La vicenda trae origine dalla promessa di vendita di due terreni, senza che tuttavia si addivenisse alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento. Il promittente acquirente, avendo esercitato il diritto di recesso, aveva legittimato il promittente venditore ad incassare la somma già versata a titolo di caparra penitenziale.
La Suprema Corte ha chiarito, in primo luogo, che l’incasso della caparra non costituisce plusvalenza tassabile dal momento che non vi è stata alcuna vendita.
In secondo luogo, è esclusa la possibilità di attribuire natura di “provento conseguito in sostituzione di reddito” all’importo trattenuto dal promittente venditore. Infatti, la caparra penitenziale non assume una funzione risarcitoria derivante dalla perdita di proventi.
Infine, la Corte non interviene sulla possibilità che la somma venga qualificata e tassata come reddito derivante dall’assunzione di obblighi di permettere, in ragione della delimitazione dell’oggetto nel giudizio tributario.