La controversia in esame trae origine da un diniego ad una istanza di rimborso dell’IVA versata in eccesso, nel periodo d’imposta 2008, dalla società ricorrente.
A seguito di una verifica fiscale era emerso che un’operazione effettuata dalla società ricorrente nei confronti di un altro contribuente e regolarmente assoggettata ad IVA, pur riportando in descrizione un generico servizio imponibile, consistesse in realtà nell’adempimento di un credito risarcitorio vantato dalla società ricorrente.
L’Ufficio accertatore giudicava l’operazione non assoggettabile ad IVA (ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a) del D.P.R. n. 633/1972) — e procedeva nei confronti del destinatario della fattura al recupero dell’imposta indebitamente detratta. Quest’ultimo provvedeva, in primo luogo, a versare l’imposta e relative sanzioni in sede di accertamento con adesione e, successivamente, ad esercitare la rivalsa dell’imposta versata nei confronti dell’emittente, il quale, infine, presenta la menzionata istanza di rimborso dell’IVA versata in origine.
L’Agenzia delle Entrate, come detto, respingeva la predetta istanza di rimborso sostenendo che la falsa giustificazione indicata nella fattura rendesse l’operazione oggettivamente inesistente e che, in forza del principio di cartolarità (cfr. art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972), l’IVA fosse comunque dovuta dall’emittente della fattura per l’intero importo ivi indicato.
Il giudice d’appello, ribaltando la sentenza di primo grado, riconosceva le ragioni dell’Ufficio, sostenendo che: i) l’operazione indicata nella fattura dovesse essere considerata assolutamente inesistente per via della descrizione del tutto diversa dalla sostanza dell’operazione effettivamente condotta, e che ii) la circostanza per cui il destinatario della fattura avesse versato definitivamente l’IVA in sede di accertamento con adesione non rimuovesse il rischio erariale, che si considera, invece, cristallizzato al momento dell’originaria detrazione.
La Società, quindi, adiva la Corte di Cassazione lamentando la violazione del principio di neutralità dell’IVA e la falsa applicazione dell’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972.
Gli Ermellini, confermando l’oggettiva inesistenza dell’operazione esaminata, conformemente alla normativa unionale ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 10939/2015 e 10974/2019), chiariscono che, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, in forza del principio di cartolarità, l’emittente del documento è tenuto a liquidare l’imposta per l’intero importo indicato.
Tuttavia, è fatto salvo il diritto del contribuente (emittente) al rimborso dell’imposta versata in eccesso, qualora risulti che sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale derivante dall’utilizzo della fattura stessa. A tal riguardo la Suprema Corte afferma che, qualora la detrazione dell’imposta da parte del destinatario, sebbene relativa ad operazione oggettivamente inesistente, sia stata disconosciuta con provvedimento amministrativo definitivo (come risulta dai fatti della causa in questione), il rischio fiscale deve essere necessariamente considerato rimosso.
Nel caso di specie, il destinatario della fattura risultava peraltro aver versato interamente l’IVA accertata dall’Amministrazione Finanziaria. Di conseguenza, in considerazione della definitiva eliminazione del rischio erariale, la Suprema Corte, decidendo nel merito, accoglie il ricorso della Società e dichiara il diritto al rimborso dell’IVA versata.