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Giurisprudenza

La sopravvalutazione dell’usato finalizzata ad incentivare le vendite del nuovo scardina l’induttivo

5 Ottobre 2015

Stefano Loconte, Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima, Gabriella Antonaci, Avvocato, Loconte & Partners

Cassazione Civile, Sez. V, 30 settembre 2015, n. 19408

E’ nullo l’accertamento induttivo emesso nei confronti di un imprenditore che aveva proceduto all’acquisto dei veicoli usati ad un prezzo superiore a quello della successiva rivendita se la singola operazione, apparentemente antieconomica, si giustifica nell’ambito di una complessiva logica imprenditoriale e di una più ampia strategia commerciale.

E’ quanto statuisce la sentenza della Corte di Cassazione 30.9.2015, n. 19408.

I giudici di legittimità tornano ad occuparsi della antieconomicità delle operazioni imprenditoriali, cavallo di battaglia dell’Agenzia delle Entrate per l’emanazione degli accertamenti induttivi.

Come noto, qualora l’Agenzia delle Entrate ritenga un’operazione assolutamente contrastante con i canoni dell’economia, può, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, disconoscere la deduzione di un costo oppure accertare maggiori ricavi non dichiarati. L’onere della prova grava sul contribuente, il quale è onerato a fornire la giustificazione della regolarità dell’operazione, ovvero dimostrare che la presunta operazione antieconomica è in realtà frutto di ben precise scelte e strategie aziendali, alla luce delle quali la condotta – contestata ab origine come antieconomica – si rivela in realtà lecita (cfr. ex multis, Cass., 28075/2009; Cass., 6978/2015; Cass., 13468/2015).

Nel caso di specie, una società rivenditrice di veicoli industriali aveva proceduto a sopravvalutare i veicoli usati, ceduti in permuta dagli acquirenti, invece che praticare uno sconto sul prezzo di acquisto.

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società un accertamento di tipo induttivo, ritenendo la condotta antieconomica.

La contribuente, soccombente in primo grado, vedeva le proprie ragioni accolte dai giudici di appello.

Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate censurando la sentenza sulla base di due motivi di illegittimità.

Nel primo denunciava difetto di motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c, lamentando la mancanza di un iter logico giuridico nella decisione dei giudici di seconde cure, atteso che la Commissione Tributaria Regionale non aveva dato conto di tutti i passaggi economico – contabili idonei a dimostrare la correttezza dell’operazione.

Nel secondo motivo denunciava violazione di legge in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 2697 c.c., lamentando la violazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova tra Ufficio e contribuente.

La Corte di Cassazione, confermando la sentenza di secondo grado, respingeva il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, disattendendo il primo motivo per difetto di autosufficienza, atteso che, pur avendo denunciato il vizio di motivazione, l’Agenzia delle Entrate “non aveva evidenziato l’esistenza di specifici elementi idonei ad inficiarne l’impianto motivazionale”.

Più interessante è la censura con cui la Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta violazione dell’onere della prova, con riferimento al quale ritiene che “la incontroversa sopravvalutazione dei veicoli usati acquisiti in permuta dalla contribuente andava inserita nel contesto complessivo dell’operazione, ritenendo dunque che, a fronte dalla valutazione di antieconomicità da parte dell’Agenzia e del conseguente accertamento induttivo ex art. 39 DPR 600/73, la contribuente avesse fornito un’adeguata giustificazione”.

La Corte di Cassazione ha dunque riconosciuto che la contribuente avesse fornito prova della strategia sottesa alla presunta condotta antieconomica svolta: in pratica, sopravvalutando l’usato invece di applicare uno sconto sul prezzo di acquisto, la società aveva raggiunto il medesimo risultato economico consistente nella vendita di veicoli nuovi. In definitiva, la presunta condotta antieconomica veniva giustificata dal contribuente con l’incentivo della vendita di veicoli nuovi, cui la sopravvalutazione dell’usato era strumentale.

In conclusione, ad avviso della Suprema Corte, “non è dunque ravvisabile la dedotta violazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova posto dall’art. 2697 c.c., atteso che la CTR ha appunto ritenuto che la contribuente avesse assolto all’onere della prova contraria, sulla stessa gravante, a fronte della presunzione iuris tantum derivante dalla antieconomicità dei veicoli ceduti in permuta, posta a fondamento dell’accertamento dell’Ufficio”.

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