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Giurisprudenza

I componenti negativi dei derivati speculativi sono indeducibili per imprese non esercenti attività creditizia o finanziaria in quanto non inerenti

8 Maggio 2017

Andrea Di Gialluca, Dottore Commercialista, Maria Adele Morelli, Ricercatrice Fondazione Nazionale Commercialisti (FNC)

Cassazione Civile, Sez. V, 28 febbraio 2017, n. 5160

Di cosa si parla in questo articolo

Con la recente sentenza del 28 febbraio 2017 n. 5160, la Corte di Cassazione ha stabilito la non deducibilità dei componenti negativi derivanti dalla stipulazione di un contratto di interest rate swap speculativo, per assenza del requisito della inerenza del costo rispetto all’attività esercitata, quando la società stipulante non opera nel settore creditizio o finanziario.

La controversia sottoposta allo scrutinio della Suprema Corte origina da un accertamento effettuato dall’Agenzia delle Entrate, per il periodo d’imposta 2003, su una società esercente attività diversa da quella creditizia o finanziaria.

Ai fini che qui rilevano, veniva recuperato a tassazione, ritenendolo indeducibile, in quanto privo dei requisiti di certezza e determinazione del costo ex art. 75 t.u.i.r.[1], l’accantonamento effettuato dalla società in un apposito “fondo rischi per contratto su derivati”, poiché la società, alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi, non era ancora in possesso della documentazione attestante il valore negativo del contratto derivato.

Nel corso dei giudizi di merito, la Commissione Tributaria Regionale si era espressa in senso sfavorevole al contribuente rilevando l’indeducibilità del costo in quanto lo stesso non rientrava tra gli accantonamenti fiscalmente deducibili previsti tassativamente dalla disciplina di cui all’art. 73, comma 4, t.u.i.r. vigente[2] ratione temporis.

Ulteriormente, il medesimo giudice territoriale escludeva l’applicabilità dell’art. 103-bis, comma 2-bis, t.u.i.r. al tempo vigente[3], il quale consentiva anche alle società non creditizie e non finanziarie di considerare componenti fiscalmente rilevanti del reddito di impresa gli elementi positivi e negativi risultanti dalla valutazione, a fine esercizio, dei contratti derivati. E ciò in quanto, nel caso di specie, la società non aveva valutato l’operazione tra i conti d’ordine oppure nella nota integrativa del bilancio, ma aveva unicamente rilevato l’operazione nel conto economico (come accantonamento) e nello stato patrimoniale (come fondo rischi su derivato).

Su quest’ultimo punto si soffermavano le censure sollevate dalla società ricorrente in sede di legittimità. In particolare, la società affermava la natura di componente negativo del reddito d’impresa della perdita derivante dal contratto derivato e la sua deducibilità in quanto la valutazione dello strumento finanziario, pur non risultando dai conti d’ordine, era, invece, apposta nello stato patrimoniale e nel conto economico della società.

Tale argomento è stato, però, superato dal Giudice di legittimità, che ha ritenuto dirimente quanto opposto dall’Agenzia delle Entrate, secondo la quale la perdita risultava, in ogni caso, indeducibile per la mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 75 t.u.i.r..

In particolare, infatti, è stata confermata la mancanza dei requisiti della certezza e della determinazione del componente negativo: ma, soprattutto, particolare interesse suscita quanto statuito dalla Suprema Corte in tema di inerenza.

I Giudici hanno, infatti, affermato che, posto che il principio di inerenza costituisce un presupposto necessario per la deducibilità dei componenti negativi che incidono nella determinazione del reddito di impresa, nessuna correlazione, neanche indiretta o mediata, è ravvisabile tra la perdita derivante dalla stipulazione di un contratto di interest rate swap speculativo e i ricavi o i componenti positivi derivanti dalla attività di impresa svolta da una società il cui oggetto sociale non è costituito dalla assunzione di rischi finanziari ma dalla produzione di beni.

 


[1] Oggi art. 109 t.u.i.r..

[2] Oggi art. 107, comma 4, t.u.i.r..

[3] È opportuno precisare che, con la riforma introdotta dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, la disciplina di cui art. 103-bis è stata trasposta nell’art. 112 t.u.i.r.

Di recente, peraltro, l’art. 112 t.u.i.r. è stato modificato dal d.l. 30 dicembre 2016, n. 244, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19 (c.d. “Decreto Mille Proroghe 2017”), al fine di tener conto della riforma contabile introdotta con il d.lgs. 18 agosto 2015, n. 139, applicabile ai bilanci di esercizio relativi all’anno 2016, (nonché dei nuovi Principi Contabili Nazionali approvati a fine anno tra cui l’OIC 32).

L’esposizione degli strumenti finanziari, prima della menzionata riforma del 2015, era prevista solo nei conti d’ordine e nella nota integrativa. In base alla nuova disciplina introdotta dal 2016, invece, gli strumenti finanziari derivati sono iscritti nello stato patrimoniale; mentre i conti d’ordine sono, invece, soppressi. Sul tema si rinvia a: D. Avolio, A. Devalle, Il nuovo regime contabile e fiscale degli strumenti derivati, in Fisco, 2017, 1621; A.M. Faienza, L. Magnano San Lio, Con il nuovo OIC 32 introdotto il fair value per gli strumenti finanziari derivati, in Corr. Trib. 2017, 661; Id.Per gli strumenti finanziari derivati introdotte le regole contabili basate sul “fair value”, in Corr. Trib., 2016, 1901.

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