Con la sentenza n. 4021 del 14 marzo 2012 la sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione affronta il ricorso promosso da una società cooperativa contro il diniego al rimborso delle ritenute sugli interessi bancari percepiti, operate, a detta della contribuente, a titolo di acconto e non a titolo di imposta.
La Commissione Tributaria Regionale aveva infatti ritenuto applicabile il principio secondo cui, avendo la cooperativa accantonato le somme in questione sotto forma di riserve indivisibili, ed avendo perciò fruito del regime di esenzione di cui all’art. 12 della L. n. 904/77, le ritenute in contestazione fossero da considerarsi operate a titolo di imposta, con la conseguenza che il contribuente, in relazione alle stesse, non poteva vantare diritto alcuno al rimborso.
Il citato art. 12 della 1. n. 904/77 prevede infatti che “non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento”.
Secondo la ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe mal valutato il fatto che gli utili accantonati a riserva indivisibile ai sensi della norma succitata, e costituti da interessi attivi di conto corrente bancario percepiti dalla cooperativa, non sarebbero esenti da IRPEG, ma di fatto a tale imposta non assoggettati, avendo fruito del regime di sospensione proprio delle Cooperative di garanzia, sicché al cessare delle condizioni che ne consentono la sospensione da imposta, concorrerebbero a formare il reddito imponibile.
Per tale motivo, sempre secondo la ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto considerare le ritenute operate su tali interessi attivi a titolo di acconto, ai sensi dell’art. 26, co. 4 del d.P.R. n. 600/73, e non di imposta, con conseguente spettanza del diritto di rimborso delle stesse, ove risultino in eccedenza rispetto all’imposta dovuta, una volta venuta meno la sospensione che ne determina la provvisoria non assoggettabilità ad imposizione.
La Cassazione rigetta il ricorso promosso dal contribuente sulla base dei seguenti principi.
Secondo la Corte, la corretta qualificazione delle ritenute operate ai fini IRPEG, non è correlata alla qualità del soggetto percettore del reddito, ovvero alla circostanza che si tratti, o meno, di soggetto esente da imposta, bensì al regime cui è sottoposto il reddito stesso nel periodo di imposta in discussione.
Deve quindi ritenersi che costituisca ritenuta a titolo di acconto quella operata su un reddito che concorre a determinate la base imponibile; viceversa, costituisce ritenuta a titolo di imposta quella operata su un reddito non assoggettabile ad imposizione.
Per la Corte, se il reddito non è esente da imposta, la ritenuta è, appunto, un acconto, la cui definitiva congruità dovrà essere valutata in sede di consuntivo, il quale potrà alternativamente evidenziare, o la sussistenza di un ulteriore debito di imposta, ovvero la spettanza del diritto al rimborso, qualora le ritenute operate eccedano l’imposta dovuta dal contribuente.
Per converso, se il reddito non è assoggettato a IRPEG, la ritenuta costituisce un’ “imposta secca”, avendo il legislatore evidentemente ritenuto trattarsi comunque di una manifestazione di ricchezza, come tale assoggettabile a prelievo in via definitiva, in misura, cioè, non ancorata all’ammontare complessivo dei redditi del contribuente.