“La crisi è una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché porta progressi. E’ lì che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi, supera se stesso […]”. Così Albert Einstein definiva le guerre, il baratro economico e le carestie durante il suo tempo.
Può sembrare estremo, ma oggi siamo tutti parte di quel pensiero diventato improvvisamente concreto e comprensibile, una sorta di spunto per non fermarsi e, al tempo stesso, evolversi.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito al sempre maggiore diffondersi della c.d. Finanza Tecnologica, come dimostrato dalla recente ricerca sul Fintech effettuata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, riassunta anche in un’esplicativa presentazione video pubblicata su You Tube[1].
La rivoluzione digitale riguarda il settore del credito e della finanza, l’ambito assicurativo, i cripto-asset, i servizi di pagamento, l’home banking e l’applicazione delle tecnologie open distributed ledger quali Blockchain, promuovendo collaborazioni tra attori diversi nel mondo dell’open finance.
L’interessante ricerca rileva che l’innovazione dell’offerta di servizi finanziari parte dal dato delle n. 326 startup Fintech & Insurtech attualmente presenti in Italia, con un volume complessivo che, a febbraio 2020, ammonta a 654 milioni di euro.
La maggioranza delle imprese Fintech utilizza piattaforme web, adottate dal 68% degli operatori, ma anche API (Application Program Interfaces), impiegate dal 62% e strumenti di Big Data, su cui fa leva il 55% di esse.
L’innovazione non riguarda solo l’offerta, ma anche la domanda. Sempre maggiore è la quantità di soggetti che utilizzano almeno un servizio Fintech: nel 2019 i più impiegati sono stati gli strumenti di pagamento on-line e i programmi chatbot per comunicare con la banca, seguiti dai servizi di gestione del budget familiare, dalle piattaforme di trading e cripto-valute e dai salvadanai digitali automatici.
Secondo la citata ricerca, tra i servizi più apprezzati si collocano ai primi posti anche le assicurazioni on-demand e i servizi di social lending, ossia i prestiti tra privati per il tramite di piattaforme on-line.
A preferire quest’ultima tipologia di finanziamento smart sono per lo più però clienti corporate, che prediligono rispetto ai consumatori i canali digitali.
In particolare, il canale on-line prevale per le imprese in relazione a prodotti finanziari come lo sconto fatture (piattaforme di invoice trading) e il factoring.
Diversamente, emerge come – per la clientela retail – continui a prevalere l’uso del canale fisico per prodotti quali mutui, prestiti, leasing e investimenti[2].
Ciononostante, anche il 45% delle aziende sembra dare grande peso al carattere tailor made dell’offerta di servizi finanziari, la quale deve dunque adattarsi alle necessità dell’azienda ed essere in grado di offrire un apporto consulenziale di tipo continuativo, settato sulle specifiche esigenze finanziarie della stessa.
A dispetto della panoramica incoraggiante sull’evoluzione dei servizi finanziari, l’Italia si pone però ancora oggi quale fanalino di coda tra gli Stati “Fintech Friendly”, rispetto ad esempio al Regno Unito, agli Stati Uniti, alla Cina, ma anche a Paesi europei quali Francia e Spagna.
Indice rivelatore inequivocabile di tale scarto tecnologico è riscontrabile nel fatto che l’Italia è tra i pochi Paesi a non aver ancora normato, compiutamente e in maniera complessiva, il settore della Finanza Tecnologica così come sopra latamente inteso.
Gli interventi del Legislatore sulla materia si sono, infatti, mostrati disarticolati e incapaci di offrire un panorama regolatorio d’insieme in grado di assicurare maggiore certezza agli operatori del settore.
A prescindere dalle ragioni che hanno condotto a tale cauto approccio del nostro Paese alla Finanza Tecnologica – tra cui possono annoverarsi senza pretesa di esaustività i rischi concreti connessi all’antiriciclaggio, alla trasparenza e all’usura, oltre alla necessità di garantire ai player tradizionali un lento e graduale approccio nell’ottica di un “cambio di pelle” degli stessi – occorre valutare in che modo le attuali emergenze sanitarie ed economiche stiano suggerendo agli operatori del settore finanziario di considerare un’evoluzione del canale di offerta dei propri servizi.
Ad esempio, si stanno sviluppando sempre più alcuni servizi volti ad affrontare il fabbisogno di liquidità delle piccole e medie imprese, consentendo a queste la cessione dei propri crediti commerciali attraverso una piattaforma Fintech, talvolta agevolandone i costi di accesso e di fruizione.
Altri servizi consistono nella creazione di specifiche piattaforme on-line che agevolano prestiti tra privati per sostenere le PMI colpite dall’emergenza sanitaria. In particolare, spesso, si tratta di prestiti progettati per coprire le spese correnti delle aziende (salari e stipendi, affitti, utenze).
Le più recenti tecnologie, inoltre, consentono anche ai consumatori di ottenere un prestito senza bisogno di recarsi in banca, ma accedendo a piattaforme on-line spesso gestite direttamente dai finanziatori o dagli intermediari del credito. Questo è possibile grazie anche all’implementazione di servizi legati all’Open Banking (PSD2) su richiesta del cliente, i quali permettono di accedere direttamente ai dati bancari di quest’ultimo e ottenere, ad esempio, l’estratto conto necessario per la pratica di prestito.
Sul mercato Fintech l’impatto dell’attuale emergenza sanitaria consente altresì di sfruttare la tecnologia Blockchain per agevolare in campo medico la verifica smart di dati sanitari o per incoraggiare i pagamenti cashless a distanza.
La Finanza Tecnologica, però, non interviene soltanto in aiuto alla crisi, ma talvolta con fini speculativi sulla stessa: si tratta del Corona Coin, una moneta digitale coniata su una piattaforma registrata nelle Isole britanniche dell’Oceano Indiano che consente ai traders di scommettere sulla diffusione dell’attuale epidemia di Coronavirus.
Al contrario, le iniziative di equity crowdfunding, spesso con finalità di aiuto ai territori colpiti dalla pandemia, si realizzano anche mediante piattaforme costituite da Banche, Fondi di Investimento e SIM, consentendo al donante un beneficio fiscale che va da un minimo del 30% sino al 50% dell’importo donato e senza gravami dovuti a compensi per costi amministrativi.
Infine, secondo quanto riportato da una nota piattaforma informativa InsurTech, la ricerca online di prodotti assicurativi per la salute è cresciuta nelle ultime settimane di circa otto volte, un segno del rapido cambiamento in merito alla percezione del rischio e della necessità anche per il mercato assicurativo di evolversi in ottica tecnologica.
Tutte le iniziative descritte andrebbero probabilmente lette come trend di costante integrazione del mondo bancario rispetto alle nuove tecnologie, certamente in progressiva crescita nell’ultimo triennio.
Nel complesso degli investimenti sul FinTech effettuati dai player tradizionali della finanza, infatti, oltre l’80% sono riconducibili a banche o intermediari, e solo la parte restante a Fondi di investimento o SIM. La modalità di interazione più frequente è la partnership in combinazione con incubatori, acceleratori e distretti o mediante acquisizione di partecipazioni in imprese FinTech.
In quest’ottica, di assoluta centralità è il ruolo delle Autorità di Vigilanza, le quali sono destinatarie di compiti di osservazione, indirizzamento e presidio a fini conformativi, prima ancora che di funzioni sanzionatorie.
[1] La presentazione video è disponibile al link: https://www.youtube.com/watch?v=MiI0dcULx4Y
[2] In quest’ambito possono farsi rientrare anche le forme di “accantonamento familiare”.