Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi nuovamente con riferimento al disconoscimento del credito Iva portato in detrazione da parte di una società, in veste di capogruppo, nell’ambito della procedura di liquidazione dell’Iva di gruppo disciplinata dall’art. 73, comma 3 del D.p.R 26 Ottobre 1972, n. 633.
In particolare, la contestazione relativa al disconoscimento del credito Iva portato in detrazione scaturiva a fronte del mancato invio all’Amministrazione Finanziaria dello specifico prospetto denominato 26PR, riservato agli enti e società controllanti e finalizzato al riepilogo dei dati di tutte le liquidazioni Iva dei soggetti aderenti alla particolare procedura e che risulta essere parte integrante della Dichiarazione Iva annuale che il contribuente è tenuto ad inviare nei termini di legge.
Nella sostanza, va rilevato come la pronuncia della Suprema Corte risulti in linea con il recente orientamento giurisprudenziale nazionale consolidatosi negli ultimi anni e sempre più incline a recepire l’orientamento di matrice Europea che ha chiarito come debba essere mantenuta la neutralità dell’Iva nei diversi passaggi “intermedi” tra i diversi operatori economici al verificarsi del rispetto di determinati requisiti, valorizzando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma (“substance over form principle”).
In particolare la Suprema Corte con la sentenza in oggetto, rifacendosi al consolidato orientamento dettato dalla Corte di Giustizia, abbraccia la tesi sostanzialistica e più rispettosa del principio della neutralità fiscale dell’Iva, in base alla quale il verificarsi di una violazione meramente formale (e.g. il mancato invio del prospetto 26PR obbligatorio per la società capogruppo nella procedura dell’Iva di gruppo) non deve risultare ostativo all’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta, se i correlati obblighi sostanziali sono stati soddisfatti da parte dell’operatore economico.
Ne consegue che il diritto alla detrazione dell’Iva a monte deve essere accordato se i requisiti sostanziali dell’esigibilità dell’imposta addebitata e la destinazione dei beni e/o servizi a operazioni soggette ad Iva risultino soddisfatti come era previsto in origine dall’art. 17 della Direttiva CEE 17/05/1977, n. 77/388/CEE e successivamente dagli art. 167 e 168 della Direttiva CEE 28/11/2006, n. 2006/112/CE, (in tal senso cfr. Corte di Giustizia CE Sentenza, 8 Maggio 2008, C-95/07 e C-96/07- Ecotrade S.p.A. e più recentemente, tra le altre, Sentenze, 11 Dicembre 2014, C-590/13 – Idexx Laboratories Italia S.r.l; 12 Luglio 2012 C-284/11, EMS – Bulgarian Transport; 22 dicembre 2010 C-438/09 – Dankowski).
Proprio in questi termini è stato affermato che la sanzione impropria dell’indetraibilità Iva costituisce – nel caso di specie – una penalizzazione eccessiva e sproporzionata rispetto all’errore commesso, consistente nel compimento di semplici adempimenti contabili formali (alcuni dei quali da considerarsi a volte superflui), dai quali oltretutto non è conseguito alcun danno per l’Erario Italiano.