Oggetto d’impugnazione è un atto di contestazione che l’Agenzia delle Entrate ha emesso nei confronti di una società facente parte di un consorzio, sanzionando, tra l’altro, l’omessa autofatturazione in seguito alla corresponsione, a favore della società consortile di cui era capogruppo, del contributo richiesto per la gestione di un appalto.
Soccombente sia in primo che in secondo grado, la società ha proposto ricorso per cassazione contestando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 6 e ss. del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; in particolare, la società riteneva che la CTR non avesse tenuto conto di circostanze di fatto, debitamente documentate, che provavano che il pagamento dell’importo – per il quale era stata contestata l’omessa autofatturazione – fosse da considerarsi un mero finanziamento, e non un acconto sui corrispettivi dovuti alla società consortile per i servizi resi ai consorziati.
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il motivo inammissibile, afferma anzitutto che il giudice del gravame abbia correttamente individuato la natura del contributo versato, quale corrispettivo, in forma di anticipo, per le prestazioni svolte in favore dei consorziati da parte della società consortile, finalizzato alla conduzione e gestione delle opere che formano oggetto dello scopo sociale, come risultante dallo statuto. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.P.R. n. 633/1972, la prestazione deve considerarsi effettuata all’atto del pagamento del corrispettivo, indipendentemente dalla qualificazione del pagamento in termini di finanziamento. Da quel momento sorge, quindi, il presupposto per il pagamento dell’Iva, con conseguente obbligo di emettere la fattura in capo al prestatore del servizio ovvero, in difetto, autofattura da parte di colui che riceve la prestazione. A nulla rileva la successiva compensazione dei crediti reciproci tra società consortile e società consorziata.
Connesso al precedente è il secondo motivo d’impugnazione, dichiarato anch’esso inammissibile. In questo caso il ricorrente contestava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 6 del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 472, per aver il giudice d’appello non applicato la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 6, comma primo dello stesso decreto. Il contribuente sosteneva infatti di aver adeguato il proprio comportamento alla scelta operata a monte dall’organo amministrativo della società consortile nella rilevazione a titolo di finanziamento, all’interno delle proprie scritture, dei versamenti eseguiti. La Corte, in merito a tale punto, richiama in premessa la motivazione, sul punto, del giudice di appello, che aveva comunque escluso la correttezza dell’imputazione contabile.
Ricorda poi che già precedentemente (Cass. Civ., 13 settembre 2013, n. 20975) aveva affermato che la causa di non punibilità non può legittimare la violazione, ad opera del contribuente, del principio di competenza fiscale, quand’anche siano stati comunque, puntualmente, osservati i corretti principi contabili: “infatti, se si ragionasse diversamente, si ammetterebbe la non sanzionabilità di condotte fiscalmente illecite solo perché, dal punto di vista civilistico-contabile, l’operato del contribuente risulta corretto, sicché, per invocare l’art. 6, comma 1, del D.lgs. n. 472/1997, il contribuente deve dimostrare in maniera puntuale di aver osservato i corretti principi contabili, anche mediante il richiamo ai principi OIC emanati dall’Organismo italiano di contabilità e che tra il criterio di contabilizzazione civilistico e la normativa fiscale sussista un’obiettiva e inevitabile incertezza”.