“In tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione (di immobili e) di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (ipotecaria o catastale), dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggiore corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria.”
Si tratta del principio espresso nell’ordinanza n. 16393 del 30 luglio 2020, in materia di plusvalenza da cessione di ramo d’azienda.
Il contenzioso aveva ad oggetto un avviso di accertamento, rilevante ai fini IRPEF, con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva rettificato in aumento la plusvalenza derivante dalla cessione di parte del ramo d’azienda (di panificazione) ricevuta in eredità da parte di una contribuente.
In particolare, ai fini della determinazione del maggior reddito diverso imponibile, l’Ufficio aveva riprodotto i valori derivanti dalla rivalutazione del compendio, comprensiva di avviamento, effettuata in sede di accertamento ai fini dell’imposta di registro, accertamento emesso nei confronti del cessionario, peraltro oggetto di annullamento da parte della Commissione Tributaria Provinciale competente.
La contribuente proponeva ricorso per la cassazione della pronuncia della Commissione Tributaria Regionale, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, soccombente invece in primo grado.
Nel giudizio di Legittimità la ricorrente denunciava “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. nonché dell’art. 38, comma 3 DPR n. 600/1973” poiché riteneva che la CTR avesse condiviso l’operato dell’Agenzia, e quindi legittimato la rettifica della plusvalenza, che aveva posto a base dell’accertamento ai fini IRPEF il medesimo valore del compendio già determinato, con diverso atto, ai fini dell’imposta di registro, nei confronti del cessionario.
La Corte ha ritenuto tale motivo fondato, poiché, in sintesi, è escluso che “l’Amministrazione possa procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (da ultimo, ord. 9513/2018; inoltre ord. n. 19227/2017; sent. n. 12265/2017; sent. n. 6135/2016; ord. n. 11543/2016)”come chiarito dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, disposizione di interpretazione autentica degli articoli 58, 68, 85 e 86 del TUIR, nell’affermare che non sia possibile presumere l’esistenza di un maggior corrispettivo derivante dal trasferimento d’azienda esclusivamente sul valore accertato ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale.
L’Ufficio avrebbe dovuto quindi individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, per supportare adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente.