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Contratti di cessione delle partecipazioni sociali: l’arbitraria equiparazione di “impegni di garanzia” e “clausole di revisione del prezzo” in una recente decisione del Tribunale di Milano

24 Gennaio 2017

Christoph Jenny e Giovanni Cucchiarato, Studio Legale Jenny.Avvocati

Tribunale di Milano, 6 maggio 2016, n. 5695

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione

Una recente decisione del Tribunale di Milano ha affrontato la questione concernente la natura degli «impegni di garanzia» assunti dal venditore nei confronti dell’acquirente di una partecipazione societaria, finendo – come si viene dicendo – per svilire la differenza tra clausole di garanzia e clausole di revisione del prezzo.

Sminuendo la rilevanza dell’elemento terminologico ai fini qualificatori, la Corte ha infatti stabilito che l’accordo in virtù del quale il venditore si era impegnato a tenere indenne l’acquirente in relazione alle spese sostenute per dati procedimenti giudiziari (a) rappresenta una «garanzia prestata in ordine a vicende già precedenti il negozio di compravendita per cui è causa e relative a beni e rapporti inerenti il patrimonio personale degli alienanti»; (b) l´accordo è assimilabile ad una «clausola di revisione del prezzo a fronte della effettiva consistenza patrimoniale del bene oggetto di compravendita»; (c) si tratta di uno schema negoziale non riconducibile alla garanzia fideiussoria per obbligazioni future; e (d) non può pertanto dirsi fondata l’eccezione di nullità della clausola per indeterminatezza ex art. 1938 c.c., che subordina la validità delle garanzie fideiussorie per obbligazioni future e condizionate alla puntuale previsione di un «importo massimo garantito».

La stringatezza del percorso argomentativo non consente di pervenire a conclusioni definitive in merito alla coerenza e condivisibilità della regola decisionale formulata dal Giudice e soprattutto del percorso argomentativo che la sorregge. Nondimeno, la qualificazione degli impegni di garanzia (e del connesso obbligo di indennizzo) alla stregua di «clausole di revisione del prezzo a fronte dell’effettiva consistenza patrimoniale del bene oggetto di compravendita» merita qualche pur minimale considerazione.

Pertanto, dopo aver sommariamente descritto la vicenda (paragrafo 2) e dato atto della decisione resa dal Giudice e delle relative motivazioni (paragrafo 3), si provvederà all´isolamento della questione oggetto di analisi (paragrafo 4) e successivamente ci si sforzerà di illustrare le ragioni dello scetticismo circa la equiparazione tra “impegni di garanzia” e le clausole di revisione del prezzo esplicitamente operata dal Giudice della decisione in commento (paragrafo 5) ed altresì di porre in rilievo alcuni elementi concreti che, se considerati, avrebbero potuto consentire di pervenire ad una soluzione differente (paragrafo 6). Alcune notazioni riassuntive concludono (paragrafo 7).

2. La vicenda

I fatti di causa erano, in breve, i seguenti. In occasione della cessione del capitale sociale di una S.p.A., gli alienanti – il socio di maggioranza ed il socio di minoranza – avevano prestato garanzie anche in relazione ai costi generati da taluni giudizi in corso, con riferimento ai quali si era in contratto pattuito (a) che «eventuali spese legali … saranno a carico della Società [acquisita] fino al valore complessivo di euro 10.000» e (b) che «[l]a parte eccedente sarà oggetto di indennizzo» in conformità ad altra e complementare previsione negoziale, secondo cui il precedente socio di maggioranza «si impegna[va] a indennizzare [senza limiti] gli acquirenti … per qualsiasi perdita, danno, costo, onere o spesa riferite a eventi o circostanze verificatesi sino alla data del 31.12.2011 (anche se venutine a conoscenza dopo tale data) imputabili ai venditori e riconducibili alla gestione … precedente …».

A fronte della pretesa di ottenere il rimborso di un importo complessivamente pari a circa 40.000 euro, il socio di maggioranza, convenuto in via esclusiva in ragione della limitazione di responsabilità sin dall´inizio pattuita dal co-alienante, si era difeso eccependo (1) la nullità della garanzia prestata in ragione – sembra di capire – della indeterminatezza della garanzia futura prestata, in supposto contrasto con la disciplina della fideiussione per obbligazioni condizionate o future; (2) la inesatta interpretazione del testo contrattuale, che secondo il convenuto prevedeva una garanzia per le spese relative solo alle cause in cui la società ceduta era parte convenuta; e (3) la collocazione temporale dei fatti da cui erano scaturite le pretese di parte attrice oltre la data del 31.12.2011.

3. Decisione e motivazione

Il Giudice ha deciso di accogliere le domande attoree solo in parte, condannando la società convenuta al pagamento di un importo tutto sommato “mimino” rispetto a quello oggetto del petitum: circa 7.500 euro.

A sostegno di questa decisione, il Tribunale milanese ha addotto tre ordini di ragioni:

(i) l’accordo in virtù del quale il venditore si era impegnato a tenere indenne l’acquirente in relazione alle spese sostenute per dati procedimenti giudiziari rappresenterebbe una «garanzia prestata in ordine a vicende già precedenti il negozio di compravendita per cui è causa e relative a beni e rapporti inerenti il patrimonio personale degli alienanti» che sarebbe prossima ad una «clausola di revisione del prezzo a fronte della effettiva consistenza patrimoniale del bene oggetto di compravendita»; e non, invece, una garanzia per obbligazioni future, cosicché – non essendo applicabile l´art. 1938 c.c. (che subordina la validità delle garanzie fideiussorie per obbligazioni future e condizionate alla puntuale previsione di un “importo massimo garantito”) – la garanzia è da dirsi pienamente valida; 

(ii) è da considerarsi pretestuosa la tesi di parte convenuta secondo cui dovrebbe preferirsi una interpretazione del testo contrattuale in base alla quale i detti “impegni di garanzia” concernerebbero esclusivamente le cause in cui la società ceduta fosse stata convenuta;

(iii) uno dei procedimenti – poi conclusosi sfavorevolmente per la società acquisita – era bensì stato iniziato prima del termine del 31.12.2011, ma la scelta di proseguirlo e la sua gestione erano da imputare alla nuova gestione, sicché i relativi costi non rientrano nell´oggetto della garanzia pattuita (mentre i costi relativi alla sola fase introduttiva rientrano verosimilmente nella franchigia e non possono pertanto formare oggetto di pretesa alcuna).

4. Le questioni rilevanti

La essenzialità del provvedimento (sia nella parte narrativa che nella parte motiva) non consente – come già rilevato in limine – di verificare appieno se la decisione del Giudice possa (o meno) dirsi del tutto condivisibile: può anche concedersi che la vicenda sia stata descritta in modo parziario ed il percorso motivazione esposto in termini – per così dire – sintetici; e che, pertanto, inevitabilmente sfuggano al lettore altri elementi di cui il Tribunale aveva invece piena contezza e che potrebbero valere a spiegare le “peculiarità” del decisum ed il tenore delle rationes decidendi.

Nondimeno, pur nella piena consapevolezza che non è certo questa la sede per indulgere in una organica discussione sulle problematiche poste dai complessi regolamenti negoziali predisposti per disciplinare le operazioni di cessione delle partecipazioni sociali, né per procedere ad una compiuta trattazione anche di una sola delle questioni che hanno occupato il Giudice del provvedimento in commento, appare altrettanto legittimo formulare qualche riflessione circa l´asserita equiparazione della «garanzia» fornita dal venditore ad una «clausola di revisione del prezzo a fronte della effettiva consistenza patrimoniale del bene oggetto di compravendita».

5. Critica: (a) l´apparato concettuale utilizzato dal Giudice …

Non è dato sapere se sia stata la concreta conformazione della garanzia, innanzitutto in punto di contenuti precettivi, ad avere nel caso di specie indotto il Giudice a riqualificazione i detti impegni di garanzia alla stregua di una clausola di aggiustamento del prezzo. Il provvedimento non lascia infatti emergere elementi utili a validare tale ipotetica e pur astrattamente plausibile conclusione.

È però ragionevole ipotizzare che i contenuti del patto controverso riflettessero la scelta delle parti – risultante, questa, dal testo del provvedimento – di convenire sulla assunzione di dati «impegni di garanzia»: il che, ferma restando in generale la ovvia necessità di condurre di volta in volta un´indagine che non si arresti al mero significato letterale delle parole utilizzate dai paciscienti, non può non avere un (pur non dirimente) significato.

Da qui la domanda seguente: quali sono gli elementi discriminanti tra una garanzia ed una clausola di revisione del prezzo? Ovvero: quali sono gli elementi in considerazione dei quali una garanzia «viene propriamente ad atteggiarsi a legittima clausola di revisione del prezzo a fronte dell´effettiva consistenza patrimoniale del bene oggetto di compravendita»?

È noto che dal punto di vista concettuale tra le une e le altre sussiste una insuperabile differenza sul piano “causale”, di cui, pur soltanto implicitamente, lo stesso Giudice dà atto di essere a conoscenza; ed è altresì noto che, dal punto di vista pratico, la clausola di aggiustamento può in concreto rappresentare il presupposto per pervenire ad una modifica del prezzo originariamente concordato, in particolare ove – tra le molteplici opzioni transazionali a disposizione – si sia previsto che il prezzo originario debba essere “corretto” alla luce di eventuali crediti medio tempo generati dall´accertamento della veridicità delle representations and warranties. Si aggiunga pure, poi, che le diverse finalità delle une e delle altre clausole si ripercuotono massicciamente anche sui rispettivi contenuti – ovvero, se si preferisce, sul “wording”.

È altrettanto noto che, in un ambito dominato dall´autonomia contrattuale, le soluzioni possono essere molteplici e che in concreto possono essere previsti – per esempio in relazione a garanzie concernenti le future performance della società acquisita – meccanismi analoghi a quelli tipicamente previsti per le clausole di aggiustamento del prezzo (cd. “earnout clauses”).

Tuttavia, a parte la specificità di questo tipo di garanzie, che ben poco hanno di funzionalmente analogo alle garanzie fideiussorie vere e proprie (concernenti, per definizione, ciò che è rappresentabile e suscettibile di essere garantito perché, appunto, già esistente in quel dato momento), si tratta di una configurazione solo possibile, ma affatto necessaria.

È infine innegabile anche che, in taluni particolarissimi casi, gli impegni di garanzia abbiano una funzione praticamente equiparabile a quella delle clausole di aggiustamento del prezzo; ma che ciò certamente non consenta di equipararle sol perché comunque sia le une che le altre incidono sulle complessive “partite di dare ed avere”.

È però chiaro, allora, che proprio tali considerazioni valgono a dare atto dell´esistenza di un quadro assai complesso ed in costante evoluzione che dovrebbe per i giudici risolversi in un implicito comando, a fronte di ipotesi “border-line”, a dare puntualmente atto delle ragioni per cui di volta in volta si è ritenuto di poter concludere che si è al cospetto di una garanzia e non di una clausola di aggiustamento del prezzo (o viceversa), sì da accrescere il grado di certezza del diritto.  

Il Giudice del provvedimento in commento ha invece ritenuto di non doversi cimentare in questo esercizio: optando per una equiparazione che (nella misura in cui non è sorretta da una motivazione) risulta arbitraria, la Corte milanese ha infatti rinunciato ad introdurre elementi utili a chiarire i contorni di una distinzione che nella prassi assume invece notevole rilievo.

Basti al riguardo notare che mentre in caso di disaccordo tra le parti circa la determinazione dell’indennizzo, si è soliti ricorrere al giudice o ad un arbitro, avviando dunque una vera e propria controversia che verte sull’esistenza del diritto stesso e sulla sua quantificazione, l’eventuale disputa sul prezzo è invece usualmente decisa da un arbitratore-revisore(ex art. 1349 c.c.), cui è affidato il compito di integrare il contratto identificando il prezzo, senza potere esprimersi su violazioni o interpretazione del testo contrattuale.

6. Segue: … e (b) le specificità del caso concreto

Quanto testé osservato induce dunque ad ipotizzare che il Tribunale milanese abbia arbitrariamente annullato la differenza esistente, sul piano concettuale, tra clausole di indennizzo e clausole di riduzione del prezzo. Ma vi è di più.

Alla luce di quanto il provvedimento in commento lascia emergere, parte attrice (all´epoca dell´acquisto Cofin Sim S.p.A.) risultava essere l´impresa target, cui il contratto – prevedendo che «i venditori e Cofin Holding si impegnano a indennizzare gli acquirenti, ovvero, su indicazione degli acquirenti, Cofin [Sim S.p.A.]» – ha permesso di agire giudizialmente per ottenere ristoro dei danni per danni subiti e in relazione ai quali i venditori avevano illo tempore rilasciato apposite dichiarazioni e garanzie.   

Siccome è inimmaginabile che Cofin [Sim S.p.A.] – in quanto target dell’acquisizione e acquirente (di sé stessa) – potesse essere ex contractu autorizzata a chiedere la riduzione del prezzo, mentre è ammissibile che fosse invece autorizzata a chiedere un indennizzo, risulta ancora più incomprensibile la scelta del Giudice di parificare una clausola di garanzia ad una clausola di riduzione del prezzo.

Peraltro, se anche la causa fosse stata promossa dall’acquirente (Assiteca Sim S.p.A., che potrebbe aver incorporato Cofin Sim S.p.A.) e se anche l’acquirente avesse potuto lamentare il danno scaturente dalla diminuzione del valore della partecipazione “in pancia”, sarebbe stata certamente configurabile, in astratto, una corrispondente aspettativa a vedere ridotto il prezzo (per effetto, appunto, della rilevata diminuzione di valore). Tuttavia, la duplice circostanza che in tal caso non vi fosse una disciplina pattizia volta a consentire all´acquirente di ottenere una revisione del corrispettivo e che la clausola incida sulla regolamentazione delle complessive partite di dare ed avere originate dalla transazione non vale certo ad alterare il contenuto e le funzioni tipiche di una clausola di garanzia: la clausola è e resta, infatti, una clausola di garanzia.

Se esigere od anche solo aspettarsi dal Giudice una considerazione maggiore delle implicazioni contabili e fiscali derivanti dall´una o dall´altra qualificazione sarebbe stato forse eccessivo, appare invece legittimo esigere – anche a prescindere dall´importanza del ruolo delle corti nell´aiutare gli operatori pratici a discernere tra concetti ed a trarne le conseguenze in punto di trattamento normativo applicabile – che il Giudice presti attenzione agli aspetti concettuali e soprattutto alla fisionomia concreta delle fattispecie sottoposta al suo vaglio.

7. Conclusioni

In linea di principio gli impegni di garanzia e le clausole di aggiustamento del prezzo rispondono ad una funzione diversa e presentano caratteristiche diverse; e, in quanto tali, devono essere considerate e trattate diversamente, salvo che – come si è detto – vi siano elementi tali da giustificare una riqualificazione del contratto.

Di tali elementi, però, dovrà allora darsi puntualmente atto da parte del Giudice eventualmente chiamato a vagliarne, a seconda dei casi, la validità o l´efficacia, onde scongiurare il duplice pericolo che – da un lato – si pervenga ad una sentenza ingiusta sul piano della regolamentazione delle situazioni sostanziali controverse (o quantomeno inesatta sul piano logico-giuridico ed argomentativo); e – dall´altro lato –  una data regola decisoria si trasformi in un pericoloso precedente suscettibile di distorcenti manipolazioni in grado di generare perniciose forme di incertezza circa la disciplina effettivamente vigente e la stabilità del regolamento contrattuale.

Da quanto osservato discende allora che, almeno nella misura in cui arbitrariamente assimila gli «impegni di garanzia» assunti dal venditore ad una «clausola di aggiustamento del prezzo», senza esternare le ragioni di tale equiparazione e senza debitamente valorizzare le specificità del caso concreto, il provvedimento in commento costituisce un precedente da cui non si può fare a meno di prendere le distanze.

Vi è inoltre che, almeno nel caso di specie, vi erano elementi utili a legittimare una conclusione diversa circa la qualificazione della clausola controversa; elementi che non avrebbero alterato i termini della concreta regola decisoria formulata dal Giudice, ma che avrebbero richiesto l’elaborazione di un diverso e più articolato percorso argomentativo.

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