La Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 19410 depositata il 20 Luglio 2018 ha chiarito, o meglio, ribadito che nel caso in cui un contribuente trasferitosi in uno Stato a fiscalità privilegiata, per vincere la presunzione di residenza fiscale in Italia di cui all’art. 2 comma 2-bis del d.p.r. 917/1986 (“TUIR”), adduca elementi documentali di prova (ad esempio: contratti di locazione, ricevute di pagamento del canone, utenze elettriche, etc.), il giudice tributario di merito è tenuto a considerarli e, nella motivazione della pronuncia, deve dare giustificazione della ragione per cui ritenga tali elementi prodotti dal contribuente non idonei a superare la presunzione di fittizietà del trasferimento all’estero.
In particolare, nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate contestava ad un tennista professionista la residenza fiscale all’estero, in applicazione dell’art. 2 comma 2-bis del TUIR. Nel dettaglio il tennista aveva trasferito la sua residenza a Montecarlo nel corso del 1998, ma trattandosi di un paese c.d. “black list”, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che non vi fossero i presupposti di fatto per potere considerare il tennista come un soggetto fiscalmente non residente. Ne è discesa di conseguenza, la tassazione in base alla disciplina domestica dei redditi ovunque prodotti dal professionista (c.d. worldwide taxation principle”) con particolare riferimento ai redditi prodotti nel corso dell’anno 2000.
Per meglio chiarire l’ambito applicativo di riferimento, va rilevato che l’art. 2 comma 2-bis del TUIR prevede una presunzione in base alla quale i cittadini italiani che si sono cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e si sono trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria. Più nel dettaglio il disposto normativo chiarisce che non basta essere iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero (“AIRE”) per essere considerati fiscalmente residenti all’estero, sarà infatti necessario verificare se il soggetto abbia comunque mantenuto in Italia la propria dimora abituale ovvero il centro dei propri affari o interessi (cfr. fra le altre, Ris. Min. Finanze 14 Ottobre 1988, n. 1329).
Così, nel caso di specie, sebbene il tennista si fosse trasferito a Montecarlo, l’Agenzia delle Entrate poteva continuare a ritenerlo residente in Italia, a meno che questi non fornisse la prova contraria, idonea a dimostrare l’effettiva residenza fiscale a Montecarlo. E proprio su quest’ultimo punto relativo alla dimostrazione della prova contraria si concentra la causa decisa dall’ordinanza qui in commento.
Il tennista, infatti, nel ricorso proposto dinnanzi la Corte di Cassazione lamentava di aver opportunamente dimostrato, nei gradi precedenti di giudizio, l’effettiva residenza a Montecarlo, vincendo, così, la presunzione di residenza in Italia sancita dall’art. 2 comma 2-bis del TUIR. In particolare, egli sosteneva che l’effettività della sua residenza in Montecarlo fosse dimostrata, già a decorrere dal 1998, dall’esistenza di contratti di locazione di un immobile a Montecarlo, dalle ricevute di pagamento del canone di locazione, dalle fatture delle utenze elettriche, dal rilascio di una carta di credito da parte di un istituto monegasco, dalla certificazione degli allenamenti sostenuti in Montecarlo, dai biglietti di viaggi aerei aventi come luogo di partenza e di ritorno Montecarlo.
Elementi questi che secondo la difesa del professionista erano stati ignorati dai giudici tributari di merito e che hanno portato a Suprema Corte ad accogliere il ricorso, ritenendo che la Commissione regionale abbia tralasciato di considerare, nella motivazione della propria decisione, una serie di elementi potenzialmente decisivi addotti dal tennista, producendo, così, una sentenza con motivazione viziata e carente.
Peraltro, la sentenza si colloca in un contesto diverse pronunce concernenti la residenza fiscale del tennista, pronunciate con riferimento ad altre annualità IRPEF (cfr. ad esempio, Cass. n. 20285/2013, relativa a redditi dell’anno 1999), che, peraltro, sono orientate nello stesso senso della pronuncia qui in analisi.