Deve escludersi la deducibilità dal reddito d’impresa dei componenti negativi scaturenti da sanzioni antitrust erogate dalla Commissione Europea. Tali componenti, infatti, non possono qualificarsi né quali costi inerenti né quali sopravvenienze passive. Parimenti, nei casi di riaddebito infragruppo di tali oneri, l’IVA deve ritenersi indetraibile, trattandosi di operazione fuori campo IVA per difetto del requisito oggettivo.
La Commissione Europea irrogava alla società contribuente una sanzione antitrust per aver posto in essere una pratica concordata, con l’effetto di falsare la concorrenza. La contribuente procedeva a riaddebitare parte di tali costi, a titolo di “servizi infragruppo”, a proprie controllate (dalla stessa successivamente incorporate), che detraevano l’IVA relativa. La società deduceva, poi, dal reddito d’impresa componenti negativi pari alla restante parte della sanzione. L’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente due avvisi di accertamento, contestando la deduzione operata ai fini delle imposte dirette nonché la detrazione dell’IVA relativa agli addebiti infragruppo. La contribuente proponeva ricorso avverso detti avvisi di fronte alla Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria.
I giudici di primo grado rigettavano il ricorso, annullando tuttavia le sanzioni tributarie irrogate poiché ricorreva l’esimente dell’incertezza normativa (da rintracciarsi principalmente nel contrasto di opinioni dottrinali). La Commissione Tributaria Regionale di Torino confermava sostanzialmente il dettato dei giudici di primo grado. La Contribuente proponeva dunque ricorso in Cassazione, chiedendo il riconoscimento dell’inerenza dei componenti negativi dedotti oltreché dell’IVA detratta. Resisteva l’Ufficio formulando ricorso incidentale in merito alle sanzioni.
La Corte di Cassazione, con Sent., 7 giugno 2017, n. 14137, si è pronunciata sui tre motivi di ricorso. In merito al primo ha affermato, in linea con la precedente giurisprudenza nazionale (cfr. Cass., 11 aprile 2011, n. 8135, Cass., 3 marzo 2010, n. 5050, Cass., 26 ottobre 2012, n. 18368) e comunitaria (cfr. Corte Giust., 11 giugno 2009, C-429/07, “Inspecteur van de Belastingdienst”), che deve escludersi la possibilità di dedurre le sanzioni in oggetto.
A detta della Corte, infatti, l’illiceità della condotta che determina l’insorgenza della sanzione spezza il nesso di inerenza con l’attività d’impresa. Di conseguenza, la sanzione, poiché non funzionale a produrre reddito, non rappresenta un costo deducibile, difettando del requisito di inerenza di cui all’art. 75 (ora 109) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Parimenti, la sanzione pagata non poteva essere dedotta quale sopravvenienza passiva, data l’impossibilità di correlarla a componenti positivi: la condotta illecita non costituisce fattore produttivo ma comportamento antitetico al corretto andamento dell’attività d’impresa. I Giudici di legittimità sottolineano, inoltre, come l’indeducibilità non costituisca sanzione aggiuntiva bensì fisiologico effetto della natura extraimprenditoriale dell’attività illecita.
Con riguardo al secondo motivo, la Suprema Corte ha ritenuto l’IVA indetraibile. La condotta illecita tenuta non può in ogni caso essere considerata “prestazione di servizi”: l’operazione deve ritenersi fuori campo IVA per carenza del requisito oggettivo.
Quanto al ricorso incidentale, i Giudici hanno confermato la sentenza di merito e annullato le sanzioni, ravvisando condizioni di “obiettiva incertezza” dovuta al contrasto tra opinioni dottrinali.