Con la sentenza del 16 giugno 2017 n. 15006, la quinta sezione della Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della annosa questione degli accertamenti bancari.
Come noto, l’accertamento bancario è quel procedimento fondato sulla ricostruzione di movimenti finanziari non giustificabili da parte del contribuente. Nel dettaglio, tale procedimento viene disciplinato dall’art. 32 del d.p.r. n. 600/1973 il quale prevede che sono considerati ricavi, ovvero compensi, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito di rapporti finanziari, salvo che il contribuente non indichi il soggetto beneficiario di questi movimenti e che tali movimenti non risultino dalle scritture contabili.
Nella sentenza in commento, la Cassazione ha sancito la riconducibilità alla società in accomandita semplice, in assenza di conti correnti intestati a quest’ultima o al socio accomandatario, delle movimentazioni del conto corrente formalmente intestato al socio accomandante, posto che quest’ultimo non è terzo rispetto alla società (dato il rapporto societario).
La mera sussistenza del rapporto societario, pur in assenza di poteri gestori, fa presumere che le operazioni siano state compiute nell’interesse della società e gestite economicamente dal socio accomandatario.
Si tratta di una presunzione legale relativa, destinata a invertire l'onere della prova in capo al contribuente; infatti, secondo l’articolo 32 del d.p.r. n. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, si determina un’inversione dell’onere della prova a carico di quest’ultimo, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla motivazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prove di rilevanza fiscale.