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Giurisprudenza

Il principio di competenza competenza fiscale nella determinazione del reddito d’impresa

18 Ottobre 2017

Federico Pachioli, Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti

Cassazione Civile, Sez. V, 24 maggio 2017, n. 13048 – Pres. Cappabianca, Rel. Iannello

Con la sentenza in rassegna, la Suprema Corte di Cassazione è tornata nuovamente ad occuparsi del principio di “competenza fiscale” nella determinazione del reddito d’impresa.

Come noto, il principio di competenza, di stampo aziendalista e di origine civilistica, ha trovato allocazione nell’ordinamento tributario all’art. 109, D.p.r. n. 917/1986 (T.u.i.r.).

Le indicazioni fornite dal Codice Civile – principalmente contenute negli articoli 2423 e 2423-bis – sono piuttosto vaghe lasciando all’estensore del bilancio una discreta libertà interpretativa. I principi contabili, su tutti il n. 11 – “Bilancio d’esercizio. Finalità e postulati” –, hanno provveduto ad integrare quanto disposto dagli articoli su citati enunciando una serie di postulati guida per la corretta imputazione temporale dei componenti di reddito positivi e negativi.

Il Legislatore fiscale, con l’art. 109, T.u.i.r., ha infine circostanziato gli effetti applicativi del principio di competenza nella quantificazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette. Nello specifico, il secondo periodo del comma 1 offre spunti particolarmente importanti alla luce della pronuncia in epigrafe: “[…] i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni […]”.

Nel caso di specie, il contribuente ha proposto ricorso avverso la sentenza del giudice di seconde cure il quale “[…] ha ritenuto legittimo il diniego di rimborso dell’Irpef versata in eccesso per l’anno 1998 richiesto in ragione del minor valore del reddito di partecipazione nella società “Autotrasporti di P.P. di F.R. & C. s.n.c.” discendente dalla diminuzione del reddito societario a sua volta causata dalla perdita subita nello stesso anno dalla partecipata “Trasporti Parma s.n.c.” […]”. La difesa del contribuente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 75 (ora art. 109), T.u.i.r. in quanto la perdita della società partecipata afferisce l’esercizio 1998 e di conseguenza deve essere portata in deduzione dal reddito conseguito nel medesimo periodo d’imposta.

Gli Ermellini, accogliendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria, osservano come “[…] i componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza – o determinabile in modo obiettivo l’ammontare – qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza […]”.[1]

I Giudici di Piazza Cavour motivano il proprio arresto asserendo che “[…] la componente negativa di reddito di che trattasi si è manifestata, “con elementi certi e precisi” […]”, solo a seguito delle comunicazioni effettuate dalla controllata della società di cui è socio il contribuente in tempi successivi alla chiusura del periodo d’imposta 1998.

In definitiva, nonostante la materia della deducibilità dei costi possa considerarsi tutt’altro che organica, la sentenza in rubrica pone in risalto una volta di più il divario tra il concetto di competenza secondo il legislatore civilistico e la competenza fiscale di cui all’art. 109, T.u.i.r..

 


[1] Ex multis Cass. civ. Sez. I, 21-04-1997, n. 3401, Cass. civ. Sez. V, 14-05-2007, n. 10988, Cass. civ. Sez. V, 31-03-2008, n. 8250, Cass. civ. Sez. V, 20-11-2009, n. 24526 e Cass. civ. Sez. V, 12-02-2013, n. 3368.


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