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Giurisprudenza

Reverse charge: detrazione IVA in caso di omessa contabilizzazione di fatture da acquisti intracomunitari

3 Luglio 2017

Matteo Porqueddu, Tremonti Romagnoli Piccardi e Associati

Cassazione Civile, Sez. V, 3 marzo 2017, n. 5401

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione relativa all’insorgenza del diritto alla detrazione dell’Iva (o meglio all’esercizio del diritto stesso di detrazione) nel caso di omessa contabilizzazione, attraverso la procedura del c.d. “reverse charge”, di fatture derivanti da acquisti intracomunitari.

Sul punto, la Corte ha stabilito che l’omessa doppia annotazione (i.e. da effettuarsi ai fini Iva sia nel registro delle vendite che nel registro degli acquisti) delle suddette operazioni, non pregiudica, avendo carattere formale, il successivo diritto alla detrazione Iva da parte del contribuente, a condizione che lo stesso diritto venga esercitato entro il termine di decadenza di due anni dal momento in cui è sorto, come stabilito, prima delle recentissimi modifiche apportate dal Decreto Legge 24 Aprile 2017 n. 50, dall’art. 19 del D.p.r. 26 Ottobre 1972 n. 633.

Ove il diritto alla detrazione non venga esercitato nei termini previsti dalla norma, ciò comporta che la violazione relativa all’Iva non versata in quanto illegittimamente compensata dal contribuente attraverso il meccanismo del “reverse charge”, vada conseguentemente sanzionata in misura proporzionale alla gravità del comportamento. In particolare, il caso sottoposto ai giudici della suprema corte verteva sul recupero dell’iva detratta dal contribuente a seguito dell’omessa regolarizzazione di acquisti intracomunitari e sul diritto alla detrazione fatto valere con una dichiarazione integrativa inviata successivamente al decorso dei due anni previsti dalla norma, con conseguente applicazione di misure sanzionatorie che la Commissione Tributaria Regionale aveva comminato, in modo non conforme al dettame di cui all’art. 6 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (“D. Lgs. 471/97”).

In questo senso la Suprema Corte ha rilevato che la violazione degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione delle operazioni imponibili ai fini Iva ex art. 46 del D.L. 30 Agosto 1993, n. 331 trova la sua sanzione proprio nel comma 1 del citato art. 6, considerato che l’integrazione della fattura assolve l’obbligo di documentazione delle operazioni imponibili e non nel comma 9 bis che invece sanziona il mancato o irregolare assolvimento dell’imposta e che nulla ha a che fare con il caso in analisi.

L’irrogazione delle sanzioni, in ordine al quantum, trova in ogni caso un limite nei principi dettati dalla Giurisprudenza Comunitaria in base ai quali, viene chiarito che in un caso come quello in commento le sanzioni dovranno essere graduate, tenendo conto del c.d. principio di proporzionalità introdotto a livello Comunitario con riferimento all’Iva.

Inoltre, considerata (i) la natura e la gravità della violazione in ragione del fatto che in considerata la forbice relativa alla percentuale sanzionatoria fissata (dal 100% al 200% ora modificata dal D Lgs. 158/2015) dall’art. 6 comma 1 del D. Lgs. 471/97 e (ii) l’impossibilità di adeguarla alle specifiche circostanze di ogni singolo caso di specie, la predetta sanzione non deve eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva (cfr. corte di Giustizia 17 luglio 2014, C-272/14 Equoland e sentenza della Corte di Cassazione, 15 luglio 2015 n. 14767).

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