La Suprema corte si è pronunciata in ordine all’onere della prova incombente sul correntista che proponga domanda di accertamento negativo del credito risultante dal saldo passivo di un rapporto di conto corrente, quando non anche di ripetizione dell’indebito relativamente agli interessi pagati in eccedenza rispetto al dovuto.
Sul punto si sono formati presso i giudici di merito due orientamenti.
Il primo, più favorevole al cliente della banca, prevede che allorquando sia quest’ultimo a rivestire il ruolo di attore la regola generale dell’art. 2697 c.c. deve essere adeguatamente contemperata avendo riguardo al principio della vicinanza della prova, di tal che il saldo risultante dal primo estratto conto disponibile in atti se non è quello iniziale deve essere azzerato[1]; il secondo, più sfavorevole al cliente, secondo il quale, in assenza di completa documentazione inerente il rapporto non può attribuirsi al correntista il beneficio dell’azzeramento del saldo, dovendo muovere il calcolo del rispettivo dare e avere e l’eventuale conteggio delle competenze asseritamente non dovute dal saldo riportato nel primo estratto disponibile in atti[2].
Ebbene, la sentenza della Cassazione, 7 maggio 2015, n. 9201[3] fa suo quest’ultimo orientamento sancendo la correttezza della valutazione operata dal giudice a quo secondo il quale non avendo i ricorrenti fornito l’estratto iniziale del rapporto doveva provvedersi al ricalcolo degli interessi «dal primo estratto conto» da essi prodotto. Dunque, la Suprema corte esclude potersi fare ricorso al criterio del saldo zero allorquando sia il correntista ad agire in giudizio ritenendo che «l’onere probatorio gravante a norma dell’art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, in tal caso la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo». Conseguenza del mancato assolvimento dell’onere della prova non può quindi essere l’azzeramento del saldo negativo riportato dal primo estratto conto disponibile, ove si tenga conto che l’estratto iniziale «era necessariamente stato inviato ex lege ai correntisti i quali ne avevano o ne avevano avuto la disponibilità avendone altresì l’onere di conservazione e sotto tale profilo» quello cioè della possibilità di produrre il documento, – come si spiega immediatamente dopo nella motivazione -, «gli stessi erano in posizione paritaria rispetto alla banca».
Con il che la Corte afferma con forza l’efficacia in materia di contenzioso bancario delle norme che regolano l’onere della prova la cui operatività non deve subire deroga né per effetto della natura dell’azione (accertamento negativo) proposta dal correntista, né avuto riguardo al principio di vicinanza della prova.
Già accorta giurisprudenza di merito aveva sottolineato che ove sia richiesto l’accertamento negativo del credito come unico oggetto della domanda o come presupposto della contestuale richiesta di ripetizione dell’indebito, l’inesistenza del credito della banca deve qualificarsi non come fatto impeditivo della pretesa azionata dal correntista «-il cui onere probatorio incomberebbe, allora sì, sul convenuto, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c.-, ma piuttosto quale fatto costitutivo della pretesa attorea- il cui onere grava, secondo la regola generale di cui all’art. 2697, comma 1, c.c. su chi fa valere in giudizio il diritto-»[4]. D’altra parte la Cassazione in passato, pur non pronunciandosi esplicitamente sul contenuto della prova nell’azione di accertamento negativo aveva stabilito con riferimento a un’ipotesi in cui il correntista aveva agito in ripetizione (nel caso di specie soltanto per l’eccedenza), che poiché l’inesistenza della causa debendi è un elemento costitutivo (unitamente all’avvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo, la relativa prova – mediante fatti positivi contrari, o anche presuntivi – incombe, per l’appunto, sul correntista attore[5]. Senza contare che di là dalla materia bancaria in punto di ripetizione di indebito la Cassazione ha sempre posto a carico di colui che agisce l’onere di provare tanto l’attribuzione patrimoniale di cui chiede la restituzione, quanto l’inesistenza di una idonea causa debendi, competendo al cd. accipiens semmai l’onere istruttorio, che logicamente potrebbe dirsi successivo, di dimostrare l’esistenza di una causa debendi diversa da quella contestata dall’attore[6].
Né può giustificare la deroga alla regola base per la quale l’onere della prova incombe su chi fa valere un diritto in giudizio, il criterio della vicinanza alla sua fonte. Il detto criterio, adottato per la prima volta in ambito di contenzioso bancario dal Tribunale di Brindisi[7], ricompare (con citazione testuale della motivazione offerta dal giudice pugliese) in altra recentissima sentenza di merito ove, pur dandosi atto della mancata proposizione di riconvenzionale da parte della banca convenuta in ripetizione dell’indebito, si afferma che «se non siano stati depositati gli estratti conto fin dall’inizio del rapporto e il saldo contabile risulti “negativo” per il correntista, deve assumersi, quale base del riconteggio, un saldo di partenza pari a zero, in quanto il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., deve essere adeguatamente temperato avendo riguardo al principio della vicinanza alla fonte della prova che le Sezioni Unite, n. 13533, del 2001, hanno elevato a criterio principe nella ripartizione dell’onere stesso»[8].
Invero, gli arresti delle Sezioni unite richiamati dalle decisioni di merito ove è applicato il criterio della vicinanza della prova, lo hanno fatto confermando, e non già smentendo, la validità della regola sulla modulazione dell’onere probatorio contenuta nell’art. 2697 c.c. A partire dalla nota sentenza delle Sezioni unite n. 13533 del 2001, fino alle più recenti pronunce in materia di lavoro e responsabilità medica, infatti, il principio della vicinanza della prova è invocato a riprova della opportunità di porre a carico del creditore che agisca con domanda di adempimento, risoluzione e/o risarcimento del danno il solo onere di provare la fonte del suo diritto alla prestazione (id est: il fatto costitutivo della pretesa azionata ex art. 2697, comma 1, c.c.) e di allegare l’inadempimento della controparte, spettando di contro al debitore la prova liberatoria dell’adempimento (id est: il fatto modificativo o estintivo sui cui l’eccezione si fonda ex art. 2697, comma 2 c.c.), dunque, solo ad abundantiam vi si trova il rilievo che per quest’ultimo la prova del fatto positivo della già avvenuta esecuzione della prestazione è certo più agevole, data la vicinanza alla fonte, che non la prova del fatto negativo dell’inadempimento per il creditore[9].
Non di meno la ricostruzione del criterio della maggiore vicinanza di una parte alla prova alla stregua di correttivo del sistema di distribuzione del relativo onere delineato dalla regola codicistica è stata valorizzata da un’opinione dottrinale secondo la quale, nei contratti di impresa, applicare il detto criterio significa «dare rilevanza processuale alla posizione di strutturale differenza tra le parti che il binomio concettuale produttore-cliente contiene»[10]. In quest’ottica, la vicinanza dovrebbe fungere da chiave interpretativa in senso evolutivo della disciplina per consentire una declinazione nel processo della realtà sostanziale dei rapporti attraverso una «lettura e applicazione un poco “sofisticata” e non brutalmente meccanicistica della norma dell’art. 2697 c.c.»[11]. E tuttavia, la stessa opinione, nel mentre sembra auspicare una tendenziale istituzionalizzazione della regola della vicinanza nei casi in cui una parte è per ragioni strutturali più vicina alla prova dell’altra, non trascura di precisare che «un discorso serio intorno al ruolo da attribuire alla detta regola non dovrebbe mai essere disancorato dall’effettivo riscontro del “fatto” della vicinanza»[12].
Ebbene, la sentenza della Cassazione n. 9201/2015 chiude la porta al criterio di vicinanza della prova escludendo, per l’appunto, il ricorrere del fatto della maggiore prossimità della banca ai documenti rilevanti ai fini della produzione in giudizio. Al riguardo, la motivazione discorre di «posizione paritaria» di banca e cliente quasi a sottolineare l’equilibro processuale tra parti, pur certamente dotate di diversa forza contrattuale sul terreno sostanziale dei rapporti. La decisione mostra di condividere l’impostazione bene espressa in una pronuncia di merito ove il Giudicante fatta la premessa per cui «nessuno dubita che la banca sia il contraente forte rispetto al correntista», sottolinea: «questo non ha alcuna incidenza sull’accesso alla prova da parte del privato che ha ricevuto o poteva pretendere all’epoca in cui il contratto era in vigore tutti gli estratti del conto corrente. Non può dirsi eccessivamente difficile la prova perché il correntista ha disperso gli estratti conto ricevuti o si è disinteressato per averli, perché il principio di vicinanza della prova, elaborato in giurisprudenza per dare concreta attuazione dell’art. 24 Cost., soccorre solo una difficoltà oggettiva nel dare la prova del fatto, non una difficoltà che dipenda da una condotta negligente della parte»[13].
Il tentativo, dunque, di inclinare il piano sostanziale per riversare su quello del processo regole di protezione che solo sul primo possono avere giustificazione subisce, per effetto della sentenza in esame, una decisa e condivisibile battuta di arresto. Non si tratta di negare tutela alla parte debole del rapporto, ma di impedire che il criterio di vicinanza della prova possa divenire il cavallo di Troia per introdurre nel processo un dovere della banca di produzione documentale che, proprio in quanto esistente e disciplinato sul piano sostanziale del rapporto con il cliente, esclude riflessi in ambito processuale.
E’ noto, infatti, che la banca ha nei confronti del cliente obblighi di comunicazione stringenti consistenti nel caso del contratto di apertura di credito in conto corrente nell’invio periodico, tra l’altro, degli estratti conto; per giunta essa è, ciò nondimeno, tenuta a rimettere al cliente copia della documentazione relativa a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni eventualmente richiestale ex art. 119 T.U.B. Il correntista, dunque, non soltanto riceve tutta la documentazione inerente il proprio rapporto nel mentre questo si svolge ma può, nell’ipotesi in cui abbia smarrito o contesti di avere ricevuto la detta documentazione, ottenerne copia dall’istituto di credito. Per contro, egli ha il dovere di diligentemente acquisire in via stragiudiziale, ovvero prima di intentare la causa, tutto quanto gli occorre per assolvere l’onere della prova correttamente, non ammettendosi che possa sopperire alle proprie lacune di produzione documentale mediante la richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. Correttamente la giurisprudenza ha affermato «è inammissibile l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. volta ad ottenere l’ordine nei confronti dell’istituto bancario convenuto di esibire in giudizio della documentazione relativa al rapporto di conto corrente, qualora tale ordine di esibizione abbia ad oggetto documenti direttamente accessibili dalla parte ex art. 119 T.U.B., quindi documenti che la parte – nel diligente assolvimento dell’onere probatorio su di essa gravante – avrebbe dovuto previamente acquisire in via stragiudiziale e quindi allegare agli atti di causa»[14] .
Diverso è a dirsi per le ipotesi in cui, rimasta inevasa senza giustificazione la richiesta, pur formulata in via stragiudiziale ex art. 119 T.U.B., la banca dovesse, del pari immotivatamente, sottrarsi all’ordine di esibizione rivoltole nel processo: si tratta di un comportamento da valutarsi come argomento di prova ex art. 116 c.p.c. tanto più rigorosamente tenuto conto che concretizza, peraltro, una chiara violazione del principio generale di buona fede, anche nel processo declinato in termini di lealtà nell’art. 88 c.p.c. Vi è da chiedersi se possa essere questo il punto di riemersione di un possibile ruolo del criterio di vicinanza della prova: ove la prossimità alla fonte dell’attore è impedita da un comportamento illegittimo del convenuto, il detto comportamento può giustificare il porre a carico di quest’ultimo le conseguenze della mancata allegazione documentale di cui era onerato il primo. In questo senso potrebbe leggersi un obiter dictum di una recentissima sentenza di merito per la quale «l’inottemperanza della banca all’ordine, effettivamente, potrebbe ben essere considerata motivo sufficiente per ritenere legittimo operare un azzeramento del saldo negativo documentato all’epoca del primo estratto conto utile, perché la condotta della banca, valutata molto negativamente ai sensi dell’art. 116 c.p.c., si unirebbe allora ad altri elementi indiziari, desumibili da violazioni contrattuali per i periodi di vita del conto corrente documentati»[15]. Ma, a ben guardare, nel caso in cui la banca violi le norme di cui agli artt. 116 c.p.c., 1374 c.c. e 88 c.p.c. l’azzeramento del saldo sembra essere applicazione, più che di un diverso modulo di distribuzione della prova, di una vera e propria sanzione civile indiretta[16].
La sentenza in esame ha, dunque, il merito di avere chiarito quale deve essere la conseguenza del mancato assolvimento dell’onere della prova gravante sul correntista nel giudizio promosso per l’accertamento negativo e/o la ripetizione dell’indebito; ha, altresì, il merito di averne sottolineato l’ineludibile corollario per il quale ove in uno stesso giudizio si incrocino le domande di banca e cliente «ambedue le parti hanno l’onere di provare le rispettive contrapposte pretese», il che determina la ricaduta pratica per cui nei giudizi di contenzioso bancario l’eventuale consulenza tecnica disposta dal Giudice dovrà svolgersi secondo un doppio binario tutte le volte che manchi l’estratto conto iniziale del rapporto[17].
L’arresto della Cassazione lascia invece irrisolto il dubbio esistente per l’ipotesi in cui la banca attrice (anche solo in riconvenzionale o sotto il profilo sostanziale nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo) trascuri di offrire la prova a suo carico. In proposito, la Cassazione, pur mostrando di condividere quanto ritenuto dal giudice a quo secondo il quale nel giudizio in cui è la banca ad agire essa «deve dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del conto e cioè dal saldo zero», non si sofferma nel prendere in esame le eventuali conseguenze del mancato assolvimento dell’onere probatorio, attualmente oggetto di un contrasto giurisprudenziale anche all’interno della prima sezione del Supremo Collegio. Vi è infatti che a fronte di un orientamento, certamente maggioritario, che reputa doversi fare discendere dalla mancata produzione dell’estratto iniziale del rapporto di conto corrente l’azzeramento del saldo riportato nella prima scheda esibita[18], si registra un indirizzo per il quale, al contrario, l’unica conseguenza corretta deve considerarsi il rigetto della domanda per indeterminatezza del credito[19]. Per vero, all’affermazione del contenuto dell’onere della prova gravante sulla banca attrice il Supremo collegio fa seguire la citazione della sentenza della Cassazione n. 23974/2010 che, per l’ipotesi di mancato assolvimento del detto onere, prevede l’azzeramento del conto ammettendo il ricalcolo del dare avere tra le parti, il che induce a reputare che sia questo il solco nel quale la sentenza in commento intende porsi. E, tuttavia, è troppo poco per considerare sciolto il nodo esistente al riguardo, tanto più che in questo contesto anche il sintagma «saldo zero», lungi dall’essere utilizzato per individuare il punto di partenza del ricalcolo, sta per: «estratto conto zero», significato con il quale compare per la prima volta nell’arresto in commento per ben cinque volte.
[1] In questo senso v. Trib. Brindisi, 9 agosto 2012, Trib. Ancona, 18 novembre 2014 e Trib. Ancona, 28 gennaio 2015 per esteso in IlCaso.it; cfr. anche Corte d’Appello Lecce, 23.9.2010 in Anatos.it
[2] Cfr. Trib. Pescara, 20 gennaio 2008, che si legge su www.studiotanza.it; Trib. Bari, sez. dist. di Monopoli, 17.11.2011, in IlCaso.it; Corte d’Appello di Milano, 6.12.2012, in IlCaso.it; Trib. Nocera Inferiore, 29.1.2013, in Iusexplorer.it; Trib. Roma 26.2.2013, in ExParteCreditoris.it; Trib. Brindisi, sez.dist. Fasano, 14.1.2014, in ExParteCreditoris.it;Trib. Reggio Emilia 23.4.2014, in IlCaso.it; Corte di Appello di Ancona, 30.3.2015, inedita. Per completezza deve, tuttavia, darsi conto di un recente arresto (Trib. Arezzo, sez. dist. di Montevarchi, 30 maggio 2013, in ExParteCreditoris.it ) per il quale ove la domanda di ripetizione del correntista non sia corredata degli estratti conto relativi al rapporto a partire da quello iniziale, deve essere sic et simpliciter rigettata, perché non vi sarebbe possibilità di ricostruire il rispettivo dare avere tra le parti se non attraverso un artificio contabile tale essendo il saldo zero. Le conclusioni, che non possono non destare perplessità, cui perviene il Giudice aretino sembrano tuttavia doversi ricondurre, non soltanto al difetto probatorio di parte attrice, ma anche alla mancanza di domanda subordinata che avrebbe potuto consentire al Tribunale valutazioni alternative.
[3] La Sentenza si legge per esteso su IlCaso.it Sul riparto dell’onere della prova nei giudizi di contenzioso bancario e segnatamente sul contenuto della prova gravante sul correntista vi è un solo precedente della Cassazione offerto dalla sentenza 7 marzo 2012, n. 3582 ove il Supremo Collegio, esaminando fattispecie in cui data l’esistenza di un riconoscimento di debito pur essendo la Banca ad agire doveva considerarsi invertito l’onere della prova, rileva: «Esattamente, pertanto, la corte del merito ha ritenuto che fosse onere dei debitori provare che anche l’iniziale saldo passivo di L. 11.078.532, risultante dalla documentazione prodotta dalla banca, derivasse, ed in quale misura, dall’applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi», per concludere che in assenza di detta prova bene aveva fatto il giudice di prime cure a non considerare l’opzione di ricalcolo effettuata dal C.T.U. muovendo dal c.d. saldo zero.
[4] Trib. Brindisi, sez.dist. Fasano, 14.1.2014, cit.
[5] V. Cass., 14 maggio 2012, n. 7501, in Leggiditalia.it, nonché la più risalente Cass., 13 febbraio 1998, n. 1557, in Giur. it., 1998, p. 2261.
[6] Ex plurimis: Cass., 25 gennaio 2011, n. 1734, Cass. 9 agosto 2010, n. 18483 e Cass., 10 novembre 2010, n. 22872 in Leggiditalia.it; Cass., 17 marzo 2006, n. 5896, in Mass. Giur.it., 2006; Cass., 12 luglio 2005, n.14597, in Mass. Giur.it, 2006; Cass., 13 novembre 2003, n.17146, in Mass. Giur.it., 2003; Cass., 15 luglio 2003, n.11073 in Arch.civ., 2004, p. 172; Cass., 22 aprile 1997, n. 3468, in Mass. Giur.it, 1997;
[7] Trib. Brindisi, 9 agosto 2012, cit.
[8] Trib. Ancona, 28 gennaio 2015, cit.
[9] Sul punto, in linea con quanto osservato, cfr. A. Carli, Alla ricerca di un criterio generale in tema di ripartizione fra le parti dell’onere di allegazione e dell’onere della prova, in Contr. e impr., 2002, p. 1000 il quale non esita a definire il principio di riferibilità o vicinanza della prova «incerto ed oscuro».
[10] A.A. Dolmetta e U. Malvagna, «Vicinanza della prova» e contratti di impresa, in ApertaContrada online Riflessioni su società, diritto, economia, p. 10 ove il passo riportato tra virgolette.
[11] A.A. Dolmetta e U. Malvagna, Vicinanza della prova in materia di contenzioso bancario. Spunti (I. il saldo zero), in Rivista dir. banc., Dirittobancario.it, 15, 2014, p. 9.
[12] Ibidem
[13] Trib. Arezzo, sez. dist. Montevarchi, 30 maggio 2013, cit., ove al riguardo si aggiunge «I fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio li deve dimostrare chi adisce il giudice: deve dunque parte attrice ricostruire per intero l’andamento del conto – e, si ribadisce, gli estratti del conto furono documenti in sua disponibilità materiale o potenziale – pena l’assoggettamento ai diversi dati risultanti dalle prove disponibili. Porre eguale a zero lo stato del conto corrente a una certa data successiva al suo inizio, anziché, come risulterebbe dalla documentazione di causa, un saldo negativo, costituisce una manifesta violazione del principio che regola l’onere della prova, perché, appunto, premia chi l’onere non ha adempiuto pur avendone l’obbligo e sanziona chi l’onere non era tenuto a rispettare: con il c.d. saldo zero si abbuona al cliente, in definitiva, un saldo sicuramente negativo a una certa data, senza avere la prova che fosse negativo per colpa di illecite pratiche contrattuali dell’istituto piuttosto che per colpa della condotta morosa del cliente, e senza neppure avere la possibilità di esperire accertamenti in proposito».
[14] Trib. Pescara, 4 ottobre 2007 in IlCaso.it; Trib. Nocera Inferiore, 29 gennaio 2013, cit. e da ultimo, Trib. Nola, 2 gennaio 2015, in ExParteCreditoris.it; sul punto v. V. Pisapia, L’onere della prova nel contenzioso in materia di rapporti di conto corrente bancario, in Dirittobancario.it; contra Corte d’Appello Milano, 11 dicembre 2006, in IlCaso.it, nonché Trib. Latina, sez.dist. Gaeta, 21 giugno 2007, in Il Caso.it. Sulla natura del diritto del cliente della banca alla consegna dei documenti relativi ai rapporti bancari v. Trib. Prato, 14 aprile 2015, in IlCaso.it., per il quale esso ha «consistenza ed il rango di vero e proprio diritto soggettivo autonomo» a tutela del quale è azionabile anche la procedura monitoria.
[15] Trib. Arezzo, sez. dist. Montevarchi, cit.
[16] Sulla cui applicabilità nella specie devono esprimersi perplessità dato che all’azzeramento del saldo in funzione punitiva non potrebbe ad esempio procedersi quando, a parità di rimproverabilità della condotta tenuta dalla banca, il primo saldo disponibile è a credito del cliente, a meno di non volergli infliggere la beffa di perdere, oltre al diritto alla ripetizione relativamente agli anni non documentati, il credito in questione. Per il dibattito intorno alla configurabilità in generale delle sanzioni civilistiche, cfr. F.D. Busnelli e G. Scalfi, a cura di , Le pene private, 1985 e F. Galgano, Alla ricerca delle sanzioni civili indirette: premesse generali, in Contr. e impr., 1987, p. 531 ss.Da ultimo v. F. Quarta, Risarcimento e sanzione nell’illecito civile, Napoli, 2013, p. 42.
[17] Infatti, il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della banca determina, secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario (sul quale v. supra e alla nota che segue), l’azzeramento del saldo ai fini del ricalcolo del dare/avere, mentre il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del correntista che agisce in accertamento negativo o/e ripetizione dell’indebito comporta che il detto calcolo e l’eventuale conteggio delle annotazioni in conto prive di giustificazione debba muovere dal primo saldo disponibile. Per contro, ogni qualvolta al giudizio dovesse trovarsi acquisita l’intera documentazione, a prescindere dall’essere stata questa versata in atti dall’una o dall’altra parte, è dal saldo riportato dall’estratto iniziale del rapporto che il calcolo del CTU deve farsi partire per l’accertamento del rispettivo dare/avere tra le parti al netto delle competenze addebitate illegittimamente. Non a caso si è soliti rilevare che le regole sul riparto dell’onere della prova sono tipicamente destinate ad entrare in gioco proprio quando la prova manca: «Si tratta allora di regole che ripartiscono fra le parti il rischio o le conseguenze della mancata prova dei fatti rilevanti per la decisione», v. M. Taruffo, Onere della prova, in Dig. Disc. Priv. Sez. civ., Torino, 1995, p. 65 ss., spec. p. 66, ove il passo riportato tra virgolette.
[18] In questo senso Cass., 25 novembre 2010, n. 23974, nonché Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842: entrambe si leggono su Leggiditalia.it
[19] Così Cass., 10 settembre 2013, n. 20688, in Leggiditalia.it, per la quale non si può far spazio a un ricalcolo del dare avere tra le parti che assuma sic et simpliciter come dato di partenza l’inesistenza di un saldo debitore, senza tenere peraltro conto che per effetto di eventuali rimesse effettuate nel periodo precedente si può essere formato un saldo creditore per il correntista. In questo stesso senso v. pure Corte di Appello di Genova, — poi tuttavia riformata dalla sentenza della Cassazione n. 1842 del 2011, cit., nonché la risalente pronuncia del Trib. Brindisi, n. 962/2005.