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Dall’art. 120, comma 2, TUB alla proposta di delibera CICR: verso il ritorno dell’anatocismo bancario?

26 Ottobre 2015

Antonella Stilo, Consigliere della Corte d’Appello di Reggio Calabria

Sommario: 1. La nuova disciplina primaria e secondaria in tema di anatocismo bancario: questioni interpretative e ambito di applicazione. – 2. Divieto di anatocismo e contratti di finanziamento con piano di rimborso rateale. – 3. L’entrata in vigore del nuovo regime.

 

1. La nuova disciplina primaria e secondaria in tema di anatocismo bancario: questioni interpretative e ambito di applicazione.

Con l’entrata in vigore (il 1° gennaio 2014) della legge del 27 dicembre 2013 n. 147 (cd. Legge di stabilità 2014), il comma 2 dell’art. 120 TUB[1] è stato novellato, demandando al CICR il compito di stabilire «modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, lastessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

La norma, che ha riacceso da subito la discussione sul tema dell’anatocismo bancario, essendo nata con il dichiarato obiettivo (evincibile dai lavori preparatori[2]) di chiudere (definitivamente) la relativa questione, sembrava destinata ad una rapida fine, data l’emanazione, a distanza di pochi mesi, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, che con l’art. 31 era ritornato – salvo qualche ritocco – alla disciplina dell’art. 25, comma 2, del D. Lgs. n. 342 del 4 agosto 1999[3].

Le immediate reazioni suscitate da quest’ultimo intervento legislativo hanno tuttavia condotto, in sede di conversione (smentendo le previsioni della vigilia), alla sua eliminazione, con conseguente reviviscenza del testo dell’art. 120 TUB introdotto dalla Legge di stabilità.

Nonostante il tempo trascorso dall’entrata in vigore della disposizione (ben più di un anno e mezzo), non è stata – come è noto – ancora adottata la prevista normativa di dettaglio. Quest’ultimo capitolo della travagliata vicenda dell’anatocismo bancario sta però ormai per essere scritto, avendo la Banca d’Italia, lo scorso 24 agosto, posto in consultazione la proposta di delibera CICR per la Attuazione dell’art. 120, comma 2, del Testo Unico bancario in materia di produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria.

Questa proposta – su cui occorre ora soffermare l’attenzione – è figlia di un testo normativo in parte involuto e in parte equivoco, con il quale bisogna necessariamente fare i conti onde verificare in che termini si intende dare ad esso attuazione. 

L’intervento operato dal legislatore nel dicembre 2013 risponde – come già detto – all’esigenza di porre la parola “fine” all’anatocismo nell’ordinamento bancario, segnando una definitiva cesura rispetto al regime previgente[4] e così superando le numerose e accese divergenze interpretative e applicative sorte in ordine a tale istituto, che hanno alimentato in questi anni il dibattito teorico e il contenzioso giudiziario.

Quindi, la norma, ad una prima lettura, si inserisce a buon titolo tra le innovazioni che il legislatore ha introdotto negli ultimi anni al dichiarato (ma non sempre realizzato) fine di favorire soluzioni tali da rendere più trasparente l’attività bancaria e rafforzare la tutela del cliente.

La modalità all’uopo prevista è quella – già “sperimentata” – consistente nel demandare al legislatore secondario il compito di dare concreta attuazione ai principi fissati nella disposizione primaria, un compito certamente non semplice data l’enigmatica formulazione della stessa, che – a dispetto dell’apprezzabile intento (cui è verosimilmente ispirata) di fare chiarezza in un settore magmatico quale è ormai da diversi decenni quello dell’anatocismo bancario – presenta diverse criticità sul piano interpretativo, destinate a tradursi in una problematica applicazione pratica.

La prima questione che la norma, di redazione appunto non particolarmente felice, pone all’interprete concerne il suo ambito oggettivo di applicazione[5].

Il problema sorge perché la prima delle due disposizioni contenute nel nuovo comma 2 dell’art. 120, prevedendo che debba essere assicurata «la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori» (v. lett. a), concerne certamente il solo conto corrente bancario, cui del resto espressamente si riferisce, e nulla ha a che vedere ad es. con il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, che generano obbligazioni pecuniarie soltanto a carico del cliente (la restituzione del prestito maggiorato degli interessi), di tal che non è neppure ipotizzabile la maturazione di interessi attivi e non può farsi alcuna questione di pari periodicità nella contabilizzazione degli interessi.

La seconda previsione (lett. b), invece, sembra avere una portata più ampia ed abbracciare tutte le operazioni in cui può configurarsi il fenomeno anatocistico.

Ora, le due norme si prestano ad una lettura sia congiunta che disgiunta.

Nella prima prospettiva, la “nuova” disciplina sull’anatocismo bancario di cui alla lettera b) appare strettamente collegata alla regola posta dalla precedente lettera a) e destinata a valere per il solo conto corrente, sul quale peraltro è ritagliato l’inciso «interessi periodicamente capitalizzati», contenuto nella lettera b).

In altre parole, il legislatore, dopo aver ribadito che nel conto corrente deve essere stabilita «la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori», avrebbe (il condizionale è d’obbligo) aggiunto che gli interessi, una volta contabilizzati, non possono essere capitalizzati.

Non troverebbero, dunque, albergo nel nuovo art. 120, comma 2, TUB le operazioni non regolate in conto corrente.

Se si leggono invece disgiuntamente le due disposizioni, resta fermo che la lettera a) attiene al conteggio degli interessi nel solo conto corrente bancario e di per sé prescinde dalla legittimità o meno dell’anatocismo, mentre la lettera b) si rivela quale norma di portata generale atta ad escludere – o comunque a ricondurre all’alveo dell’art. 1283 c.c. – la produzione di interessi su interessi in tutte le operazioni bancarie e finanziarie.

Questa seconda soluzione sembra preferibile, in considerazione dell’incipit dell’articolo, che afferisce genericamente alle «operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria»e fa ricorso ad un’espressione («in ogni caso») tale da indicare la volontà del legislatore di estendere la riforma all’intero ordinamento bancario.

Orbene, tra le due opzioni interpretative nella proposta di delibera si sceglie una sorta di via intermedia, nel senso che, da un lato, l’ambito di applicazione viene fatto coincidere con le «operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti» (art. 2, comma 1) – analogamente (sotto tale profilo) a quanto disposto dall’art. 1 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 – e si fissano dei principi generali destinati a valere per tutte le operazioni di tal tipo (art. 2, commi 2, 3 e 4, e art. 3), dall’altro si dettano delle regole speciali per i soli rapporti regolati in conto corrente e in conto di pagamento, nonché per i finanziamenti a valere su carte di credito (art. 4), sull’evidente presupposto della loro operatività secondo meccanismi peculiari, ma assimilabili quanto all’aspetto della produzione degli interessi.

I rapporti da ultimo menzionati sono perciò soggetti sia alla disciplina generale di cui agli artt. 2 e 3 della proposta di delibera, sia al regime differenziato di cui all’art. 4, mentre le altre «operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti» sono normate solo dagli artt. 2 e 3.

Prendendo quindi le mosse dalle norme di ordine generale, è da rilevare che la linea di fondo lungo la quale si muove la proposta di delibera sembra essere quella della distinzione tra interessi corrispettivi e interessi moratori, dal momento che, per un verso, si stabilisce che per la produzione di questi ultimi «si applicano le disposizioni del codice civile» (art. 2, comma 3), così esaurendo la disciplina operante per tali interessi, e per altro verso si fissa il principio secondo cui «gli interessi maturati non possono produrre interessi» (art. 3), principio che, per l’effetto, dovrebbe riferirsi ai soli interessi corrispettivi[6].

Il testo normativo, tuttavia, non è univoco e le due disposizioni, così come formulate, sono destinate ad accrescere le incertezze interpretative, giacché, almeno in astratto, possono profilarsi due opzioni, l’una – appena indicata – contrassegnata dalla prevalenza dell’art. 2, comma 3, con conseguente esonero degli interessi moratori dal divieto di anatocismo, l’altra, di segno opposto, connotata dalla prevalenza dell’art. 3, quale norma generale (reiterativa della disposizione primaria) che “governa” l’intera materia degli interessi bancari.

Entrambe le impostazioni, comunque, risentono della soluzione che si dà ad un’altra questione, ossia quella concernente i rapporti tra la novella e l’art. 1283 c.c..

Ed invero, secondo una prima tesi, affiorata nella giurisprudenza di merito (e ripresa nella nota che accompagna la proposta di delibera[7]), l’art. 120, comma 2, TUB novellato avrebbe introdotto, nei rapporti bancari, una disciplina speciale più rigorosa rispetto alla normativa ordinaria dettata dall’art. 1283 c.c. «(con l’effetto che, se dal 2000 al 2013 la normativa speciale era rivolta ad ammettere nei rapporti bancari l’anatocismo in misura più ampia rispetto alla regola generale, oggi l’art. 1283 c.c. è derogato per i rapporti bancari in termini di maggior rigore, capovolgendo la disciplina previgente)»[8].

Ed allora, in questa prospettiva, che parte per l’appunto dal presupposto che non operi più, con riguardo alle operazioni bancarie, la norma generale dell’art. 1283 c.c., si finisce con il pervenire alla conclusione che, poiché l’art. 2, comma 3, della proposta di delibera stabilisce che per la produzione degli interessi moratori si applicano le (sole) disposizioni del codice civile, nulla osterebbe alla capitalizzazione di tali interessi.

Una simile lettura non appare ad ogni modo praticabile per due ordini di ragioni.

La prima: il comma 629, attribuendo al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la sola «produzione di interessi» nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, ha (verosimilmente) fatto riespandere in merito al diverso profilo della «produzione di interessi sugli interessi» la disciplina generale dell’art. 1283 c.c. (cui aveva in precedenza derogato l’art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 342/1999), non essendo oltretutto pensabile, in un’ottica costituzionalmente orientata, che la riforma dell’art. 120, comma 2, TUB venga a mettere le banche in posizione deteriore rispetto agli altri soggetti dell’ordinamento, imprese o meno che siano[9].

La seconda (correlata alla prima): dato l’ambito della delega conferita al CICR dal nuovo art. 120, comma 2, TUB, sarebbe illegittima una previsione regolamentare che incidesse sul diverso ambito della «produzione di interessi sugli interessi».

Di conseguenza, o si conclude che il rinvio alle «disposizioni del codice civile», contenuto nell’art. 2 comma 3 della proposta di delibera, abbraccia anche l’art. 1283 c.c., con ciò escludendo, una volta assodata la «mancanza di usi contrari»in ambito bancario, la capitalizzazione (anche) degli interessi di mora (salvo che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi e che sia stata proposta domanda giudiziale a tal fine o sia stata stipulata con il debitore una convenzione in tal senso posteriore alla scadenza degli interessi), oppure si ritiene che tale rinvio attenga alla «produzione degli interessi moratori» stricto sensu intesa, non occorrendo sul punto l’adozione di norme speciali, a differenza che per gli interessi corrispettivi. La sostanza, però, non cambia perché resta fermo sia per gli uni che per gli altri il divieto di anatocismo posto dall’art. 3, da leggere in armonia con il disposto dell’art. 1283 c.c..

In ogni caso, infatti, l’esito è che, in assenza di una norma di legge primaria che valga a sottrarre gli interessi moratori in materia bancaria alla disciplina generale dell’art. 1283 c.c., la delibera non potrà che confermare l’operatività del divieto di anatocismo (con le deroghe codicistiche) per tutte le tipologie di interessi, salvo rinviare, per la produzione degli interessi moratori, alle norme del codice civile e dettare, invece, per la produzione degli interessi corrispettivi, delle regole “speciali”, riferite ai rapporti regolati in conto corrente e in conto di pagamento nonché ai finanziamenti a valere su carte di credito.

Ciò detto, e prima di esaminare le regole “speciali” in atto racchiuse nell’art. 4 della proposta di delibera, è bene ritornare alla formulazione del nuovo art. 120, comma 2, TUB, che, come anticipato, da un lato, demanda al CICR il compito di dettare «modalità e criteri per la produzione di interessi» e non più per la «produzione di interessi sugli interessi» e, dall’altro, alla lettera b), parla di «interessi periodicamente capitalizzati» ed esclude espressamente la capitalizzazione solo nelle «successive operazioni».

La contraddittorietà del testo ha, come è noto, favorito delle interpretazioni diametralmente opposte.

E così, c’è chi osserva che il persistente riferimento alla capitalizzazione degli interessi, dato l’univoco significato del termine “capitalizzazione”, «potrebbe condurre a soluzioni in contrasto con le finalità volute dal legislatore del 2013 e finire per ratificare, nella sostanza, l’attuale prassi bancaria di capitalizzare con cadenza trimestrale gli interessi attivi e passivi maturati nel periodo e scaduti al termine dello stesso»[10].

Altri, invece, ritengono che il dato saliente della norma è rappresentato dall’intervenuta sostituzione dell’espressione «produzione di interessi sugli interessi», contenuta nel precedente testo dell’art. 120 TUB, con l’inciso «produzione di interessi», per cui, anche tenuto conto della ratio della normativa evincibile dai lavori parlamentari, il riferimento alla capitalizzazione degli interessi periodicamente conteggiati ha una valenza meramente contabile[11], precludendo chiaramente la disposizione «alcun prodotto anatocistico»[12].

Questa sembra la tesi preferibile, non solo e non tanto perché sarebbe contraddittorio legittimare la capitalizzazione iniziale degli interessi[13] e non ammettere le successive operazioni di capitalizzazione, ma anche, e soprattutto, perché non avrebbe altrimenti alcun senso demandare al CICR il compito di dettare modalità e criteri soltanto per la produzione degli interessi, richiedendo anzi, a maggior ragione, la previsione di una forma, sia pure “attenuata”, di anatocismo bancario, l’introduzione di nuove regole attuative in tema di produzione degli interessi sugli interessi.

La norma deve dunque essere letta nel senso che, nei rapporti di conto corrente, una volta che gli interessi vengono computati alla fine del periodo all’uopo stabilito, il risultato non può essere assunto come base per il calcolo degli (ulteriori) interessi per il periodo successivo. In altri termini, i nuovi interessi devono essere calcolati solo sul capitale iniziale e non pure su quello derivante dalla contabilizzazione degli interessi nel periodo precedente.

Rimane comunque la segnalata equivocità del testo legislativo, che oggi si rispecchia nel disposto dell’art. 4 della proposta di delibera, che per i rapporti regolati in conto corrente (o in conto di pagamento) e per i finanziamenti a valere su carte di credito fissa i seguenti principi:

-) gli interessi creditori e debitori devono essere conteggiati con la stessa periodicità, in ogni caso non inferiore ad un anno (comma 2);

-) il conteggio degli interessi si effettua il 31 dicembre di ciascun anno o, se anteriore, il giorno in cui termina il rapporto da cui gli interessi originano (comma 2);

-) gli interessi maturati devono essere contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale (comma 3), in modo tale da non influenzare il calcolo degli interessi dovuti sul capitale;

-) gli interessi, sia attivi che passivi, divengono esigibili una volta decorsi sessanta giorni dal ricevimento da parte del cliente dell’estratto conto ex art. 119 TUB o delle comunicazioni previste ai sensi dell’art. 126-quater, comma 1, lett. b), TUB (il contratto può prevedere termini diversi, ma solo a favore del cliente: comma 4);

-) decorso il termine di sessanta giorni (o quello superiore eventualmente concordato), il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi sul conto o sulla carta di credito, ed in tal modo la somma addebitata va a far parte del capitale, sul quale si calcolano gli interessi (comma 4);

-) il contratto può stabilire che, dal momento in cui gli interessi divengono esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente (affidato) siano impiegati per estinguere il debito da interessi (comma 5).

Partendo dal comma 3, è di tutta evidenza che esso è strettamente correlato alla norma generale di cui al precedente art. 2, comma 4, a mente del quale la «imputazione dei pagamenti è regolata in conformità dell’articolo 1194 del codice civile», norma la cui introduzione nella disciplina di dettaglio era quasi scontata, data la prevista contabilizzazione separata di capitale ed interessi, e ciò pur se la giurisprudenza (di merito) aveva in più occasioni ritenuto inapplicabile l’art. 1194 al rapporto di conto corrente, sul presupposto della sua unitarietàe dell’inesigibilità del credito fino alla chiusura del conto, ed in considerazione del fatto che in questo caso è la banca – e non il cliente – che provvede all’imputazione delle rimesse in conto capitale, addebitando poi gli interessi scalari in sede di chiusura periodica del conto[14].

La proposta di delibera, ad ogni modo, va al di là del rinvio all’art. 1194 c.c. per l’imputazione dei pagamenti, introducendo, ai commi 4 e 5, dei meccanismi – sia pure non automatici – che generano effetti analoghi a quelli prodotti dall’anatocismo bancario, dal momento che dispone che, una volta che gli interessi divengono esigibili, «il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi sul conto o sulla carta» ed «in questo caso, la somma addebitata è considerata sorte capitale» (comma 4), ed inoltre che «Il contratto può stabilire che … i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito per interessi» (comma 5).

Si tratta di soluzioni di compromesso, pervase dalla preoccupazione che, se gli interessi maturati, non fruttiferi e contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale, non fossero esigibili fino alla chiusura del conto, le banche non avrebbero alcuna convenienza a stipulare contratti di apertura di credito a tempo indeterminato ed opterebbero per aperture di credito a tempo determinato, in modo tale da avere, alla scadenza, interessi esigibili ed ottenerne in tal modo il pagamento mediante regolazione in conto corrente (utilizzando le operazioni attive successive alla scadenza del termine), il che avrebbe alla fine conseguenze non positive per i clienti.

Onde evitare la riduzione dei servizi bancari offerti alla clientela, si è pensato pertanto di reintrodurre surrettiziamente l’anatocismo bancario, sia pure secondo modalità formalmente diverse da quelle contemplate dal precedente art. 120 TUB, prevedendo cioè non più un criterio di produzione automatica degli interessi sugli interessi, ma, per un verso, un meccanismo dipendente dalla “volontà” del cliente da esprimersi mediante un’apposita autorizzazione (comma 4) e, per altro verso, un sistema convenzionale di estinzione “anticipata” degli interessi esigibili (comma 5).

In particolare, nel momento in cui, al comma 4 dell’art. 4, si stabilisce che, decorso il termine di esigibilità degli interessi (un anno e sessanta giorni), il cliente possa autorizzarne l’addebito sul conto (o sulla carta), con conseguente “conversione” della somma addebitata in sorte capitale, si dà chiaramente ingresso ad una forma di anatocismo, che esula dall’ambito della delega legislativa, concernente – come già detto – la definizione di modalità e criteri per la produzione degli interessi e non anche per la produzione degli interessi sugli interessi.

Resta oltretutto da chiedersi se l’autorizzazione del cliente (autorizzazione che, incidendo su uno degli elementi contrattuali, pur in assenza di una espressa previsione in tal senso, dovrebbe essere scritta ex art. 117 TUB, anche per assicurare certezza nello svolgimento del rapporto) debba essere successiva alla scadenza degli interessi, ma preliminare all’addebito sul conto o sulla carta (il che consentirebbe al cliente di valutare la convenienza della “fusione” della somma dovuta per interessi con la sorte capitale), o possa essere rilasciata (e quindi sostanzialmente imposta) già all’atto della sottoscrizione del contratto (il che renderebbe la capitalizzazione di fatto automatica).

Pare comunque indiscutibile che il comma 4 dell’art. 4 della proposta di delibera, destinato a far tornare in auge l’anatocismo bancario, anche se con sembianze diverse da quelle “tradizionali”, sia solo apparentemente attuativo dell’art. 120, comma 2, TUB, dal solco del quale in realtà si discosta. E se ciò magari sul piano operativo si giustifica considerando che gli effetti “collaterali” di un rigido divieto di anatocismo potrebbero ritorcersi a danno del cliente, che in assenza dell’addebito sul conto degli interessi, dovrebbe provvedere al pagamento o in contanti o con bonifico da altra banca (il che potrebbe essere in ipotesi difficoltoso, se il correntista non ha a disposizione il denaro, o costoso, se deve aprire un conto presso un altro intermediario)[15], sul piano giuridico non è tuttavia condivisibile, giacché una disciplina secondaria non può derogare ad un principio posto da una norma di legge primaria.

Che la proposta di delibera si ispiri ad una sostanziale non condivisione della linea di fondo sottesa alla novella del dicembre 2013, è confermato altresì dal comma 5 dell’art. 4, ai sensi del quale, se previsto nel contratto, i fondi destinati ad affluire sul conto (affidato) del cliente possono essere direttamente impiegati dalla banca per estinguere il debito da interessi.

Ora, la fattispecie è apparentemente estranea all’istituto dell’anatocismo, in quanto, nel momento in cui gli interessi – divenuti esigibili in ragione della decorrenza del termine all’uopo previsto – sono “pagati” con i fondi accreditati sul conto dalla banca, essi non esistono più (il relativo debito viene cioè estinto) e non è dunque possibile che producano altri interessi.

In concreto, tuttavia, il fatto che il pagamento degli interessi avvenga mediante le rimesse “in entrata” sul conto (affidato) del cliente implica che gli interessi saranno a quel punto dovuti sulle somme “prelevate” dalla banca per “pagare” il precedente debito per interessi, così generando una sorta di anatocismo “mediato”.

In altre parole, i nuovi interessi formalmente non si produrranno sugli interessi precedenti, che si sono estinti, ma sulle somme (esattamente corrispondenti) utilizzate per “pagarli”. La sostanza delle cose, però, cambia ben poco, essendosi al cospetto di un’operazione che ha sì l’effetto di “pagamento” (ossia di estinzione di una obbligazione preesistente), ma costituisce al contempo lo strumento mediante il quale il correntista assume una distinta obbligazione (cioè quella di pagare gli interessi sulla somma affluita sul conto)[16].

Ne discende che la previsione del comma 5 dell’art. 4, pur se formalmente aderente al disposto del nuovo art. 120, comma 2, TUB, dà luogo in concreto ad un fenomeno non dissimile dall’anatocismo bancario, segnando in un certo senso il passaggio da un anatocismo “sfilacciato”[17], quale era quello delineato dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000, ad una sorta di anatocismo “mimetizzato”[18]. E ciò nel dichiarato tentativo di contemperare l’esigenza di evitare che l’intervento legislativo, finalizzato ad assicurare un regime di maggior favore per la clientela, possa avere ricadute negative per la stessa, con l’esigenza di impedire che l’applicazione della novella si risolva, per le banche, nell’impossibilità economico-finanziaria di erogare i servizi in conto corrente[19].

Sotto tale ultimo profilo, le soluzioni tecniche adottate (sempre che non subiscano modifiche all’esito della procedura di consultazione) sottendono altresì la preoccupazione che il divieto di anatocismo possa creare ostacoli alla libera concorrenza tra intermediari all’interno dell’Unione Europea e possa rivelarsi non conciliabile con le regole comunitarie in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

La questione in sede cautelare, aisensidell’art. 267 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), è già stata sollevata e finora condivisibilmente risolta dalla giurisprudenza di merito nel senso della compatibilità del nuovo art. 120, comma 2, con i principi comunitari, sul presupposto che è compito del legislatore nazionale stabilire se gli interessi debbano essere semplici o composti, come del resto ritenuto dalla Corte di Giustizia dell’Unione «in una delle poche pronunzie in subiecta materia»[20] (caso C-591/10[21]), e che la nuova disciplina «risponde ad un interesse generale e, eliminando una condizione gravosa per la clientela, può giovare alla penetrazione nel mercato da parte di tutte le banche di qualunque stato membro»[22].

Si aggiunge inoltre che la materia dell’anatocismo non è oggetto di specifica regolamentazione in ambito UE, tantomeno in materia bancaria[23], che non sussiste tra gli Stati membri alcuna uniformità di disciplina (in quanto alcuni Stati vietano l’anatocismo, mentre altri lo ammettono o lo regolano in maniera difforme)[24] e che la normativa italiana non solo non si pone in contrasto con i principi generali e con le direttive dell’Unione, ma ne costituisce anzi attuazione nella parte in cui «va incontro ad esigenze di effettività della tutela e di favor per il contraente debole consumatore»[25] in maniera ragionevole, «proporzionata e comunque non esorbitante rispetto allo scopo»[26].

Ed allora, i principi in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi – su cui si fonda l’Unione Europea – non sono compromessi dall’art. 120, comma 2, TUB, in sé considerato, ma semmai dalle incertezze interpretative che l’hanno finora connotato ed ancor di più dal ritardo nell’adozione della normativa di dettaglio, che è ormai comunque in dirittura d’arrivo e che però – c’è da scommettere – rappresenterà solo l’ennesima tappa intermedia del tormentato percorso dell’anatocismo bancario.

2. Divieto di anatocismo e contratti di finanziamento con piano di rimborso rateale.

Si è già detto che l’art. 120, comma 2, novellato dovrebbe riferirsi pure ai rapporti non regolati in conto corrente e che tale soluzione interpretativa risulta oggi convalidata dalla proposta di delibera, che, se detta delle norme speciali per i «rapporti regolati in conto corrente e in conto di pagamento» nonché per i «finanziamenti a valere su carte di credito» (art. 4), contiene tuttavia anche delle norme generali (artt. 2 e 3) valevoli per tutte le «operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti» (art. 2, comma 1).

In questa prospettiva, interessa allora verificare come sia destinato ad operare – allo stato dell’arte – il divieto di anatocismo per i contratti di finanziamento con piano di rimborso rateale che non siano regolati in conto corrente (e che non siano pertanto soggetti alla disciplina di cui all’art. 4 della proposta di delibera).

A tal fine è opportuno fare un breve riassunto delle “puntate” che hanno preceduto la novella della fine del 2013.

E’ noto che in un primo tempo, quando l’anatocismo nel conto corrente bancario era reputato costantemente legittimo (quale espressione di un uso normativo) dalla giurisprudenza di legittimità[27] e dalla maggior parte della giurisprudenza di merito[28], la Corte di Cassazione aveva seguito un’interpretazione favorevole agli istituti bancari anche in tema di mutuo, affermando che, in relazione all’obbligo di calcolare gli interessi di mora sugli interessi compresi nelle rate scadute e non pagate, non poteva «correttamente…parlarsi di anatocismo, perché gli interessi di ammortamento costituiscono componenti della rata secondo la tabella di ammortamento del mutuo e devono ritenersi capitale da restituire al mutuatario»[29].

Sotto questo profilo, dunque, la prestazione restitutoria era ritenuta tale da ricomprendere gli interessi e la rata di mutuo si connotava come un unicum inscindibile di capitale ed interessi, il che escludeva appunto la configurabilità stessa di un fenomeno anatocistico[30].

A seguito del revirement del 1999[31] e delle perplessità manifestate in dottrina sulla assimilazione degli interessi al capitale[32], la S.C.[33] aveva rivisto il proprio orientamento in materia di rapporti tra anatocismo e mutuo ordinario[34], negando l’assimilazione degli interessi al capitale e sottolineando che, con riferimento al calcolo degli interessi, dovevano ritenersi «senz’altro applicabili le limitazioni previste dall’art. 1283 c.c., non rilevando, in senso opposto, l’esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta». E ciò in quanto gli usi normativi contrari, menzionati dal citato art. 1283 c.c., erano soltanto quelli formatisi anteriormente all’entrata in vigore del codice civile[35] e, nello specifico campo del mutuo bancario ordinario, non era dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dall’art. 1283 c.c.[36].

In questo panorama giurisprudenziale interveniva l’art. 25 D. Lgs. n. 342 del 4 agosto 1999, che, novellando l’art. 120 TUB, demandava al CICR il compito di stabilire «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria». In attuazione di tale disposto, veniva quindi emessa la delibera del 9 febbraio 2000[37], che, dopo aver affermato che «nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari» gli interessi potevano «produrre a loro volta interessi» (art. 1), dettava, all’art. 3, i limiti dell’anatocismo nell’ambito dei finanziamenti con piano di rimborso rateale, statuendo che «in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata» poteva, «se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento». Su questi interessi non era consentita la capitalizzazione periodica (comma 1).

Aggiungeva poi che «le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi»non avevano effetto se non erano«specificatamente approvate per iscritto» (art. 6).

In forza di tali disposizioni, divenute efficaci a far data dal 22 aprile 2000[38], e che si applicavano ai contratti di finanziamento stipulati sia dalle banche che dagli intermediari finanziari, inclusi quindi i mutui bancari[39], gli interessi corrispettivi compresi nelle rate di finanziamento scadute potevano essere capitalizzati, anche laddove il mancato pagamento determinasse la risoluzione del contratto di finanziamento, purché il contratto lo prevedesse[40] e la clausola fosse specificamente approvata per iscritto[41].

Era invece vietata la capitalizzazione degli interessi moratori, fossero essi applicati sugli interessi corrispettivi oppure sull’aliquota capitale[42].

L’art. 3[43], in particolare, era una previsione che poteva essere letta contemporaneamente in due modi: sia come limitata ammissione dell’anatocismo nei finanziamenti con piano di rimborso rateale, ferma restando l’autonomia tra capitale ed interessi nell’ambito della rata di rimborso[44], sia quale negazione dell’anatocismo sul presupposto dell’innesto degli interessi nel capitale da restituire al mutuante.

Ed infatti, da un lato, la norma, nel consentire la decorrenza degli interessi sull’intero importo di ciascuna rata non pagata, subordinava tale possibilità al ricorrere di determinate condizioni, il che appariva una conferma del principio dell’autonomia degli interessi rispetto al capitale.

Dall’altro, sembrava invece convalidare la tesi tradizionale per la quale la rata di rimborso costituiva un unicum inscindibile di capitale ed interessi, riaffermando, dopo l’intervento “demolitorio” della Cassazione del 2003, la legittimità della decorrenza degli interessi di mora sull’ammontare dell’intera rata di mutuo.

La disposizione, oltretutto, finiva con l’aprire le porte ad una duplicazione del fenomeno anatocistico, nel caso in cui il pagamento delle rate di finanziamento fosse regolato in conto corrente (v. art. 3 comma 3), in quanto, come è stato efficacemente osservato[45], nel momento in cui l’importo della rata veniva addebitato su conto corrente con un saldo “passivo”, sugli interessi già computati con riferimento al mutuo maturavano degli ulteriori interessi secondo la periodicità prevista per il conto corrente di appoggio (ex art. 2 della delibera), così dando luogo ad «una sorta di doppia capitalizzazione»[46], ossia ad un anatocismo sull’anatocismo, pure vietato dall’art. 3 della delibera, sulla cui legittimità non a caso erano stati da subito sollevati dei dubbi[47].

Si arriva così al nuovo testo dell’art. 120, comma 2, TUB, che, per i finanziamenti con piano di rimborso rateale, si presta a riproporre nella sostanza, sia pure in una veste formale in parte differente, un sistema non dissimile da quello contemplato dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000.

Sotto il primo versante, può invero affermarsi, in una linea di continuità ideale con il passato, che la novella non afferisce a questa tipologia di rapporti, giacché, nel momento in cui l’interesse entra a far parte della rata di mutuo, divenendo un tutt’uno con il capitale, è ormai quest’ultimo, che ha inglobato in sé l’interesse, a costituire la base per il calcolo degli interessi successivi, sicché di capitalizzazione non si dovrebbe proprio discorrere.

Tale soluzione non sembra tuttavia condivisibile, ostando alla assimilazione tra capitale ed interessi che essa comporta la distinzione tra le due figure, sotto il profilo sia della natura giuridica (in ragione del carattere eventuale dell’obbligazione di interessi) sia della disciplina (essendo le vicende dell’obbligazione di interessi indipendenti da quelle dell’obbligazione principale, salvo il collegamento tra le due obbligazioni – con vincolo di accessorietà della prima alla seconda – nel momento genetico)[48].

Parimenti non condivisibile è un’interpretazione che, pur riconoscendo la riconducibilità dei relativi contratti al nuovo art. 120 comma 2 TUB, pervenga ad analoga conclusione, optando per una lettura della disposizione che, valorizzando il significato semantico del termine “capitalizzazione” impiegato nella lett. b), ne sminuisca la portata, ritenendo che essa si risolva in un mero restyling formale dell’istituto dell’anatocismo, senza reali aspetti innovativi.

Una simile impostazione, che ammetta (anche) per i contratti di mutuo e di finanziamento con piano di rimborso rateale una “prima capitalizzazione” (sulla falsariga di quanto già previsto dall’art. 3, comma 1 e comma 2, della delibera CICR del 9 febbraio 2000), oltre ad essere di per sé contraddittoria, in sostanza si tradurrebbe in una riedizione “aggiornata” della disciplina precedente, esponendosi al rilievo che, se il legislatore avesse voluto confermare la normativa anteriore, non vi sarebbe stata ragione di novellare il comma 2 dell’art. 120 TUB.

Sulla scorta della nuova disposizione, volta – come già detto – a porre termine all’anatocismo bancario, attraverso la prevista attribuzione al CICR del potere di stabilire modalità e criteri non più per la «produzione di interessi sugli interessi», bensì soltanto per la «produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria», andrebbero quindi eliminati gli effetti anatocistici nei rapporti di finanziamento, con conseguente applicabilità degli interessi di mora sulla sola “quota capitale” delle rate scadute e non pagate[49].

La soluzione appena indicata deve fare tuttavia oggi i conti con la proposta di delibera, che, da un lato, stabilisce che per la produzione degli interessi di mora «si applicano le disposizioni del codice civile» (art. 2, comma 3), e dall’altro detta una disciplina apposita per i rapporti regolati in conto corrente e per i finanziamenti a valere su carte di credito (art. 4), senza nulla dire sui finanziamenti con piano di rimborso rateale che siano sganciati da un rapporto di conto corrente.

Nel rinviare a quanto sopra detto sulle incertezze interpretative generate dal combinato disposto dell’art. 2 comma 3 e dell’art. 3, preme ora sottolineare che, se si leggono le due norme nel senso che il divieto posto dall’art. 120, comma 2, TUB sia circoscritto ai soli interessi corrispettivi, non ponendosi per gli interessi moratori un problema di anatocismo, si torna di fatto alla tesi che nega in radice che si possa discutere di capitalizzazione per i contratti di mutuo bancario e per quelli assimilabili, il che oltretutto significa, per i finanziamenti regolati in conto corrente, “legittimare” in concreto una “doppia capitalizzazione” (se resteranno fermi i meccanismi previsti dall’attuale art. 4).

Se invece si privilegia una diversa soluzione, che riconduca tutti gli interessi all’alveo dell’art. 1283 c.c., segnando il ritorno al regime anteriore a quello introdotto dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000, l’effetto è «che la banca mutuataria non può pretendere il pagamento degli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi»[50].

Se però si tratta di mutui o di finanziamenti per i quali il pagamento delle rate è regolato su conto corrente (o di finanziamenti a valere su carte di credito), il discorso cambia, perché, fermo restando il divietodicomputare interessi ulteriori sulla quota parte degli interessi corrispettivi delle rate scadute, una volta addebitati sul conto corrente (o sulla carta di credito) i relativi importi, potranno maturare altri interessi a favore della banca, al ricorrere delle condizioni (allo stato) previste dai commi 4 e 5 dell’art. 4 della proposta di delibera, con conseguente verosimile aumento del costo del credito.

3. L’entrata in vigore del nuovo regime

La nuova disciplina in tema di anatocismo è destinata ad essere ricordata anche per la sofferta individuazione del momento della sua entrata in vigore.

Ed invero è controverso se tale momento coincida con l’entrata in vigore “generale” della legge di stabilità (1° gennaio 2014) o se presupponga l’emanazione della delibera di dettaglio del CICR, ormai prossima ad essere adottata[51].

Il dubbio sorge perché difettano nella norma indicazioni decisive e la stessa si presta a non univoche interpretazioni.

E così, secondo una prima lettura, sussisterebbe una stretta correlazione tra entrata in vigore ed attuazione demandata al CICR, in quanto il comma 2, rinviando alla normativa di secondo livello per «modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria», implicitamente differirebbe l’entrata in vigore dell’intera disciplina all’atto dell’emanazione delle disposizioni di dettaglio. In questo contesto, sarebbe ancora applicabile il precedente regime normativo, compresa la delibera CICR del 9 febbraio 2000[52].

Secondo una diversa impostazione, invece, il nuovo art. 120 comma 2 sarebbe in vigore dal I gennaio 2014, avendo un contenuto di per sé sufficiente a regolare la materia ed essendo il previsto intervento del CICR funzionale soltanto all’adozione della normativa di dettaglio[53].

Entrambe le tesi sono certamente sostenibili, anche se pare più convincente la seconda.

Ed infatti, il primo orientamento, sebbene trovi un preciso addentellato nel dato letterale, presenta degli elementi di incongruenza.

In particolare, è vero che la disposizione demanda alla normativa secondaria la fissazione di modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, ma è altrettanto vero che il comma 629 nella parte iniziale dispone, con portata immediatamente precettiva, la sostituzione del comma 2 dell’art. 120 TUB con il nuovo testo dallo stesso introdotto[54], sicché il divieto di anatocismo dovrebbe valere come tale, a partire dal I gennaio 2014, sia per i nuovi contratti sia per i rapporti in corso a tale data[55].

In altre parole, poiché la nuova norma comporta di per sé l’abrogazione dell’art. 25, comma 2, d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342, circoscrivendo la delega conferita al CICR al solo aspetto della «produzione di interessi», con esclusione di ogni riferimento alla «produzione di interessi sugli interessi», sotto tale profilo non si rende necessaria alcuna integrazione, operando automaticamente il disposto dell’art. 1283 c.c., che, data l’ormai acclarata insussistenza di usi normativi di segno contrario in materia bancaria, consente l’anatocismo solo al verificarsi delle condizioni da esso previste (domanda giudiziale o convenzione posteriore alla scadenza degli interessi e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi).  

In questo contesto si inserisce oggi l’art. 5 della proposta di delibera, in base al quale la stessa «si applica agli interessi maturati a partire dal 1° gennaio 2016» ed i contratti in corso «sono adeguati con l’introduzione di clausole conformi all’articolo 120 del TUB» ed alla disciplina di dettaglio, ai sensi degli artt. 118 e 126-sexies del TUB.

La disposizione, verosimilmente ispirata dall’intento di fare chiarezza sulla sorte dei rapporti pendenti, ad una prima lettura pare avallare la tesi della non immediata operatività della novella, prospettando come necessaria a tal fine l’integrazione della disposizione legislativa con la normativa di dettaglio, attraverso l’introduzione di un meccanismo di adeguamento dei contratti in corso.

Ad un più attento esame, tuttavia, l’espressa previsione dell’applicazione della delibera «agli interessi maturati a partire dal 1° gennaio 2016» (art. 5, comma 1) non risulta tale da incidere sull’operatività a far data dal I gennaio 2014 dell’art. 120, comma 2, TUB, almeno nella sua parte immediatamente precettiva.

E difatti, essendo stato delegato al CICR il potere di stabilire modalità e criteri «per la produzione di interessi», solo sotto questo aspetto la disciplina legislativa necessita di integrazione, per cui è soltanto alle norme di dettaglio (e principalmente all’art. 4, che contiene disposizioni innovative) che può riferirsi l’art. 5 della proposta di delibera, fermo restando – a far data dal 1° gennaio 2014 – il divieto di anatocismo, per l’esecutività del quale non è richiesta alcuna integrazione.

Questa seconda tesi, a fronte del nuovo testo dell’art. 120 comma 2 TUB, sembra da privilegiare, poiché, per l’appunto, mentre la «produzione di interessi sugli interessi» era in precedenza consentita, dopo il 1° gennaio 2014 non lo è più, sicché l’anatocismo bancario è rimasto orfano di quella base normativa che anteriormente permetteva di derogare al divieto generale posto dall’art. 1283 c.c..

Ed allora, sulla scorta della nuova norma legislativa e dell’art. 5 della proposta di delibera, si prospetta una soluzione articolata in tre fasi: una prima fase, in cui dovrebbe operare la (sola) parte precettiva del nuovo comma 2 dell’art. 120 TUB, ossia il divieto di anatocismo, che implica che le disposizioni di segno contrario contenute nella delibera CICR del 9 febbraio 2000 non possano avere «più alcuna valenza normativa»[56]; una seconda fase, caratterizzata in aggiunta dall’adeguamento dei contratti in corso alla disciplina attuativa (adeguamento per il quale nella proposta di delibera non si menziona il termine a quo, il che rischia di essere fonte di ulteriori complicazioni); ed una terza fase, post 1° gennaio 2016, nella quale potrà trovare applicazione l’intera normativa, primaria e di dettaglio.

Ne discende pertanto, per i contratti “in corso” alla data del 1° gennaio 2014, che l’adeguamento alle norme della delibera entro il 31 dicembre 2015 può al più garantire la legittimità del meccanismo di produzione degli interessi in essa previsto per il futuro (ossia a partire dal 1° gennaio 2016), ma non può “sanare” l’illegittimità della capitalizzazione degli interessi praticata nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore del nuovo art. 120, comma 2, TUB) ed il 31 dicembre 2015.

L’ulteriore conseguenza è che le banche che hanno continuato a capitalizzare gli interessi passivi, come se nulla fosse cambiato, restano esposte alle azioni dei clienti volte ad ottenere il ricalcolo dei saldi passivi dei conti correnti “depurati” degli interessi anatocistici in essi incorporati, risultando le relative annotazioni ed i conseguenti saldi inficiati dall’illegittimo anatocismo applicato successivamente al 31 dicembre 2013.

E ciò sempre che non si risolva il problema dei tempi di applicazione della nuova disciplina alla radice, sostenendo la tesi secondo cui la locuzione “capitalizzazione”, contenuta nel nuovo art. 120 comma 2, dato il suo univoco significato, non faccia altro che ratificare, nella sostanza (a fortiori perché allontana l’anatocismo bancario dai binari propri dell’art. 1283 c.c.), l’attuale prassi bancaria[57], tesi che, mantenendo comunque fermi nella fase attuale i criteri posti dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000, avrebbe indubbi effetti deflattivi sul contenzioso, ma sarebbe poco coerente con la ratio dell’intervento normativo.

Una simile impostazione non ha avuto ad ogni modo sinora seguito in giurisprudenza, essendo le decisioni edite tutte orientate nel senso che la nuova disposizione vieta chiaramente l’anatocismo bancario.

E’ invece controversa presso i giudici di merito la necessità o meno dell’intervento della delibera CICR ai fini dell’operatività del divieto.

E così, talune pronunzie ritengono (anche implicitamente) che il superamento delle norme contenute nella delibera CICR del 9 febbraio 2000 presupponga l’adozione di una nuova disciplina di dettaglio che sostituisca la precedente, o comunque avanzano dei dubbi sull’immediata applicabilità della novella[58].

Invece, l’orientamento prevalente[59], formatosi per lo più nell’ambito di procedimenti cautelari instaurati ai sensi dell’art. 140 del Codice del Consumo (al fine di far inibire a singole banche di continuare ad applicare l’art. 120, comma 2, nel testo precedente e di continuare quindi a praticare l’anatocismo nei termini di cui alla delibera CICR del 9 febbraio 2000), sottolinea come, una volta riconosciuto come l’art. 1, comma 629, della legge n. 147 del 2013 «vieti in toto l’anatocismo bancario, nessuna specificazione tecnica di carattere secondario potrebbe limitare la portata o disciplinare diversamente la decorrenza del divieto, pena diversamente opinando ammettere che una norma primaria possa in tutto o in parte o anche solo temporaneamente essere derogata da una disposizione secondaria ad essa sotto-ordinata»[60].

Ed allora, in questa prospettiva, l’art. 5 non può costituire lo strumento per porre rimedio, in sede di attuazione, ai dubbi interpretativi generati da una certa approssimazione del testo dell’art. 120, comma 2, TUB[61], non essendo certamente questa la finalità della delibera CICR, chiamata a dettare «modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria» e non anche a fornire una sorta di interpretazione autentica della norma legislativa[62].

In ogni caso, è di tutta evidenza che l’incertezza che connota pure tale aspetto si pone in contrasto con l’auspicio, da più parti avanzato, di fare chiarezza sulla quérelle relativa all’anatocismo nei rapporti bancari, che si trascina da ben oltre quindici anni ed al cospetto della quale era chiaramente prevedibile che la novella del dicembre 2013 avrebbe determinato diversità di vedute e contenziosi anche sui tempi di applicazione della disposizione.

Ormai, però, il dado è stato tratto e, dinanzi al testo (almeno apparentemente) contraddittorio del nuovo art. 120 comma 2 TUB, si sono già aperti dei varchi sul fronte della capitalizzazione degli interessi, con buona pace dell’obiettivo del legislatore di mettere la parola “fine” all’anatocismo bancario, un obiettivo per il cui raggiungimento bisognerà (forse) attendere la prossima “puntata”…

 

[1] L’art. 120, comma 2, TUB, così recitava: <<2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori>>.

[2] I lavori preparatori sono reperibili in www.ilcaso.it.

[3] L’art. 31 disponevatestualmente: «Il comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, è sostituito dal seguente: “2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre. 2. Fino all’entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, continua ad applicarsi la delibera del CICR del 9 febbraio 2000, recante “Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, comma 2, del Testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del d.lgs. 342/99)”, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 del presente articolo. 3. La periodicità di cui al comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si applica comunque ai contratti conclusi dopo che sono decorsi due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto; i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli conclusi nei due mesi successivi sono adeguati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con l’introduzione di clausole conformi alla predetta periodicità, ai sensi dell’articolo 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385».

[4] In questi termini è orientata la giurisprudenza di merito: cfr. Trib. Milano, 25 marzo 2015 (ord.) in www.ilcaso.it. (nonché in Corr. giur. 2015, 10, con nota di Colombo, ed in Contratti 2015, 10, 875 ss., con commento di Farina), in cui si sottolinea che l’art. 1 comma 629 della legge di stabilità 2014 «non può che leggersi … nel senso della rigorosa esclusione dell’anatocismo nei rapporti bancari, sulla base della mera interpretazione letterale, in forza della quale è difficile assegnare all’espressione “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori” significato diverso dall’esclusione dell’anatocismo; ciò anche alla luce della correlazione con il successivo periodo, che impone di calcolare gli interessi capitalizzati, ossia annotati in conto, esclusivamente sulla sorte capitale. In tal senso depone anche il raffronto con la precedente versione del comma 2 dell’art.120, che rimetteva al CICR di stabilire criteri e modalità “per la produzione di interessi sugli interessi scaduti”, espressione che all’art.1283 c.c. definisce l’anatocismo, e che oggi non è più riproposta nella norma in esame, che si limita a parlare di “produzione di interessi”. Tale interpretazione è peraltro coerente con la relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera, nella quale era espressamente chiarito che la proposta di legge intendeva sancire l’illegittimità della prassi bancaria dell’anatocismo. Non solo, ma la voluntas legis è ulteriormente riscontrabile nella mancata conversione in legge dell’art. 31 D.L. n. 91/14, il quale aveva reintrodotto la legittimità dell’anatocismo bancario». Conf. Trib. Milano, 3 aprile 2015 (ord.), ibidem; Trib. Cuneo, 29 giugno 2015 (ord.), ibidem; Trib. Milano, 1 luglio 2015 (ord.), in www.intesasanpaolo.com; Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 29 luglio 2015 (ord.), in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 5 agosto 2015 (ord.), in www.dirittobancario.it.

[5] Non destano invece particolari problemi i presupposti soggettivi di applicazione della novella, in quanto vi dovrebbero rientrare, tra i clienti, sia i consumatori che i non consumatori (comprese le imprese, anche costituite in forma societaria), non facendo il nuovo art. 120, comma 2, TUB, alcuna distinzione al riguardo (v. Trib. Cuneo, 29 giugno 2015, cit.), il che è oggi confermato dall’art. 1 della proposta di delibera, che definisce come “cliente” «qualsiasi soggetto che ha in essere un rapporto contrattuale con un intermediario», con la sola esclusione, in ragione della loro natura ed attività, di taluni soggetti collettivi specificamente individuati (ad esempio, banche, società finanziarie, istituti di moneta elettronica, imprese di assicurazione, imprese di investimento); sono altresì escluse le società aventi natura finanziaria controllanti, controllate o sottoposte al comune controllo dei soggetti sopra indicati.

Quanto poi al versante degli intermediari, il testo dell’art. 120, comma 2, TUB è tale da riferirsi anche agli intermediari finanziari, il che appare coerente sia con l’ormai tendenziale omogeneizzazione delle norme in materia bancaria e finanziaria (pure in ragione del disposto dell’art. 115, comma 1, stesso T.U., che stabilisce che le norme in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali nelle operazioni e servizi bancari e finanziari si applicano alle attività svolte nel territorio della Repubblica dalle banche e dagli intermediari finanziari), sia con l’obiettivo di promuovere in tal modo la concorrenza tra intermediari capaci di offrire prodotti e servizi assimilabili. Del tutto in linea con il testo normativo si pone allora la proposta di delibera, laddove chiarisce che per intermediari si intendono «le banche, gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 del TUB, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento»(v. art. 1).

[6] Cfr. nota che accompagna la proposta di delibera, reperibile sul sito internet della Banca d’Italia.

[7] Si legge nel documento che accompagna la proposta di delibera che il nuovo art. 120, comma 2, intende «vietare la produzione di interessi anatocistici, non consentendo mai la capitalizzazione degli interessi nelle operazioni da esso disciplinate, diversamente da quanto stabilito dal codice civile (art. 1283)».

[8] Così Trib. Milano, 25 marzo 2015 (ord.), cit..

[9] Cfr. Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2000, 2014, in www.dirittobancario.it, 2014, ottobre. Cfr., altresì,Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione del potere bancario di anatocismo, in Banca borsa tit. cred. 2015, I, 277.

[10] Cfr. Morerae Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120 comma 2, TUB, in www.associazionepreite.it, 13.

[11] Cfr. Dolmetta, Sul transito dell’anatocismo bancario dal vecchio al nuovo regime, in www.ilcaso.it, 12 marzo 2015, secondo cui «Se ben si intende la prescrizione positiva della norma nuova, gli interessi maturati nel conto per un dato periodo vanno contabilizzati per scrittura separata (come una distinta linea del rapporto, si può grosso modo immaginare), dove restano infruttiferi di altri interessi e pure inesigibili (perché interni al rapporto di conto e in applicazione, quindi, della regola di inesigibilità del debito del cliente sino a chiusura del rapporto medesimo)».

[12] Così Trib. Milano, 25 marzo 2015 (ord.), cit.. Cfr., altresì, Trib. Cuneo, 29 giugno 2015 (ord.), cit.; Trib. Milano, 1 luglio 2015 (ord.), cit.; Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), cit.. In termini parzialmente diversi, in dottrina c’è chi sottolinea che il legislatore, nell’art. 120, comma 2, TUB, ha fatto ricorso ad un’espressione propria della matematica finanziaria, per sancire il divieto di tramutare la “capitalizzazione semplice” in “capitalizzazione composta” (cfr. Antonucci, Anatocismo bancario, divieto, continuum di nullità, competenze istituzionali, in www.assoctu.it).

[13] Cfr. Trib. Cuneo, 29 giugno 2015, cit., in cui ci si chiede che senso avrebbe «una capitalizzazione di interessi non idonea a produrre ulteriori interessi. Capitalizzare gli interessi vuol dire portare l’interesse prodotto da una somma in un certo periodo di tempo, a una certa scadenza, a capitale, trasformare quindi l’interesse da semplice a composto consentendo la produzione di interessi anatocistici. Ma allora perché il legislatore avrebbe consentito di capitalizzare un interesse che non può produrre ulteriori interessi? Una contraddizione logica interna alla norma che non le consentirebbe di avere significato normativo e precettivo alcuno. Ancora, se così fosse, tale norma si troverebbe in irrimediabile conflitto logico con quella immediatamente successiva, che parla di “successive capitalizzazioni” prive di capacità di capitalizzare interessi, posto che, per queste ultime, gli interessi sono computati solo sulla sorte capitale. L’aporia, che porterebbe la disposizione a introdurre improbabili e confliggenti norme, di impossibile applicazione (e si ricordi, incidentalmente, che non sarà possibile per una fonte secondaria, quale la delibera CICR, tanto meno in via di interpretazione della disposizione primaria, introdurre il vietato meccanismo anatocistico) si risolve solo attribuendo al termine “capitalizzazione” utilizzato nella lettera b) il significato di calcolo, conteggio, operazione di identificazione di una unità numerica contabile per frazione di tempo».

[14] Cfr. Trib. Mondovì, 17 febbraio 2009, n. 70, in Giur. merito 2009, 4, 973; Trib. Torino, 21 gennaio 2010, in www.ilcaso.it.Trib. Novara, 16 luglio 2010, n. 774, in Redazione Giuffrè 2010.

[15] Cfr. la già citata nota di accompagnamento alla proposta di delibera.

[16] Si noti che la norma è destinata a ripercuotersi anche sull’aspetto della decorrenza del termine di prescrizione, nel senso che, nel momento in cui l’afflusso di somme sul conto del cliente vale a “pagare” il debito da interessi, dalla relativa annotazione (se si tratta di un pagamento non dovuto) dovrebbe decorrere il termine prescrizionale decennale dell’azione di ripetizione di indebito. Diversamente, nell’ipotesi contemplata dal precedente comma 4, il periodo di prescrizione dovrebbe iniziare non dall’annotazione dell’addebito sul conto degli interessi (divenuti esigibili), che di per sé non equivale ad un pagamento, bensì dall’annotazione dei successivi “versamenti” che affluiscono sul conto, sempreché tali versamenti abbiano funzione “solutoria”, in ossequio ai principi affermati da Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Diritto & Giustizia 2010 (con nota di Milizia), in Foro it., 2011, 1, 428 (con nota di richiami di Palmieri), in Guida al diritto,2011, 1, 74 (con nota di Mastromarino), ne Il civilista,2011, 1, 14 (con nota di Risolo) e in Resp. civ. e prev., 2011, 3, 697.

[17] Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della delibera CICR 9/2/00. Dall’anatocismo sfilacciato al divieto dell’art. 1283 c.c.: nell’indifferenza dell’Organo di Vigilanza, l’intermediario bancario persevera nella capitalizzazione degli interessi, con oltre € 2 mil. di ricavi illegittimi nell’anno in corso, in www.ilcaso.it, 12 dicembre 2014.

[18] Ciò vale a fortiori in ipotesi di carte di credito cd. revolving, connotate, come è noto, dalla flessibilità di utilizzo della linea di credito entro i limiti della disponibilità finanziaria concessa, ed in rapporto alle quali i versamenti, in quanto aventi natura preminentemente di atti ripristinatori della disponibilità originariamente garantita, non potrebbero essere assoggettati alla disciplina dei pagamenti, per cui dovrebbero essere sottratti all’applicazione della regola di cui all’art. 1194 c.c.: cfr. ABF Napoli, dec. n. 1716 dell’11 agosto 2011, in www.ilcaso.it.

[19] Cfr. la già citata nota che accompagna la proposta di delibera in esame.

[20] Così Trib. Cuneo, 29 giugno 2015 (ord.), cit.; conf. Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), cit..

[21] Cfr. Corte Giust. CE (Grande Sezione), 19 luglio 2012, causa C-591/10, in curia.europa.eu (nella specie si trattava di interessi derivanti dal diritto di un imprenditore di ripetere somme indebitamente percepite dal governo inglese a titolo di imposte contrarie al diritto dell’Unione europea).

[22] Così Trib. Milano, 1° luglio 2015 (ord.), cit..

[23] Cfr. Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), cit..

[24] Per un quadro della normativa europea in materia di anatocismo v. Aa.Vv., Study on interest rate restrictions in the EU, 2010, 92 ss..

[25] Cfr. Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), cit..

[26] Così sempre Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), cit..

[27] Cfr. tra le tante Cass. 5 giugno 1987 n. 4920, in Foro it., 1988, I, 2352; Cass. 18 dicembre 1998 n. 12675, in Rep. Foro it., 1998, voce Interessi, 3650, n. 6. In dottrina, con particolare riferimento alle argomentazioni a sostegno del suddetto orientamento che ammetteva l’esistenza di un uso normativo in materia bancaria, v. ad es. Ascarelli, Delle obbligazioni pecuniarie, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1971, 593; Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 136 ss.; PavoneLaRosa, Gli usi bancari, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, I, Milano, 1978, 31 ss.; Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato Rescigno, IX, Torino, 1984, 704 ss.; Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, in Trattato Iudica-Zatti, 1993, 261. Avevano invece, già prima del revirement del 1999, manifestato dubbi sulla legittimità dell’anatocismo bancario, Gabrielli, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi, inBanca borsa tit. cred., 1977, I, 257 ss.; Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, 780; Salanitro, Evoluzione dei rapporti tra disciplina dell’impresa e disciplina dei contratti nel settore creditizio, in Banca borsa tit. cred., 1992, I, 599 ss..

[28] Cfr., in senso contrario all’impostazione tradizionale della giurisprudenza di legittimità, Trib. Roma, 22 giugno 1987, in Foro it. 1988, I, 1720; Trib. Vercelli 21 luglio 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, 408, con nota di Inzitari; Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, in Foro it., 1998, I, 2997; Trib. Monza, 23 febbraio 1999, in Contratti, 1999, 440, e in Banca, borsa, tit. cred., 1999, II, 390.

[29] Cfr. Cass. 15 dicembre 1981 n. 6631, in Riv. dir. comm., 1982, II, 89, con nota di Marini; in Giust. civ.,1982, I, 380, con nota di Di Amato,e in Vita not., 1982, 738;Cass. 19 agosto 1983 n. 5409, in Rep. Foro it., 1983, voce Interessi, n. 18; Cass. 19 giugno 1990 n. 6153, in Banca borsa tit. cred., 1991, II, 305 ss.; Cass. I settembre 1995 n. 9227, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, 136; Cass. 17 aprile 1997 n. 3296, in Rep. Foro it., 1997, voce Interessi, n. 13, e in Fallimento, 1997, 1113. Per la giurisprudenza di merito v. Trib. Milano, 27 febbraio 1992, in Banca borsa tit. cred., 1993, II, 191, con nota di Blandini; e Trib. Milano, 2 dicembre 1992, ivi, 1992, II, 359.

[30] Cfr. Caleo, Pratiche anatocistiche e nuove regole per i mutui bancari: dal pacchetto Bersani bis al “Piano Famiglie”, in Capaldo (a cura di), L’anatocismo nei contratti e nelle operazioni bancarie, Padova, 2010, 159 ss., e dottrina ivi citata.

[31] Il nuovo indirizzo della giurisprudenza di legittimità è stato inaugurato dalla nota Cass. 16 marzo 1999 n. 2374, pluriedita, e che si legge tra l’altro in Giust. civ.,1999, I, 1301, 1585 (con note di Giacalone, Costanza e Moscuz), in Banca borsa tit. cred.,1999, II, 389 (con note di Ginevra, Dolmetta e Perrone), e in Contratti, 1999, 437 (con nota di De Nova); sentenza seguita nello stesso anno da Cass. 30 marzo 1999 n. 3096, in Banca borsa tit. cred.,1999, II, 649 (con nota di Porzio), e in Foro it.,1999, I, 1153, e Cass. 11 novembre 1999 n. 12507, in Giust. civ.,2000,I, 2045 (con nota di Di Pietropaolo) e in Foro it. 2000, I, 451 (con note di Palmieri e Nigro), e successivamente da numerose altre. Tale orientamento è stato in specie suggellato da Cass. S.U. 4 novembre 2004 n. 21095 (pubblicata, tra l’altro, in Foro it., 2004, 1, 3294, con note di Palmieri, Pardolesi e Colangelo; in Giur. it., 2005, 66, con nota di Cottino; ibidem, 741, con nota di Razzante; in Corr. Giur., 2005, 214, con nota di Inzitari; in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 7, con nota di Di Martino), ed ulteriormente sviluppato, quanto alle conseguenze della declaratoria di nullità delle clausole anatocistiche, da Cass. S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418, cit.. Sul tema v., di recente, Cass. 6 maggio 2015, n. 9127, e Cass. 7 maggio 2015, n. 9169, entrambe in www.ilcaso.it.

[32] V. Pandolfini, Divieto di anatocismo e contratto di mutuo bancario, in Contratti, 2003, 556.

[33] Cass. 20 febbraio 2003 n. 2593, in Contratti, 2003, 545 ss., con nota di Pandolfini; in Banca borsa tit. cred., 2003, II, 505 ss., con nota di Tardivo; in Foro it., 2003, I, 1774, con nota di La Rocca; in Giust. civ., 2003, 931 ss., con nota di Campione; in Nuovo dir., 2003, I, 517, con nota di Cappuccio; in Dir. e giur.,2003, 327, con nota di Cicoria; in Mondo banc., 2003, 52, con nota di Sforza; in Dir. Fall., 2003, 2, 538, con nota di Farina;in Dir. e prat. soc., 2003, 6, 62 ss., con nota di Vaccaro Belluscio. Vedi su tale pronunzia altresì Bastianon, Tassi bancari ultralegali e anatocismo: il punto di vista della giurisprudenza di merito e della cassazione, in Corr. giur., 2003, f. 7, 889; e Meoli, Un nuovo intervento della cassazione in materia di anatocismo bancario: è illegittima la capitalizzazione degli interessi maturati sulle rate di mutuo, in Nuova giur. civ. comm., 2004, f. 1, I, 80. L’orientamento secondo cui il divieto di anatocismo si applica anche ai contratti di mutuo, a nulla rilevando che, in base al piano di ammortamento, le singole rate di rimborso del prestito comprendano capitale e interessi, può dirsi ormai consolidato presso la giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass. 11 gennaio 2013, n. 603, in Foro it. 2014, I, 128, con nota di Palmieri, e per i contratti di mutuo fondiario, dopo l’entrata in vigore del TUB, Cass. 22 maggio 2014, n. 11400, in Dir. & Giust. 2014, 24 marzo, con nota di Tarantino, eCass. 3 marzo 2015, n. 4230, in Dir. & Giust. 2015, 4 marzo, con nota di Caputo). Nello stesso senso, v., per la giurisprudenza di merito, Trib. Pescara, 7 giugno 2005, in Giur. merito 2005, 10, 2045; Trib. Reggio Calabria, 19 gennaio 2006, in Red. Giuffrè, 2006; Trib. Lecce, 10 marzo 2006, in Red. Giuffrè, 2006; Trib. Pescara, 23 marzo 2006, in Banca borsa tit. cred., 2008, 2, II, 223; Trib. Milano, 17 febbraio 2007, in Banca borsa tit. cred., 2009, 5, II, 615.

[34] Con riferimento ai contratti di mutuo fondiario stipulati anteriormente all’entrata in vigore del T.U. 385/1993, era invece la stessa legge a contemplare espressamente l’anatocismo. Ed infatti, l’art. 38 del R.D. 16 luglio 1905 n. 646 prevedeva che le somme dovute per «il pagamento di interessi, annualità, compensi, diritti di finanza e rimborsi di capitali dovuti all’istituto…producono di pieno diritto interessi dal giorno della scadenza». L’art. 14 d.P.R. 21 gennaio 1976 n. 7 (abrogato dall’art. 27 l. 6 giugno 1991, n. 175, ma che continuava a trovare applicazione per i contratti stipulati prima della sua entrata in vigore) poi disponeva che «Il pagamento delle rate di ammortamento dei prestiti non può essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute a tale titolo producono, di pieno diritto, interessi dal giorno della scadenza…». L’art. 16 l. 6 giugno 1991, n. 175 (di riforma del credito fondiario), entrata in vigore il 25 giugno 1991 (ed abrogata dall’art. 161 comma 1 d.lg. n. 385 del 1993, con riguardo ai contratti conclusi a far data dal I gennaio 1994), a sua volta statuiva che «Il pagamento di interessi, rate di ammortamento, compensi e rimborsi di capitale non può essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute a tale titolo producono, di pieno diritto, interesse dal giorno di scadenza…». Quindi, per i contratti di mutuo fondiario stipulati fino al 31 dicembre 1993, l’anatocismo, lungo dal fondarsi su un uso normativo rilevante in base all’inciso iniziale dell’art. 1283 c.c., era previsto direttamente dalla legge. Conseguentemente, per tali contratti, era legittimo il calcolo degli interessi moratori sull’intera rata di mutuo, e dunque anche sulla parte di rata comprensiva degli interessi corrispettivi, come del resto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Il quadro normativo è mutato con l’entrata in vigore del TUB, che ha comportato l’espressa abrogazione sia del r.d. n. 646 del 1905 che della l. n. 175 del 1991 (art. 161 TUB), pur facendo salva (art. 161 comma 6, TUB) l’ultrattività delle norme anteriori per i contratti già conclusi (ed i procedimenti esecutivi in corso) alla data di entrata in vigore dello stesso testo unico (1° gennaio 1994). Ne discende pertanto che la disciplina previgente trova applicazione, come già detto, solo per i contratti di mutuo fondiario stipulati prima del I gennaio 1994. Invece, per i contratti conclusi a far data dal I gennaio 1994 e fino all’entrata in vigore della summenzionata delibera CICR del 9 febbraio 2000, la capitalizzazione è illegittima. Infine, per i contratti di mutuo fondiario stipulati a partire dal 21 aprile 2000, la capitalizzazione è ammessa (fino al 31 dicembre 2013: v. infra), se pattuita espressamente e se la clausola è specificamente approvata per iscritto, secondo quanto disposto dall’art. 3 della delibera CICR.

[35] Non avrebbero potuto difatti formarsi usi contrari in epoca successiva, atteso il carattere imperativo della norma dell’art. 1283 c.c. – impeditivo, per l’effetto, del riconoscimento di pattuizioni e comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente – norma che si pone come del tutto ostativa alla realizzazione delle condizioni di fatto idonee a produrre la nascita di un uso avente le caratteristiche dell’uso normativo.

[36] Significativo è del resto che anche la dottrina che, nel commentare l’art. 1283, c.c., subito dopo l’entrata in vigore del codice civile del 1942, indicava l’esistenza di “usi contrari” per il conto corrente e per altri contratti tipici bancari, non faceva riferimento ad alcun uso di tal tipo per il mutuo (v. sul punto Inzitari, Profili del diritto delle obbligazioni, Padova, 2000, 388 ss.; nonché Salanitro, Gli interessi bancari anatocistici, in Banca borsa tit. cred., suppl. al n. 4, 2004, 11).

[37] Su tale delibera, in generale, cfr., tra gli altri, De Gioia Carabellese, L’anatocismo nei rapporti fra banca e cliente: la delibera del Cicr, in Contratti, 2000, 411 ss..

[38] La delibera conteneva, all’art. 7, una disciplina transitoria, che prevedeva (al comma 1) che i contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima dovevano essere adeguati alle nuove disposizioni entro il 30 giugno 2000, ed i relativi effetti si producevano a decorrere dal successivo 1° luglio, quindi fissava (ai commi 2 e 3) le procedure per l’adeguamento. Tale disciplina ha dato luogo a problemi interpretativi con riferimento ai contratti di conto corrente, in quanto, secondo una parte della giurisprudenza di merito, l’adeguamento dei vecchi contratti effettuato dalle banche seguendo la procedura di cui all’art. 7 comma 2 (pubblicazione sulla G.U. entro il 30 giugno 2000 e notizia per iscritto ai clienti -“alla prima occasione utile” e, comunque, entro il 31 dicembre 2000- delle «nuove condizioni») non era sufficiente a rendere (dal giorno dell’adempimento di detti oneri) valide ed efficaci le clausole anatocistiche “adeguate”. Si è affermato infatti, che l’art. 7 cit. -essendo strettamente collegato al comma 3 dell’art. 25 d.lgs. n. 342/1999- ha seguito la sorte di questa disposizione (dichiarata -com’è noto- incostituzionale da Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425, in Foro it., 2000, I, 3045), risultando a sua volta travolto (cfr. Trib. Torino, 5 ottobre 2007, in Foro it., 2008, I, 646 ss.). Si è aggiunto altresì che, anche a voler ammettere la persistente efficacia dell’art. 7 della delibera CICR (nonostante la suddetta pronuncia della Corte Cost.), ugualmente non sarebbe bastato seguire la procedura prevista da tale disposizione, giacché (non essendo stata sanata, a seguito della summenzionata pronunzia della Corte Costituzionale, la nullità delle clausole anatocistiche pregresse) le banche, attraverso l’“adeguamento” della capitalizzazione trimestrale, avrebbero previsto un trattamento “peggiorativo” per i clienti (rispetto alla situazione precedente, risultante dall’azzeramento della clausola antocistica), e dunque avrebbero dovuto (ai sensi dello stesso art. 7 Delib. CICR, comma 3) chiedere e ottenere l’approvazione dei medesimi, non essendo all’uopo sufficiente unameraaccettazione “tacita” (cfr. Trib. Mondovì, 17 febbraio 2009, in www.ilcaso.it).

[39] Lenoci, Gli interessi nei contratti bancari, in Giur. merito, 2005, 89.

[40] Cfr., sulla necessità di un’espressa previsione contrattuale ai fini della produzione di interessi moratori sulle rate scadute, Farina, Anatocismo e mutuo bancario, nota a Cass. 20 febbraio 2003 n. 2593, cit., 544.

[41] Cfr. Palmieri, Le pattuizioni anatocistiche nei contratti bancari: il pendolo continua ad oscillare?, in Foro it., 2001, I, 2989 ss..

[42] E’ parimenti vietato il superamento, tramite la previsione negoziale di interessi su interessi, del cd. tasso soglia, ossia del tasso (il cui parametro di riferimento è determinato trimestralmente con decreto del Ministero dell’Economia, ex l. 7 marzo 1996 n. 108) oltre il quale gli interessi sono da reputare usurari.

[43] Su tale norma è di recente intervenuta la S.C., con la già citata sentenza del 22 maggio 2014, n. 11400, che ne ha definito i confini applicativi, sancendo, da un lato, con specifico riferimento al credito fondiario, che, a seguito della sua mutata nozione e struttura, con l’entrata in vigore del t.u.b. (per effetto del quale il credito fondiario ha appunto perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sua sottrazione al divieto di cui all’art. 1283 c.c.), rispetto ad esso non può configurarsi alcuna deroga al divieto di anatocismo ex art.1283 cc, e precisando dall’altro che in tutti i contratti bancari di finanziamento stipulati sotto la vigenza della delibera CICR del 9 febbraio 2000, che prevedano il rimborso del prestito mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, l’importo dovuto alla scadenza di ciascuna rata (comprensivo di interessi) può produrre ulteriori interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento – e dunque anche sulla quota di interessi corrispettivi – solo se ciò sia stato previsto con apposita pattuizione contrattuale anteriore al sorgere del credito per interessi.

[44] Cfr. Farina, Anatocismo e mutuo bancario, cit., 544.

[45] Pandolfini, Anatocismo bancario; le questioni ancora aperte, in Contratti, 2005, 720.

[46] Caleo, Pratiche anatocistiche e nuove regole per i mutui bancari, cit., 165.

[47] Cfr. ad es. Farina, Anatocismo e mutuo bancario, cit., 544.

[48] Cfr. Cass. 5 ottobre 1980, n. 5343, in Giur. it., 1981, I, 1, p. 1079, con nota di Piria.

[49] Cfr. Stilo, Anatocismo e contratti di finanziamento, in giustiziacivile.com. n. 7/2015.

[50] Così Cass. 22 maggio 2014, n. 11400, cit., in cui si legge che «Nei mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse. Il fatto che nella rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di adempiervi in via differita nel tempo, non è dunque sufficiente a mutare la natura né ad eliminarne l’autonomia. (…) può ben dirsi, pertanto, che sia ormai consolidato il principio che ai contratti di mutuo bancario ordinario sono applicabili le limitazioni previste dall’art. 1283 c.c., con la conseguenza che la banca mutuataria non può pretendere il pagamento degli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi».

[51] Fino a qualche mese fa ci si domandava invece se una delibera sarebbe stata mai emanata in proposito: cfr. Dolmetta, Sul transito dell’anatocismo bancario dal vecchio al nuovo regime, cit., 2.

[52] Morera e Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120 comma 2, cit.; Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in www.dirittobancario.it, 2014; Mucciarone, La trasparenza bancaria, in Tratt. Contratti diretto da Roppo, V, Milano, 2014. 689 ss.; Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Roma, 2014, 97 ss.. Si noti ad ogni modo che la stessa Banca d’Italia, nelle ultime Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari del luglio 2015 (v. www.bancaditalia.it), non parla più di anatocismo, né menziona più tra le fonti normative la delibera CICR del 9 febbraio 2000 in tema di Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria.

[53] Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sula delibera CICR 9 febbraio 2002, cit.; Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera CICR 9/2/00, cit.; Mazzola, La nuova disciplina dell’anatocismo bancario nella legge di stabilità: prime note, in dirittobancario.it, 2014; Tanza, Anatocismo bancario: le novità introdotte dalla Legge di Stabilità, in Altalex, 2014; Quintarelli, Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione; prescrizione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell’onere della prova e saldo zero, in www.ilcaso.it, 2015; Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole «da inadempimento»), in dirittobancario.it., 2015; Id., Sul transito dell’anatocismo bancario dal vecchio al nuovo regime, cit..

[54] Così Dolmetta, op. ult. cit., 5. Sottolinea altresì l’A. che, se si ritiene che l’operatività della nuova disposizione sia differita al momento dell’adozione della delibera del CICR, si finisce con l’assegnare al medesimo «un libero potere di bloccare a tempo indeterminato l’entrata in vigore di una qualunque riforma bancaria (all’unica condizione che la stessa comunque preveda un intervento dell’Autorità amministrativa), come pure di concedere spazi sempiterni di ultrattività a norme di legge ormai venute meno» (v. p. 7). Ciò vale soprattutto se si richiama a sostegno della censurata lettura il disposto dell’art. 161, comma 5, TUB, che in realtà «ha portata circoscritta, priva dell’ambizione di dettare (in modo assurdo) un regime generale di diritto transitorio bancario. A pensare diversamente, tra l’altro, la disposizione del comma 5 dell’art. 161 sarebbe incostituzionale ex artt. 70. 76, comma 1, 77 Cost.»(ibidem).

[55] Non va infatti sottaciuto che il principio di irretroattività non impedisce che una nuova legge si applichi a rapporti che, pur se nati sotto il vigore della legge abrogata, siano destinati a durare ulteriormente, e ne modifichi l’assetto con effetto ex nunc, vale a dire dal momento della sua entrata in vigore (cfr., nel senso che le nuove norme, se non possono determinare la nullità di contratti già conclusi, impediscono tuttavia che detti contratti possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti in contrasto con quanto da esse stabilito, ad es. C. Cost. 27 giugno 1997, n. 204, in Riv. dir. comm. 1997, II, 263; in Corr. Giur. 1998, 31, con nota di Lombardi; in Dir. fall. 1998, II, 243; e in Giur. it. 1998, 3, 866, con note di Nicola e Valcavi).

[56] Così Farina, Le recenti modifiche, cit., 4, che rileva che l’atto amministrativo, in cui la delibera del 9 febbraio 2000 si concreta, «privo dell’originaria norma delegante, ormai abrogata e in contrasto con la generale previsione di cui all’art. 1283 c.c., è da ritenersi affetto da illegittimità, sia pure sopravvenuta, dovendosi registrare allo stato l’assenza di qualsivoglia disciplina transitoria». Cfr. altresì Griffo, Interessi moratori, usura e anatocismo: la querelle infinita, in Contratti, 2015, 5, 515, che sottolinea che nelle more dell’intervento del CICR non può ritenersi più in vigore il richiamo alla precedente delibera del 9 febbraio 2000, in quanto fonte secondaria di tipo amministrativo che regolamenterebbe oggi una pratica vietata da una normativa primaria quale è la legge di stabilità n. 147/2013.

[57] Morera e Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari, cit., 13.

[58] Cfr. Trib. Cosenza, 27 maggio 2015 (ord.), in www.expartecreditoris.it; sono in dubbio Trib. Torino, 16 giugno 2015 (ord.), in www.dirittobancario.it, e Trib. Parma, 26 giugno 2015 (ord.) e 30 luglio 2015 (ord.), ibidem.

[59] Cfr. App. Genova, 17 marzo 2014 (ord.), in www.dirittobancario.it. V., altresì, Trib. Milano, 25 marzo 2015 (ord.) e 3 aprile 2015 (ord.), cit.. Si sottolinea in specie nell’ordinanza del 25 marzo 2015 che, sulla scorta sia dell’interpretazione letterale dell’art. 1 comma 629 della legge di stabilità 2014 sia della voluntas legis non è condivisibile l’opzione che esclude l’immediata precettività della disposizione e ne subordina l’applicabilità ad un intervento di normazione secondaria ad opera del CICR. Né elementi di segno contrario possono ricavarsi «dalla riforma dell’art. 120 TUB di cui al D.lvo n. 342/99, che rimandava a futura delibera CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati”; ciò in quanto in quel caso la norma di legge dava legittimità ad una prassi anatocistica vietata dal codice civile, sulla scorta di una granitica giurisprudenza di legittimità e di merito, con la conseguenza che non vi era alcuna urgenza nel rendere operativa con norma regolamentare una modalità di conteggio degli interessi più gravosa per il correntista. Nel caso in esame, invece, l’eliminazione legislativa dell’anatocismo è destinata ad operare nelle operazioni bancarie in corso a vantaggio del correntista e, proprio sempre e in forza del principio del favor per il consumatore di matrice comunitaria, ampiamente applicato nell’ordinamento positivo, non può una norma regolamentare procrastinare l’entrata in vigore di una simile disposizione di legge». Conf. Trib. Milano, 29 luglio 2015 (ord.) e 8 agosto 2015 (ord.), cit.; Trib. Cuneo, 29 giugno 2015 (ord.), cit.; Trib. Biella, 7 luglio 2015 (ord.), cit..

[60] Così Trib. Milano, 3 aprile 2015 (ord.), cit..

[61] In questo rinnovato contesto, peraltro, non può sfuggire l’importanza della risposta che si dà al quesito sull’applicabilità o meno del nuovo precetto anche ai contratti di finanziamento non regolati in conto corrente. Ed infatti, se si ritiene che la nuova disciplina non valga per tali contratti, in quanto strutturalmente incompatibili con il fenomeno anatocistico, diviene del tutto ininfluente la tesi che si segue sull’entrata in vigore della normativa, rispetto alla quale i relativi rapporti resterebbero appunto insensibili. Viceversa, se si prefigura l’applicazione anche ai contratti di finanziamento con piano di rimborso rateale non appoggiati su conto corrente, è chiaro che diviene determinante la soluzione della questione sull’immediata operatività o meno del nuovo regime (perché nel secondo caso sarebbe tuttora applicabile l’art. 3 della delibera CICR del 9 febbraio 2000).

[62] Cfr. sempre Trib. Milano, 3 aprile 2015 (ord.), cit., secondo cui non può essere condivisa «la tesi che vorrebbe rimetter al successivo intervento del C.I.C.R. la stessa interpretazione del nuovo secondo comma dell’art. 120 TUB, in quanto così facendo si vorrebbe attribuire a un organo del potere esecutivo il compito di attribuire significato a un atto legislativo, in palese violazione dei più elementari principi in materia di separazione dei poteri dello Stato. Peraltro, il fatto che il legislatore del 2013 abbia rimesso al C.I.C.R. di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria” e non più “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi”, come previsto nel previgente secondo comma dell’art. 120 TUB, comunque consente uno spazio di manovra di una disciplina tecnica secondaria da parte del Comitato interministeriale, chiamato a specificare la disciplina sulla materia degli interessi in generale e non più sui soli interessi anatocistici, come si è visto ormai vietati».


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