzo Giannico

Cassazione Civile, Sez. V, 16 settembre 2020, n. 19286 – Pres. Cirillo, Rel. Nicastro

Di cosa si parla in questo articolo

In tema di determinazione del reddito d’impresa, le minusvalenze derivanti da svalutazione delle partecipazioni societarie sono da considerarsi indeducibili qualora siano determinate dalla distribuzione di utili soggetti al regime “madre-figlia”.

Ex art. 96-bis, comma 5, T.U.I.R. (vigente ratione temporis), infatti, trattandosi di utili non tassati all’atto della percezione, tali minusvalenze non erano soggette alla disciplina transitoria di cui all’art. 4, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 344/2003, con deducibilità – in via temporanea – in deroga al regime della “partecipation exemption”.

La PEX, infatti, non ha determinato alcun effetto penalizzante nei confronti di dette minusvalenze rispetto al regime precedente, attesa la loro generale irrilevanza fiscale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella pronuncia in commento, riguardante un caso nel quale l’Amministrazione Finanziaria aveva disconosciuto la deduzione, da parte di una Società italiana, di una minusvalenza derivante dalla svalutazione della partecipazione in una Società residente in Francia.

La deduzione era stata effettuata in applicazione degli articoli 61, comma terzo, lettera b) e 66 del TUIR. (vigentiratione temporis); la Società aveva infatti dapprima ripreso a tassazione l’ammontare della svalutazione nel periodo di imposta in cui essa era stata iscritta in bilancio, e poi l’aveva fiscalmente dedotta nel periodo successivo, al momento della cessione della partecipazione.

L’Amministrazione Finanziaria sosteneva che la minusvalenza si fosse determinata per una distribuzione di utili – esenti in applicazione della c.d. Direttiva “Madre-Figlia” (n. 90/435/CEE e n. 2011/96/UE) – conseguente alla vendita di immobili di proprietà della controllata, immobile già posseduto da questa antecedentemente l’acquisto della partecipazione da parte della contribuente italiana.

L’avviso d’accertamento emesso si fondava pertanto sull’assunto per cui alla minusvalenza dedotta fosse applicabile l’art. 96-bis, comma quinto del T.U.I.R., con relativa indeducibilità della stessa “per la quota determinatasi per l’effetto della distribuzione degli utili che non concorrono a formare il reddito”, in presenza di dividendi distribuiti dalla propria consociata comunitaria, esclusi dalla base imponibile per il 95% del loro importo.

La Società vedeva accolto in C.T.P il proprio ricorso avverso l’avviso d’accertamento, verdetto poi ribaltato dalla Commissione di secondo grado; proponeva quindi ricorso alla Corte di Cassazione.

La contribuente, tra i numerosi motivi di ricorso avanzati, si doleva per omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio da parte del giudice di appello, che avrebbe non adeguatamente considerato il fatto che gli utili distribuiti fossero stati prodotti dopo l’acquisto della partecipazione, non avendo concorso a formare il patrimonio netto all’atto del trasferimento.

Inoltre, non sarebbe stata considerata la reale motivazione della svalutazione, supportata dalla previsione di costi da sostenere per la bonifica ambientale di alcuni siti produttivi della Società francese, come testimoniato da alcune consulenze commissionate.

Infine, la ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione dell’articolo 4, comma primo, lettera d) del d.lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, che consentiva invece la deduzione transitoria delle svalutazioni riprese a tassazione nell’anno della propria entrata in vigore, perché la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto che detta ripresa nell’anno di iscrizione in bilancio fosse imputabile all’applicazione dell’articolo 96-bis del TUIR, e non degli articoli 61 e 66.

I giudici della Suprema Corte hanno confermato la sentenza d’appello, cassandola con rinvio e sostenendo come la ratiodell’art. 96-bis, comma 5 del T.U.I.R. fosse quella di evitare l’ingiustificato doppio vantaggio fiscale che si sarebbe determinato nell’ipotesi in cui si fosse consentito alla società madre di dedurre le minusvalenze derivanti dalla svalutazione di partecipazioni a seguito di distribuzione di utili da parte della “figlia”, utili che per il 95% non avevano concorso a formare il reddito della controllante.

La disposizione suddetta, introdotta in esercizio della facoltà concessa agli Stati Membri dall’articolo 4, comma secondo della direttiva 90/435/CEE. sanciva una indeducibilità assoluta delle minusvalenze integranti l’indicata fattispecie, non distinguendo in relazione al momento di formazione degli utili poi distribuiti.

L’art. 4, comma 1 del D.lgs. 344/2003, applicato dalla contribuente, era intervenuto per consentire temporaneamente, in deroga al nuovo regime di participation exemption, la deducibilità delle svalutazioni la cui rilevanza fiscale era stata rinviata, in applicazione della normativa previgente, al momento della cessione della partecipazione.

Tuttavia, tale disposizione non era applicabile alle minusvalenze di cui all’art. 96-bis, comma 5 del T.U.I.R., in aderenza alla summenzionata ratio.

Conseguentemente, la Suprema Corte ha confermato l’indeducibilità della minusvalenza oggetto di controversia.

 

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