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Giurisprudenza

Negli accertamenti basati sulle “uscite di cassa” non occorre la dimostrazione del requisito dell’inerenza

13 Luglio 2017

Matteo Porqueddu, Tremonti Romagnoli Piccardi e Associati

Cassazione Civile, Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 9761

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha chiarito che in relazione ad accertamenti emessi a seguito di indagini finanziarie sui prelevamenti effettuati dal contribuente, non occorre da parte del contribuente e ai fini probatori, dimostrare l’inerenza (ai sensi dell’art. 109, comma 5 del TUIR) degli stessi prelevamenti rispetto all’attività esercitata.

In sintesi, nel caso in questione, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ad una società di trasporti un avviso di accertamento ai sensi del combinato disposto degli artt. 32 del D.p.r. 29 Settembre 1973, n. 600 e 51 del D.p.r. 26 Ottobre 1972 n. 633 rideterminando, in via presuntiva, il reddito del contribuente contestando allo stesso maggiori ricavi non dichiarati, considerato che per taluni prelevamenti non aveva adempiuto all’onere probatorio e documentale ai fini della dimostrazione del requisito dell’inerenza.

Sul punto, la Commissione Tributaria Regionale aveva confermato il rilievo effettuato dall’Ufficio osservando che la ripresa relativa alle uscite di cassa era in particolare fondata sulla mancanza della prova dell’inerenza delle stesse uscite rispetto all’attività di impresa esercitata. Contro tale decisione, il contribuente ha proposto ricorso in Cassazione la quale ha chiarito che ai fini di tale tipologia accertativa le prove da fornire devono rimanere circoscritte: all’indicazione dei beneficiari dei prelevamenti de quibus e alla relativa contabilizzazione degli stessi e non anche della dimostrazione del requisito dell’inerenza richiesta ai fini delle imposte dirette per altre fattispecie accertative.

E’ stato inoltre chiarito che in tema di accertamenti Iva, l’articolo 51 citato, consente all’amministrazione finanziaria di rettificare su base presuntiva la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti sui conti bancari dallo stesso intrattenuti. Tuttavia se viene fornita prova che da un lato, le uscite di cassa fanno riferimento ad assegni regolarmente contabilizzati nelle scritture della società e dall’altro lato le giustificazioni sul transito nella contabilità generale della società, la presunzione legale su cui si basa la rettifica deve ritenersi superata.

Tali elementi erano stati del resto già chiariti dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare del 19 Ottobre 2006 n. 32 emessa con riferimento alle indagini finanziarie e ai conseguenti accertamenti in base alla quale ai fini in questione occorre: “la dimostrazione circa l’irrilevanza ai fini impositivi dei movimenti finanziari acquisiti o rilevati; l’indicazione dei soggetti effettivamente beneficiari dei prelevamenti; l’annotazione dei predetti movimenti nelle scritture contabili o in dichiarazione, ai fini della determinazione del reddito; in definitiva, l’indicazione di qualsivoglia ulteriore chiarimento ritenuto necessario dall’ufficio procedente per la valorizzazione dei dati e delle informazioni ai fini della loro presuntiva utilizzazione in sede di accertamento.

La decisione della Commissione Tributaria Regionale aveva invece erroneamente introdotto un ulteriore onere probatorio legato all’inerenza della movimentazione finanziaria, nonostante la circostanza che per quanto riguarda gli accertamenti che si basano sulle indagini bancarie questo non sia previsto da alcuna norma.

Il requisito di inerenza contenuto nell’articolo 109 del TUIR è relativo a componenti negative relative al reddito di impresa e questo porta a ritenere che si tratti di una previsione differente dalla tipologia di accertamento effettuato in questo caso.

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