Con la sentenza in commento, la corte di Cassazione si è pronunciata sul tema degli accertamenti di tipo induttivo, statuendo che l’amministrazione finanziaria è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente tenendo in considerazione anche le componenti negative del reddito, purché “siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente”.
Nel caso trattato, l’agenzia delle entrate ricorreva contro la sentenza n. 2395/35/201 della commissione tributaria regionale di Palermo del 24 giugno 2001 (depositata il 23 luglio 2014), eccependo il lavoro svolto dalla Ctr. Nel dettaglio, la commissione aveva:
- erroneamente ritenuto che, nella determinazione del reddito, in assenza di elementi certi di riscontro, si debba tener conto dell’incidenza percentuale dei costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati, procedendo a calcolare il peso percentuale dei “costi occulti”;
- aver ritenuto che fosse compito dell’ufficio provare l’inesistenza dei costi occulti.
La suprema Corte ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria rilevando che spetta al contribuente fornire le prove dell’esistenza o dell’inesistenza di elementi che alterano il risultato reddituale dichiarato.
Pertanto, nel caso in cui il contribuente intenda circoscrivere le pretese mosse nei suoi confronti, con le quali i ricavi vengono rideterminati in modo induttivo in ragione delle spese sostenute per realizzarli, tale rideterminazione, in difetto di prova, non può essere realizzata d’ufficio senza compromettere il principio della capacità contribuiva enunciato dall’art. 53 della Costituzione, in quanto non viene concessa al contribuente la possibilità di dimostrare la prova dell’esistenza di tali elementi che gli spetta per legge.