(*)1. L’elemento che più m’ha colpito nella vicenda delle “quattro banche” è dato dalla convergenza di due caratteri della regolazione – opacità e tossicità – che s’intrecciano creando una preoccupante miscela.
L’opacità è tratto strutturale delle metodiche di gestione delle crisi bancarie, riscontrabile sia nelle diversificate vicende realizzatesi all’indomani dell’avvio dell’Unione Bancaria Europea, sia nei forti spazi discrezionali nel ricorso a differenziati strumenti di intervento, anche precoce, secondo il percorso ora concluso dalla BRRD[1]. L’unico dato certo è che ogni crisi bancaria ha una storia a sè.
Per un lungo periodo, nella realtà nazionale le situazioni di maggior tensione sono state costantemente gestite con il ricorso ad una robusta azione di moral suasion, sostenuta dall’impiego del credito di ultima istanza e dal ‘decreto Sindona’. Tutti elementi erosi dall’evoluzione comunitaria della disciplina degli aiuti e degli asseti di regolazione, che ha da ultimo affievolito la pregnanza dei poteri di moral suasion: non ancora riconosciuti/riconoscibili in capo alla BCE, non più pregnanti in capo alle singole autorità nazionali.
Pur nel mutato quadro normativo, diverse storie di interventi risolutori di crisi bancaria stanno convivendo anche in questi mesi: dalle soluzioni realizzate nell’ambito del sistema BCC; alla soluzione Tercas, dove la mutazione genetica dell’intervento FITD ha garantito la saldezza dell’acquisizione; al Decreto sulle “quattro banche”[2], la cui reale funzione quanto meno non emerge dalla relazione di accompagnamento al progetto di legge di conversione (AC 3446), nè dalle molte narrazioni ufficiali che lo hanno contornato.
2. La vicenda legislativa che al riguardo s’è svolta presenta opacità nei contenuti e nel procedimento.
L’intervento normativo costituisce un elemento di un’operazione complessa, oggettivamente orientata a impacchettare con gran rapidità delle banche pulite.
Si è, quindi, scelto di realizzare la risoluzione delle vecchie banche, passando le sofferenze alla bad bank, lasciando la gestione degli esuberi di personale alle vecchie banche[3], ponendo una barriera non rimovibile alle perdite subite da azionisti e obbligazionisti subordinati delle vecchie banche.
Riguardo a queste ultime posizioni, in particolare, mentre le obbligazioni subordinate parificate al capitale sono state estinte, al pari delle azioni, le obbligazioni subordinate non parificate al capitale sono state lasciate in capo alle vecchie banche, depauperate di ogni attivo. Le relative possibilità di realizzazione del credito finiscono così per restringersi all’incerta ed impervia prospettiva delle azioni risarcitorie nei confronti dei vertici delle vecchie banche, inserite o meno nell’ambito di un eventuale procedimento penale[4].
Tale scelta di consolidamento delle perdite – senza previsione di clausole di rientro di alcun genere collegate agli attivi trasferiti alle nuove banche (ed emendamenti in tal senso erano presentati nel corso della discussione parlamentare per la conversione del Decreto) – non trova univoca base giuridica, né è stata oggetto di chiarimenti.
Senza abbandonarsi a dietrologie, si può solo rilevare che:
– il ricorso alla risoluzione e non al bail in ha comportato che non si ponesse il problema di rispettare il (diverso) ordine di ‘allocazione’ delle passività di cui agli artt. 48 BRRD e 52 d. lgs. 180, ordine con margini di incertezza derivanti dal raccordo con le classificazioni del ‘pacchetto CRD’, tanto che l’art. 48, par. 6 BRRD conferisce mandato all’EBA di sciogliere gli arcani;
– il dettaglio della scelta non è riconducibile alla Comunicazione della Commissione che condizionava al burden sharing il ricorso ad aiuti di stato per i salvataggi bancari[5].
Sulla via della conversione del Decreto – ed è qui l’opacità nel procedimento – si è realizzata una vicenda istituzionalmente singolare.
Nel corso della discussione sulla legge di conversione (AC3446), la pressione derivante anche dalla risonanza mediatica dell’ atto estremo di un obbligazionista portava numerosi e marcati ostacoli alla conversione, bloccando la discussione già su questioni preliminari.
Pendente tale impervia discussione, il Decreto è stato contestualmente presentato come emendamento alla legge di stabilita, discusso e ‘compensato’ nella Commissione V della Camera, quindi impacchettato nel testo sottoposto a voto ‘cumulativo’, anche di fiducia.
Abbiamo così, rispetto al medesimo atto normativo, da un canto un “Decreto-legge decaduto il 22 gennaio 2016”[6] , d’altro canto la seguente previsione della legge di stabilità: “Il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, e’ abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge n. 183 del 2015” (art. 1, co. 854, l. 28 dicembre 2015, n. 208), in vigore dal 1° gennaio 2016. Non sono una costituzionalista, nè un’esperta di regolamenti parlamentari, ma la forzatura di percorso e l’attrazione del voto favorevole ai contenuti del Decreto nel conglomerato della legge di stabilità risultano evidenti.
3. In punto di tossicità delle regole, rilevo che il progressivo intensificarsi delle richieste regolatorie di rafforzamento patrimoniale ha da tempo portato le banche ad incentivare corposamente la raccolta di capitale di rischio e subordinato, inondando il mercato di strumenti che – alla luce delle attuali regole di gestione delle crisi – hanno visto consolidarsi un grado di rischiosità notevolmente elevato.
Il fenomeno è risalente – benchè solo di recente esso sia stato stigmatizzato dal Joint Committee delle ESA[7] – e ben presente nell’evoluzione del contesto nazionale, caratterizzato dall’elevata diffusione di titoli somministrati alla clientela retail, spesso con pratiche leganti, a scapito della diffusione di titoli presso investitori professionali.
E le caratteristiche del fenomeno non penso fossero ignote alle autorità di vigilanza, visto che un qualunque cittadino, fruendo di notizie pubbliche, poteva rilevare che:
– le emissioni meno appetibili[8] avevano tagli di 1.000 euro, a differenza da quelle con tagli di 49.999 euro;
– in caso di scambi sul mercato secondario, rilevabili sui mercati regolati, si registravano scambi, spesso sotto la pari, solo per le emissioni meno appetibili, mentre nulla si muoveva su quelle di maggior taglio/pregio.
D’altro canto, erano le stesse evoluzioni del quadro regolamentare che avevano agevolato simili possibilità di collocamento, privilegiando finalità di tutela della stabilità delle banche specie in uno scenario nazionale che, nel confronto europeo, rendeva particolarmente difficile e oneroso l’approvvigionamento delle banche italiane.
Ricordo che la distribuzione di “prodotti finanziari emessi dalle banche” è stata attratta nell’alveo delle discipline del prospetto e delle regole di comportamento di cui al tuf solo con la ‘legge risparmio’, 262/2005.
In particolare, si abrogava l’esenzione da prospetto di cui all’art. 100, 1°, lett. f tuf in conformità con la direttiva prospetti 2003/71/CE, che prevedeva prospetti semplificati in serie per le obbligazioni bancarie ‘plain vanilla’, introducendo un tipico strumento di incentivo per quella raccolta (cfr. art. 34 ter reg. emittenti).
4. La legge risparmio, quindi, innesta nel mondo bancario i ‘classici’ due piani di tutela, comportamentale e informativa/documentale, idoli che si sono via via articolati ed affinati, in parallelo con la rilevazione della loro relativa inefficienza.
Per il versante degli obblighi comportamentali, grande enfasi è oggi posta sul criterio di adeguatezza. Esso sarebbe rafforzato dalla Mifid2 – la cui entrata in vigore ha peraltro subito un nuovo rinvio, al 2018 – unitamente a qualche timido intervento di product governance.
Devo dire che nutro forti dubbi sulla efficacia degli obblighi di adeguatezza. A prescindere dalla considerazione che il loro rispetto rinvia ad una valutazione ex post, costituendo il presupposto di (inevitabili) contenziosi in caso di performances negative dell’investimento, c’è il fatto che la sua articolata (adeguatezza/appropriatezza) vigenza non ha precluso la distribuzione di prodotti non adeguati/appropriati.
E ciò a prescindere dalla nettezza della norma: basti pensare alla distribuzione di prodotti assicurativi, nella vigenza dell’art. 120 cod. ass., che presenta una formulazione molto ‘forte’ dell’obbligo.
Nettezza che peraltro non si ritrova nell’attuale tuf (e normativa derivata), nè nella Mifid2, anche con riferimento alla distribuzione di prodotti complessi[9], fra i quali rientrano le ABS (nella prospettiva che qui rileva, le cartolarizzazioni di passività bancarie) mentre resta fortemente controversa l’inclusione degli strumenti di debito subordinato nel loro complesso.
Conferma dell’inefficienza degli obblighi di comportamento a me pare si trovi nella Comunicazione Consob sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail (n.0097996/14 del 22/12/2014), in cui la Commissione seleziona i “prodotti finanziari per i quali, al verificarsi di determinate condizioni o su iniziativa dell’emittente, sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale” fra le tipologie di prodotti complessi per le quali raccomanda che “non siano consigliate né distribuite in via diretta (nell’ambito di servizi esecutivi, assistiti o meno da quello di consulenza) alla clientela retail”.
Simile raccomandazione concorre a congelare un mercato della raccolta già turbato e non sembra poter costituire una risposta ‘a regime’, dovendosi affrontare il problema del punto di equilibrio fra esigenze della – dovuta – raccolta bancaria e della tutela dei potenziali sottoscrittori. Punto di equilibrio che può forse trovarsi in una modifica della disciplina del prospetto informativo.
5.Come ricordavo, l’obbligo di prospetto per le banche sopravviene con la legge risparmio, in base alla quale si mutuano le indicazioni comunitarie relative alle obbligazioni bancarie.
La partenza della nuova disciplina doveva, in breve volgere di tempo, confrontarsi con “l’incentivo ad accrescere il collocamento di questi prodotti da parte delle banche [che] avrebbe trovato buon gioco per la paralisi della raccolta all’ingrosso sui mercati interbancari, del tutto compromessa dalla crisi finanziaria esplosa nel 2008. La possibile emersione (e/o rafforzamento) di un istinto vien da dire “predatorio” degli intermediari ha trovato però un freno nella Comunicazione Consob, n. DIN/9019104 del 2 marzo 2009, su Il dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi”[10].
La Comunicazione prevedeva un intervento articolato, ivi inclusa la precisazione dei criteri comportamentali anche in relazione al pricing, ma aveva il punto a mio avviso più significativo nell’inserimento in informativa di elementi relativi alla confrontabilità del prodotto ed ai relativi scenari probabilistici[11].
Questa indicazione ha un uso a dir poco ristretto nel tempo, svanendo – dopo un’unica applicazione[12] – nella validazione di un’interpretazione Abi[13] che esclude gli scenari probabilistici.
Nè la stessa efficienza informativa raggiunge la ‘descrizione dei rischi’ ex art. 31 reg. intermediari, che richiede di segnalare il rischio di perdita totale investimento… insieme a tanto altro.
L’indicazione di scenari probabilistici non ricompare neanche fra le informazioni chiave da fornire per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (meglio noti con l’acronimo PRIIPs), in base all’art. 8 reg. 1286/2014, nè s’intravede nelle discussioni relative alla modifica della direttiva prospetti.
L’indicazione di scenari probabilistici costituisce invece, a mio parere, la principale misura di tutela efficiente ed equilibrata dell’investitore e del mercato.
E un’indicazione chiara, immediatamente percepibile, formulata in percentuale e collocata nella prima pagina di una sintetica scheda illustrativa del prodotto.
In tal modo, l’emittente sarebbe guidato a conformare la propria offerta alla clientela retail su un ventaglio gradato di opportunità, superando la vigente raccomandazione Consob di mera astensione dal collocamento. Non sarebbero gli scenari probabilistici a danneggiare un’area di funding bancario che al momento è paralizzata, ma comunque ripensata nella prospettiva ‘post-BRRD’.
Per parte sua, l’investitore sarebbe fornito di un efficiente strumento informativo, strumento di autotutela che rimetterebbe alla sua responsabilità la scelta d’investimento, riaffermando un principio cardine dell’ordinamento spesso sfumato in un ambiguo paternalismo regolatorio.
(*) Tenutosi a Trento, 12 febbraio 2016.
[1] Banking Recovery and Resolution Directive, 2014/59/UE, e conseguenti d. lgs. nn. 180 e 181 del 16 novembre 2015.
[2] Decreto legge 22 novembre 2015, n. 183, portante “Disposizioni urgenti per il settore creditizio.
[3] Nella narrata tutela dei livelli occupazionali non era chiarito che circa 900 esuberi restavano gestiti dalla vecchie banche con accordo sindacale per il “prepensionamento”. Cfr. Abi: nei quattro istituti 900 uscite volontarie, ne IlSole 24 Ore, 10 febbraio 2016.
[4] A riguardo, gli elementi di incertezza dell’esito mi pare derivino più dalla difficoltà di reperire beni su cui soddisfarsi all’esito di una vittoria, che dal filtro alla possibilità di agire che ha avuto tanta eco giornalistica. Oggetto di ripetuto interesse della stampa è stato l’art. 35 d. lgs. 180/2015 che, disciplinando gli effetti della risoluzione, rimette all’iniziativa degli organi della risoluzione, previa autorizzazione della Banca d’Italia, l’esercizio sia dell’azione sociale di responsabilità, che di quella dei creditori sociali. In realtà, la norma applica anche alla risoluzione (superando le questioni se essa possa o meno qualificarsi come procedura concorsuale), la omologa previsione già dettata dall’art. 2394bis c.c. per le procedure concorsuali. Ed entrambe le previsioni, fra l’altro, lasciano impregiudicato l’esercizio dell’azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c.
[5] Comunicazione della Commissione relativa all’applicazione, dal 1° agosto 2013, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria («La comunicazione sul settore bancario»), 2013/C 216/01.
[6] Così al sito della Camera (http://www.camera.it/leg17/126?tab=1&leg=17&idDocumento=3446&sede=&tipo=)
[7] Nel “Reminder” Placement of financial instruments with depositors, retail investors and policy holders (‘Self placement’) (JC 2014 62, 31 July 2014), ove si legge: “As part of their respective mandates to protect investors, depositors and policy holders, the three European Supervisory Authorities, the EBA, ESMA and EIOPA are concerned about the practices used by some financial institutions to comply with enhanced prudential requirements under the CRD/R IV, the pending BRRD, and Solvency 2, as well as the ongoing EBA stress test and the ECB’s comprehensive assessment. These practices include financial institutions selling to their own client base financial instruments that they themselves have issued and that are eligible to comply with the above requirements. This practice may breach a number of rules governing the conduct of these institutions”.
Le ESA sottolineano l’importanza della puntuale applicazione della disciplina del conflitto d’interessi, sui cui limiti ‘strutturali’ si consenta il rinvio al mio Regole di condotta e conflitti di interesse,in Banca Borsa Titoli di Credito, 2009, I, 9.
[8] Si tratta di obbligazioni rispetto alle quali, ad esempio, “i rendimenti calcolati ex post sul periodo 2007-2009 risultano in media inferiori a quelli dei titoli di Stato domestici”. R. Grasso, N. Linciano, L. Pierantoni, G. Siciliano, Le obbligazioni emesse da banche italiane, Quaderni di finanza Consob, n. 67/2010.
[9] Cfr. ESMA, Guidelines on complex debt instruments and structured deposits, 26 November 2015, ESMA/2015/1783.
[10] Brozzetti A., La negoziazione dei prodotti illiquidi, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione F., Giuffrè, 2013, 312.
[11] Questo il passo d’interesse: “Confronti 1.4 Al fine di migliorare le possibilità di apprezzamento, da parte del cliente, del profilo di rischio-rendimento e dei costi dell’operazione che sta per concludere, si ritiene opportuno che gli intermediari inseriscano nell’apposito set informativo confronti con prodotti semplici, noti, liquidi ed a basso rischio (ovvero esempi di prodotti risk free) di analoga durata e, ove esistenti, con prodotti succedanei di larga diffusione e di adeguata liquidità.
1.5 In particolare, per illustrare il profilo di rischio di strutture complesse, è utile che l’intermediario produca al cliente anche le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condursi mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive (ossia rispettose del principio di neutralità al rischio).
1.6 Gli elementi informativi indicati potranno essere contenuti in una scheda prodotto”.
[12] Ad un convertendo BPM, secondo quanto riferito da Malagutti V., Piana L. , Banche a processo, ne L’Espresso, 28 gennaio 2016.
[13] Linee guida validate dalla Consob, 5 agosto 2009, Circolare ABI – Serie Tecnica n. 39 del 7 agosto 2009.