Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di Cassazione ha confermato il proprio consolidato orientamento (cfr. Cass. n. 6780/03, n. 7564/03, n. 16885/03, n. 18640/2008, n. 9519/2009, n. 5076/2011, n. 8954/13) in ordine alla legittimità della presunzione di devoluzione ai soci degli utili extra-bilancio in società a compagine sociale ristretta, ribadendo che la prova contraria può essere fornita dal contribuente sia dimostrando che i maggiori ricavi accertati non hanno formato oggetto di distribuzione, bensì di accantonamento o reinvestimento da parte della società, sia attestando la propria estraneità rispetto alla gestione societaria (per quest’ultimo profilo cfr. spec. Cass. n. 1932/2016, n. 26873/2016, n. 17461/2017).
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte, con motivazione semplificata, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTR Toscana, con la quale si era ritenuto che il contribuente avesse efficacemente vinto la presunzione in esame, dimostrando di svolgere la professione di neuropsichiatra e di non essersi mai ingerito nella conduzione della s.r.l. – impegnata nel settore della ristorazione – della quale, insieme al figlio, era socio. I finanziamenti erogati nel corso degli anni dal contribuente alla predetta società, infatti, lungi dal comprovare l’interferenza dello stesso nello svolgimento degli affari sociali, risultavano volti unicamente ad offrire un sostegno al figlio, senza alcuna contropartita.