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I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità del contenzioso

8 Ottobre 2012

Ugo Patroni Griffi, Professore Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

L’articolo riprende la relazione depositata dal prof. Ugo Patroni Griffi nel corso del seminario di formazione permanente dei magistrati tenutosi avanti il Consiglio Superiore della Magistratura in tema di derivati e finanza pubblica.

Sommario: 1.- Cenni storici. 2.- Nozione. 3.- Tipologia dei contratti. 4.- La regolamentazione. 5.- Il contenzioso. 6.- I derivati degli enti locali. 7.- Conclusioni.

 

1.- Cenni storici.

1.1.- I contratti (su) derivati sono oggi percepiti dall’opinione pubblica come strumenti finanziari creati negli anni ’90 dalle banche e da altri intermediari finanziari. Tali strumenti non godono – come noto – di buona fama, tanto che qualcuno li ha addirittura definiti ‘armi di distruzione finanziaria di massa’1. Oggetto dei maggiori recenti scandali finanziari, i contratti (su) derivati hanno causato ingenti perdite presso il pubblico e le imprese cui sono stati collocati. Da più parti la diffusione di tali contratti è inoltre considerata tra le concause della gravissima crisi economica che attanaglia Stati Uniti ed Europa.

Contrariamente alla opinione comune i contratti (su) derivati hanno origine antichissima. Come pure sono ricorrenti nella storia le crisi economiche che negli stessi trovano fondamento.

Il limitato tempo a mia disposizione mi impedisce di ripercorrere se non in maniera tranchant la storia di tali contratti. Ed è un peccato perché è una storia che ha molto da insegnare a chi nel XXI secolo intenda approfondire – sotto il profilo economico ovvero giuridico – tali contratti.

Con qualche forzatura la dottrina statunitense rintraccia il primo contratto su derivati nella Bibbia (Genesi, 29), e quindi secondo la tradizione 1700 anni prima di Cristo2. Secondo tale dottrina Giacobbe avrebbe acquistato da Labano l’opzione di sposarne la figlia Rachele in cambio di sette anni di lavoro. Al termine dei sette anni Labano anziché Rachele (bella di forme e avvenente di aspetto) gli diede in moglie la primogenita Lia (dagli occhi smorti). Volendo Giacobbe sposare (anche) Rachele di cui era innamorato Labano gli concesse una (seconda) opzione: il diritto di sposare Rachele in cambio di ulteriori sette anni di lavoro gratuito. Il primo derivato si concludeva dunque con il primo default: Giacobbe era costretto a pagare il doppio del prezzo convenuto per un prodotto … che il tempo aveva inevitabilmente deprezzato …

La storia antica offre altri esempi di contratti derivati. Talete di Mileto nel 580 a.c. – racconta Aristotele – fece fortuna (era infatti povero) stipulando in inverno (quando la domanda di utilizzo era ovviamente bassa) una opzione sull’utilizzo in autunno di alcuni frantoi (epoca della massima domanda, tanto più perché quell’anno vi era stata una abbondante raccolta) dei frantoi3.

Nel 1164 Genova vendeva ad un istituto finanziario (Monte) le entrate fiscali future di alcuni anni in cambio di un anticipo immediato. Nasceva così il primo contratto su derivati stipulato da un Ente locale.

La diffusione dei contratti su derivati va però rintracciata in età moderna con l’ammissione alla negoziazione al Royal Exchange di Londa di contratti forward (cui seguiva la prima bolla speculativa relativa alla cosiddetta ‘mania dei tulipani’, 16374) mentre al mercato del riso di Osaka (Yodoya) intorno al 1650 venivano negoziati i primi ‘futures’.

Il susseguirsi di scandali legati alla contrattazione in derivati – tra cui la bolla speculativa della South Sea Company del 17205 – spingeva il legislatore inglese ad inibirne la negoziazione dal 1773 al 1860 (Barnard’s Act). Divieti di tale genere sono del resto frequenti sino ad oggi, si pensi ad esempio al divieto di contrarre operazioni su derivati previsto per gli Enti locali italiani previsto dall’art. 62 del dlgs 25 giugno 2008, n. 112. Su cui tornerò.

Nel 1821 veniva costituito il Liverpool Cotton Exchange, per i futures sul cotone, mentre nel 1848 veniva costituita la Chicago Board of Trade6, in cui erano negoziati contratti derivati (futures) sul grano, inizialmente con finalità di hedging e poi (anche) speculativa. I predetti contratti furono standardizzati nel 1865 e nel 1925 veniva creata la prima stanza di compensazione delle operazioni sui predetti strumenti. Nascevano quindi i moderni contratti derivati negoziati su mercati regolamentati. Che il legislatore tentava sin dal 1922 di regolamentare (Grain Futures Act).

Il resto è storia recente. Nel 1972 sempre a Chicago veniva costituito il primo mercato dei futures su valute (International Monetary Fund) e successivamente il mercato dei derivati si ampliò a ricomprendere l’oro (1974). Il passo ai derivati su indici o strumenti finanziari fu quindi breve. I futures su tassi di interesse videro la luce nel 1975 (Government National Mortgage Association) e quelli su titoli sovrani (U.S. Tresury Bond Futures) nel 1981. Di qui in poi i derivati iniziarono ad avere a riferimento qualsiasi tipologia di ‘sottostante’.

I derivati tracimavano negli anni ’80 dai mercati regolamentati a quelli non regolamentati (over the counter, letteralmente ‘sul bancone’). Gli strumenti divenivano sempre più complessi e, in considerazione dello spregiudicato utilizzo della leva finanziaria, rischiosi. Gli operatori iniziarono dunque a classificare i derivati in due macro categorie: i contratti ‘esotici’ per loro natura atipici e i contratti standardizzati denominati significativamente ‘plain vanilla’ dal nome del gusto di gelato più diffuso (e semplice nella sua realizzazione) che ci sia … la vaniglia appunto7!

Alla diffusione dei derivati – su cui rinvio alle tavole allegate realizzate con il dott. Nicola Benini, anticipando però che oggi il valore stimato dei derivati finanziari è oltre 12 volte il PIL mondiale o per esprimere una cifra che farebbe impallidire persino Paperon de’ Paperoni: oltre 600 trilioni di dollari – facevano seguito una serie di scandali finanziari. Tra cui i più noti sono quello MetallGesellShaf (1993), il fallimento della Contea Californiana di Orange County nel 19958 (primo caso di default di un Ente locale), della banca Barings (1995), del Long Term Capital Management (1998), della Enron (2001) e della Contea di Jefferson in Alabama (2011)9. La caratteristica comune delle predette crisi è di essere state generate non dai derivati “in quanto tali, bensì da un loro utilizzo maldestro, se non fraudolento, oppure dallo sfruttare in maniera esasperata la leva che essi permettono”10.

2.- Nozione.

Non è facile dare una definizione di ‘derivato’. Possiamo innanzitutto dire che – come si è visto e nella sua forma moderna – si tratta di un istituto contrattuale sviluppatosi negli ordinamenti di common law, insomma un contratto come ha affermato autorevole dottrina ‘alieno’ “dove il termine “alieni” ha come calco “alius”, e quindi “altro, straniero”, ma anche “alien”, e quindi “extraterrestre” “11 – e che tale genesi si manifesta finanche nel nome che costituisce una traduzione dell’aggettivo inglese ‘Derivative’. Con tale termine la dottrina inglese identifica quegli strumenti finanziari basati su un altro strumento elementare, che ne influenza il valore12. Nell’ordinamento italiano manca – nella normativa primaria – una definizione di tale tipologia di contratti, limitandosi il TUF a precisare che i contratti su derivati elencati all’art. 1, co., 2 lett. D), e), f) g), h) e j) sono ricompresi tra gli “strumenti finanziari” (rectius sono contratti dai quali ‘derivano’ – qui è il caso – strumenti finanziari) . Qualche elemento in più è fornito dalla prassi e così la Banca d’Italia (art. 3, Istruzioni di vigilanza per le banche) li definisce “i contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa, ecc. Il loro valore ‘deriva’ da quello degli elementi sottostanti. Costituiscono prodotti derivati, ad esempio, i futures, le options, gli swaps, i forward rate agreements”. In termini non dissimili si esprimeva già vent’anni fa la dottrina italiana che ha approfondito il fenomeno, per cui i derivati possono definirsi “come contratti il cui valore deriva (cioè dipende) dal prezzo di una “attività finanziaria sottostante”, ovvero del valore di un parametro finanziario di riferimento (indice di borsa, tasso d’interesse, cambio)”13. Tra le due definizioni innanzi ricordate quella della Banca d’Italia appare più precisa. Infatti il termine ‘deriva’ potrebbe assumere un significato ambiguo nella qualificazione alla stregua del diritto interno di tale tipologia contrattuale. Infatti il contratto derivato non è un contratto collegato ad altro rapporto giuridico, bensì un contratto che ‘insiste’ su elementi di altri negozi14. Come si è correttamente osservato in dottrina oggetto del contratto non è mai il ‘sottostante’ ma il differenziale (netting se relativo ai pagamenti periodici, payoff per la liquidazione alla scadenza) tra il valore dell’entità di riferimento al momento della stipula e quello assunto dalla medesima entità al momento della data di esecuzione del contratto15. Da qui discende il riconoscimento dell’astrattezza del derivato “quale componente essenziale e qualificante”16. Anche ove il contratto preveda la possibilità, alla scadenza, di ottenere la consegna del sottostante (consegna fisica o physical delivery), ciò costituisce costantemente una facoltà alternativa di adempimento dell’obbligazione rispetto al pagamento del differenziale (cash settlement).

Più utile – anche al fine di distinguere tali contratti da contratti simili, quali, ad esempio, i contratti di riporto, pronti contro termine, i contratti differenziali etc. – appare la definizione di contratto (su) derivati fornita dallo standard contabile IAS 39 (emanato nel dicembre 1998 e applicabile a partire dal 1° gennaio 2001)17. Infatti tale definizione valorizza le caratteristiche tipologiche del derivato. Così lo IAS 39 definisce il derivato quel contratto o strumento finanziario che possieda, congiuntamente, le seguenti caratteristiche: “(a) il suo valore cambia in relazione al cambiamento di un tasso di interesse, di un prezzo di uno strumento finanziario, di un prezzo di una merce, di un tasso di cambio in valuta estera, di un indice di prezzi o di tassi, di un merito di credito (rating) o indici di credito o altra variabile prestabilita (alcune volte denominata “sottostante”); (b) non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato; (c) è regolato a data futura, con regolamento differito rispetto alla data di negoziazione”.

La prima caratteristica è coerente con la tradizionale nozione del derivato, contratto che assume a riferimento il valore di un bene (materiale o immateriale). La seconda caratteristica valorizza l’effetto ‘di leva’ contenuto dallo strumento che consente di ottenere ad un costo più contenuto lo stesso risultato conseguibile attraverso un contratto sul sottostante (ma anche amplifica opportunità di profitto e rischi di perdita). La terza ricorda che il derivato è species del genus dei contratti a termine ovvero ad esecuzione differita18.

La necessaria compresenza di tutte e tre le caratteristiche di cui innanzi evidenzia inoltre la natura geneticamente aleatoria del contratto. Il derivato – val la pena sin da ora di evidenziarlo, almeno quando collocato da intermediari finanziari – è normativamente sottratto alla esenzione dall’eccezione di gioco di cui all’art. 1933 c.c19 (art. 23 TUF, ma già art. 23 l. 1/1991). Nel presupposto, evidentemente, che, a ragione del loro utilizzo nell’ambito dell’attività di impresa l’elemento aleatorio non costituisca “l’unica ragione che abbia indotto” i contraenti alla stipula20. Una presupposizione, appunto. Dacchè come si è convincentemente osservato “l’indeterminatezza dei limiti fra gioco e serietà in nulla è tanto evidente come in quel che segue. Si gioca alla roulette e si gioca in borsa. Nel primo caso il giocatore ammetterà che la sua azione è un giocare, ma nel secondo no. Comprare e vendere nella speranza di incerte possibilità di aumento o ribasso dei prezzi vale come parte integrante della vita commerciale, della funzione economica della società”21.

Così ricostruita la nozione di ‘derivato’ va precisato che questo contratto, conformemente alla sua derivazione, non ha una causa tipica ma può avere, e nella prassi ha, principalmente – e tutte astrattamente lecite – le seguenti finalità:

a.- di protezione (hedging). Vale a dire la possibilità attraverso il ‘derivato’ di proteggere il contraente da taluni, potenziali, rischi o comunque ridurre gli stessi;

b.- speculativa (trading), al fine di realizzare un lucro in assenza di posizioni sottostanti da coprire;

c.- arbitraggio (arbitrage). In questo caso l’operazione in derivati è combinata ad una o più operazioni sul sottostante al fine di lucrare sulle eventuali differenze di valorizzazione (disarmonie temporanee) sui diversi mercati.

Nel nostro paese il legislatore non limitata l’autonomia privata nell’utilizzo dei contratti (su) derivati per perseguire ognuna delle finalità di cui innanzi, se non nei limiti tracciati, in via generale, dall’art. 1322 cc.. Ove, invece, la controparte sia una Pubblica Amministrazione il legislatore ha cura di precisare (l. 27 dicembre 2006, n. 296, DM 1° dicembre 2003, n. 389 attuativo dell’art. 41, co. 1°, della l. 28 dicembre 2001, n. 448; art. 5, d.l. 25 maggio 1996, n. 287 e DM 5 luglio 1996, n. 420), che le operazioni in derivati sono lecite solo ove assolvano una finalità di copertura dei rischi assunti dalle amministrazioni stesse nell’accesso al mercato del credito.

3.- Tipologia dei contratti.

3.1.- I derivati possono essere classificati in differenti categorie a seconda:

a) Della loro negoziazione in mercati regolamentati o non regolamentati (“Over The Counter”).

a.1) I primi sono contratti in cui tutte le condizioni contrattuali sono standardizzate eppertanto sottratte all’autonomia contrattuale. Per contro la concentrazione delle operazioni nelle Borse e la presenza di stanze di compensazione (clearing houses) contribuiscono a favorire la formazione in via continuativa dei prezzi degli strumenti finanziari, la liquidità dei predetti strumenti e la riduzione del rischio dell’inadempimento delle parti alle obbligazioni assunte. Per tali ragioni i predetti contratti presentano minori criticità, dacchè i soli problemi che essi pongono “sono i problemi della sua circolazione, segnatamente la protezione dell’investitore per conto del quale l’intermediario acquista strumenti finanziari derivati”22. Non sorprende dunque che il contenzioso relativo a tali strumenti sia più contenuto rispetto ai contratti negoziati su mercati non regolamentati.

a.2.) I contratti OTC sono, invece, liberamente negoziati tra le parti. Lo stesso regolatore ammette che “il mercato dei derivati OTC è caratterizzato da peculiarità che ne rendono il funzionamento profondamente diverso da quello dei mercati di altri strumenti finanziari. Il basso livello di standardizzazione dei contratti derivati determina, di fatto, l’impossibilità alla circolazione e al trasferimento delle posizioni fra soggetti diversi dalle controparti originarie. Tale circostanza implica l’assenza di prezzi di riferimento generati da mercati secondari liquidi ed efficienti. La presenza di clausole complesse rende spesso difficoltosa la valutazione del profilo di rischio-rendimento e il pricing dei contratti. L’assenza di una controparte centrale che garantisce il buon fine delle operazioni, normalmente presente nei mercati regolamentati di strumenti derivati, comporta per gli operatori l’assunzione di elevati rischi di controparte e implica l’assenza di un meccanismo pubblico e trasparente di valorizzazione giornaliera del valore di mercato (cosiddetto marking to market)”23

b) In base all’entità di riferimento si suole distinguere tra commodities e financial derivatives. I commodites derivatives sono contratti su derivati la cui reference entity è costituita da merci quali il petrolio, l’oro, il grano, etc. Mentre i financial derivatives sono contratti in cui il sottostante è rappresentato da attività finanziarie, quali azioni, obbligazioni, valute, strumenti finanziari derivati etc. La classificazione ha scarso rilievo pratico. Innanzitutto perché oggi l’entità di riferimento può essere costituita da elementi non catalogabili né come merci né come attività finanziarie. Si pensi ai wheather derivatives in cui la reference è costituita dalle condizioni atmosferiche ovvero ai derivati su ‘quote di emissione’. Ma lo stesso vale anche per i cosiddetti CDS o Credit Default Swap in cui il sottostante è rappresentato dal rischio di credito che il contratto derivato consente di ‘mercificare’ (credit risk securitization o commoditation24), eppertanto a rigor di logica dovrebbero essere considerati commodities derivatives. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano i derivati su merci sono sottratti al regime vincolistico del TUF – vale a dire non sono considerati strumenti finanziari – ove prevedano “la possibilità di esecuzione per delivery (in via esclusiva o quale libera alternativa bilateralmente accordata alle parti)” ed abbiano “una funzione commerciale”25. Secondo parte della dottrina tale esclusione troverebbe causa nel “principio per il quale la prevalenza della finalità acquisitiva del fondamentale (…) depriva lo strumento di ogni velleità derivativa”26.

c) In base alla complessità dello strumento si suole distinguere tra i già citati derivati plain vanilla vale a dire quei contratti (future, option, swap) che hanno una struttura elementare e in genere standardizzata, più comprensibile e senza punti di discontinuità nella definizione del c.d. “payoff”27, e quelli cosiddetti esotici (exotic) che sono il prodotto dell’ingegnerizzazione finanziaria di diverse tipologie di derivati e che nell’ultimo decennio hanno avuto un enorme sviluppo anche in termini di complessità. Per loro natura i derivati esotici sono atipici.

4.- La regolamentazione.

4.1.- Il dato empirico dimostra che – non sorprendentemente – il contenzioso in materia di derivati nel nostro Paese riguarda, principalmente, il collocamento da parte degli intermediari finanziari – residuale è infatti l’ipotesi di contratti conclusi senza l’intervento di un intermediario28 – di derivati, plain vanilla o esotici, Over The Counter e presso risparmiatori29, imprese e enti pubblici. La causa ultima di tale contenzioso risiede nella genetica ‘asimmetria informativa e cognitiva’ tra gli intermediari e le loro controparti e lo sfruttamento doloso della stessa da parte di ‘chi sa’, gli intermediari, a danno di chi ‘non sa’, i risparmiatori, le imprese (non finanziarie), gli enti pubblici. Mai come nel caso dei derivati OTC si rivela vero il teorema di Stiglitz secondo cui la conoscenza è potere30. Avverte la stessa autorità di vigilanza che “una partecipazione ‘consapevole’ al mercato dei derivati OTC richiede dunque elevate competenze finanziarie e sofisticate capacità di gestione dei rischi”31, infatti “i prodotti derivati sono strumenti complessi destinati ad investitori professionali, o quantomeno evoluti, che sappiano sfruttare le numerose opportunità che offrono e, nel contempo, siano in grado di valutare e gestire i relativi rischi, che sono notevoli”32. Date queste premesse, dello stesso regolatore, non appare eccentrica la posizione di chi ritiene che il collocamento di derivati costituisca una ‘attività pericolosa’, con la conseguente inversione dell’onus probandi ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’intermediario33. O di chi, autorevolmente, de jure condendo propone di vietare il collocamento di tali strumenti presso la massa dei risparmiatori34 o, quanto meno, di assicurare che tale collocamento avvenga in cui contesto in cui l’asimmetria informativa tra intermediario e cliente è stata rimossa (o almeno minimizzata) grazie ad opportuni presidi informativi anche basati sul metodi probabilistici35.

4.2.- In occasione del recepimento della direttiva Mifid il nostro ordinamento si è dotato di un sistema regolamentare più stringente in materia di servizi di investimento aventi ad oggetto contratti su derivati. La nuova disciplina (Regolamento intermediari 16190/2007) ha dettagliato quanto già previsto dall’art. 21 TUF in materia di criteri generali cui deve ispirarsi la prestazioni di servizi e attività di investimento, ed ha distinto, in capo all’intermediario, obblighi tanto di informazione ‘passiva’ e informazione ‘attiva’36. Appartengono agli obblighi di informazione ‘passiva’ i due precetti di derivazione comunitaria Know your custumer rule (conosci il tuo cliente, e vale a dire conoscere l’effettiva situazione -finanziaria del cliente, gli obiettivi di investimento) e Know your merchadise rule(conosci il tuo prodotto). Si tratta di attività preparatoria e preliminare allo svolgimento del servizio di investimento e funzionale all’adempimento dell’obbligo di verificare, nella prestazione dei servizi di consulenza e di gestione dei portafogli, l’adeguatezza (artt. 39 – 40 Reg. 16190/2007, cioè la verifica che “la specifica operazione consigliata o realizzata nel quadro della prestazione del servizio di gestione di portafogli soddisfi i seguenti criteri: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio” ovvero, nello svolgimento dei servizi di collocamento e negoziazione la appropriatezza dell’operazione in derivati (artt. 41- 42 Reg. 16190/2007)37, cioè la verifica “che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta”. L’obbligo di informazione ‘attiva’ o disclosure (art. 27 ss. Reg. 16190/2007) impone all’intermediario di fornire ai clienti – prima che questi siano vincolati contrattualmente (art. 34, Reg. 16190/2007) – informazioni corrette, chiare (vale a dire in forma comprensibile e appropriata) e non fuorvianti affinchè questi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. Gli intermediari devono poi fornire informazioni adeguate (in base alla classificazione della clientela) sulla natura e sui rischi degli strumenti finanziari, ed in particolare illustrare: a) i rischi connessi, compresa una spiegazione dell’effetto leva e della sua incidenza, nonché il rischio di perdita totale dell’investimento; b) la volatilità del prezzo di tali strumenti ed eventuali limiti di liquidabilità dei medesimi; c) il fatto che un investitore potrebbe assumersi, a seguito di operazioni su tali strumenti, impegni finanziari e altre obbligazioni aggiuntive, comprese eventuali passività potenziali, ulteriori rispetto al costo di acquisizione degli strumenti; d) eventuali requisiti di marginatura od obbligazioni analoghe applicabili a tali strumenti (art. 31 Reg. 16190/2007). Quando è probabile che i rischi connessi con uno strumento finanziario o con un’operazione finanziaria che combinano tra loro due o più strumenti o servizi finanziari diversi siano superiori ai rischi connessi alle singole componenti, l’intermediario fornisce una descrizione adeguata delle singole componenti e del modo in cui la loro interazione accresce i rischi. Infine l’intermediario deve informare il cliente sui costi e sugli oneri connessi alla prestazione dei servizi, comprendenti, tra l’altro: a) il corrispettivo totale che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario o al servizio di investimento o accessorio (comprese tutte le competenze, le commissioni, gli oneri e le spese connesse, e tutte le imposte che verranno pagate) o, se non può essere indicato un corrispettivo esatto, la base per il calcolo dello stesso cosicché il cliente possa verificarlo; b) l’indicazione della possibilità che emergano altri costi per il cliente, comprese eventuali imposte, in relazione alle operazioni connesse allo strumento finanziario o al servizio di investimento, che non sono pagati tramite l’intermediario o imposti da esso.

Si è anticipato che le informazioni fornite devono essere adeguate al livello di consapevolezza ed esperienza del cliente. La clientela può, infatti, essere classificata in ‘professionale’ e al ‘dettaglio’ (art. 26 Reg. 16190/2007). Sono clienti professionali quelli che possiedono “l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assume” (all. 3 al Reg. 16190/2007). Vi appartengono di diritto gli investitori istituzionali e le imprese di grandi dimensioni. I clienti professionali possono chiedere di essere considerati ai fini dei rapporti con l’intermediario retail. Viceversa la richiesta da parte del cliente di essere considerato cliente professionale è subordinata alla sussistenza di taluni presupposti oggettivi (che testimonino l’esperienza del cliente in operazioni in strumenti finanziari) e all’accertamento da parte dell’intermediario che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume. La categoria dei clienti al dettaglio (retail) è residuale.

4.3.- In merito ai servizi di investimento in derivati (ed in genere di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi) la Consob con la Comunicazione n. 9019104/2009 ha ricordato agli intermediari che “ L’intermediazione finanziaria avviene in un contesto di asimmetrie informative. Complessità, costi dell’informazione e grado di cultura finanziaria determinano un deficit informativo in capo alla clientela degli intermediari, la cui intensità è direttamente legata alla tipologia dell’operazione ed alla natura del cliente medesimo. Le circostanze richiamate sono amplificate nel caso di operazioni di investimento aventi ad oggetto particolari prodotti finanziari per i quali non sono disponibili, anche per intrinseche connotazioni di diritto o di fatto, mercati di scambio caratterizzati da adeguati livelli di liquidità e di trasparenza che possano fornire pronti ed oggettivi parametri di riferimento. La clientela c.d. “al dettaglio” (ossia quella con minore esperienza e conoscenza finanziaria) si trova così a dover riporre massimo affidamento nell’assistenza dell’intermediario, con particolare riferimento alla valutazione di adeguatezza/appropriatezza della transazione ed alla definizione delle condizioni economiche da applicare alla medesima, di cui non è in grado di giudicare la congruità, spesso neppure in un momento successivo alla conclusione dell’operazione (credence goods). La situazione è sovente resa ancor più critica dalla coincidenza del ruolo di intermediario con quello di emittente”.

Inoltre “l’attuale situazione di tensione finanziaria è suscettibile di incentivare ulteriormente l’offerta da parte di banche di prodotti di raccolta di propria emissione a clientela al dettaglio (c.d. retail), in quanto le fonti alternative di finanziamento sono diventate alquanto vischiose. Infatti, le criticità che stanno caratterizzando il mercato dei fondi interbancari a livello internazionale possono ingenerare uno stimolo all’offerta di prodotti di raccolta diretta negli intermediari, soprattutto bancari, al fine di stabilizzare il funding e contenerne il costo. Occorre tuttavia che le esigenze di liquidità e di patrimonializzazione siano ricercate in un contesto di perdurante rispetto degli interessi dei clienti/prenditori, a salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario”.

Tale asserzione può essere compresa solo rammentando che i vincoli di adeguatezza patrimoniale delle banche posti da Basilea II38, che fissano il livello minimo dei fondi propri delle banche in rapporto al complesso delle attività ponderate in base al loro rischio creditizio (coefficiente di solvibilità) all’8%, possono essere attenuati acquistando CDS emessi da intermediari che godono di rating favorevole, consentendo così alla banca “di sostituire il rischio di credito (…) con il rischio della controparte che emette il derivato”39. L’acquisto “della protection consente alla banca – per dirla in termini tecnici – di “liberare” capitale regolamentare”40. Tale disciplina costituisce un forte incentivo per gli intermediari che vendono protezione (protection seller) ad acquistare (a basso costo, o del tutto gratuitamente, e comunque sovente nemmeno espressamente) protezione (ri)collocando il rischio assunto presso imprese e enti locali.

Ciò premesso la Consob invitava gli intermediari in sede di distribuzione di titoli illiquidi ad adottare opportune misure di trasparenza, pricing, e verifica dell’adeguatezza/appropriatezza.

Tra le misure raccomandate di trasparenza rientrano la piena disclosure al cliente dei costi (espliciti e impliciti) e del fair value del derivato41, delle possibilità e dei costi di smobilizzo, delle alternative (sotto il profilo rischio-rendimento) rappresentate da prodotti ‘semplici, noti, liquidi ed a basso rischio’ di analoga durata e, ove esistenti, con prodotti succedanei di larga diffusione e di adeguata pubblicità. Di particolare interesse è la raccomandazione all’intermediario di fornire, sempre ai fini della trasparenza, “le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condursi mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive (ossia rispettose del principio di neutralità al rischio)”.

4.5.- Tanto le norme poc’anzi ricordate appaiono, ai più, ‘articolate e efficienti’42, quanto la regolamentazione ante Mifid è stata spesso disattesa o aggirata, non riuscendo così a contenere l’abuso del collocamento da parte degli intermediari finanziari dei derivati presso le imprese e gli intermediari finanziari.

Le indagini compiute sul finire del primo decennio degli anni 2000 hanno mostrato che “i contratti di gran lunga più diffusi fra imprese ed enti risultassero interest rate swap; le forme tecniche di swap maggiormente trattate erano quelle cosiddette complesse o ‘esotiche’: alla forma dello swap di base plain vanilla si sommavano una serie di clausole contrattuali, spesso complesse, che rendevano estremamente difficoltoso il pricing e la piena comprensione del funzionamento stesso delle operazioni. Risultavano pure molto diffusi i contratti di swap non par che prevedevano, sin dal momento della stipula, un valore di mercato negativo per le imprese o per gli enti locali43; l’equilibrio finanziario della transazione veniva in alcuni casi realizzato mediante il versamento di una somma di denaro upfront da parte dell’intermediario. Dal punto di vista formale, gli intermediari ‘vendevano’ i derivati OTC a imprese ed enti locali attraverso la prestazione del servizio di negoziazione in conto proprio, cioè assumendo posizioni in contropartita diretta con tale clientela”44.

4.6.- La regolamentazione ante Mifid mentre nella normativa primaria ribadiva che l’intermediario nel collocamento dei derivati OTC dovesse comportarsi “con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati” (art. 21 TUF), poi nella normativa secondaria (Regolamento 11522/98) azzerava gran parte della disciplina di dettaglio di tali obblighi nei rapporti tra intermediari e ‘operatori qualificati’. Il regolamento includeva tra gli ‘operatori qualificati’ gli investitori istituzionali, gli emittenti strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati e “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante” (art. 31, co. 2, Reg. 11522/98). L’inclusione nella categoria degli ‘operatori qualificati’ faceva venire meno gran parte dei doveri gravanti sull’intermediario di informativa e di valutazione dell’adeguatezza, nonché il divieto di compiere operazioni in conflitto di interesse (in difetto di espresse autorizzazione da parte del cliente, preventivamente informato)45. La ratio della norma stava nel fatto che “l’operatore qualificato conosce i rischi che gli investitori in strumenti finanziari comportano. Non occorre dunque una particolare “investor education”da parte dell’intermediario. Un’attività informativa (e, più in generale, un’attività di compliance) da parte delle banche comporta dei costi. Se tale attività è sostanzialmente inutile rispetto agli obiettivi che si perseguono, pare conseguente – per ragioni di economia – non obbligarvi gli intermediatori”46. In realtà, come emerge dalle indagini conoscitive esperite dalle autorità di vigilanza, tutti i clienti di derivati OTC erano stati classificati dagli intermediari come ‘operatori qualificati’. La sottoscrizione della dichiarazione, dunque, costituiva vera e propria condizione posta dall’intermediario per la stipulazione del contratto47. I clienti, dunque, pur in assenza dei requisiti di professionalità ed esperienza necessari a valutare la convenienza dello strumento finanziario, rinunciavano del tutto alle garanzie apprestate in loro favore (id. della clientela retail) dal regolamento Consob. Le banche tacevano i rischi del contratto, i conflitti di interesse che sulle stesse incombevano, i meccanismi di pricing (genetico e periodi), etc. etc. Il cliente riteneva di acquisire uno strumento poco rischioso di copertura (anzi, spesso, una vera e propria assicurazione) e assumeva invece nuovi, e più gravi, rischi. Come meccanismi ad orologeria in fase di esecuzione i contratti dopo aver generato differenziali positivi per i clienti invertivano il segno esponendo perdite, perdipiù crescenti e croniche.

Il fenomeno si è potuto sviluppare perché le perdite economiche non venivano rilevate contabilmente e nei Bilanci (sia privati che pubblici); infatti le stesse non trovavano contestuale manifestazione finanziaria grazie alla tecnica delle rimodulazioni. I contratti in perdita economica (ovvero con “mark to market” negativo) venivano rinegoziati a fronte del riconoscimento da parte della banca di un “upfront” ovvero una somma finanziaria pari alla perdita economica già maturata. In pratica il cliente non realizzava di aver già perso perché incassava una somma a compensazione (sul conto corrente si compensavano, per valuta, uscite dovute alle perdite, con entrate generate dagli “upfront”). Una corretta imputazione contabile avrebbe dovuto rilevare le perdite che maturavano per competenza ad ogni chiusura di contratto e non, come spesso è successo, dopo numerose rinegoziazioni a distanza di anni. Nei Bilanci pubblici questa situazione è ulteriormente aggravata per il fatto che gli stessi hanno una logica diversa rispetto alle imprese. Gli enti infatti rilevano in Bilancio i soli flussi finanziari e quindi le perdite economiche potevano essere facilmente nascoste e procrastinate alle amministrazioni successive.

Non deve dunque sorprendere che questa nefasta prassi abbia permesso agli intermediari di arricchirsi enormemente, lucrando margini di guadagno non in linea con la prassi internazionale. Tutto questo ha generato un contenzioso che, come ricordato dal prof. Portale, non ha confronti, per numero di giudizi e valore complessivo degli stessi, in nessuno degli altri paesi europei48.

5.- Il contenzioso.

5.1.- Il contenzioso in materia di derivati OTC – si è detto – è davvero imponente. Da un punto di vista sistematico, ad avviso di chi scrive, le pronunce sin qui sedimentate possono essere raggruppate in tre grandi categorie: a) decisioni che riguardano gli obblighi dell’intermediario nei confronti del cliente. A questa categoria appartiene anche la giurisprudenza relativa alla auto dichiarazione di operatore qualificato; b) decisioni relative alla liceità della causa;c) decisioni che riguardano alcune clausole contrattuali, generalmente ‘aliene’ per utilizzare la terminologia di De Nova.

5.2.- La dichiarazione di operatore qualificato49. La giurisprudenza di merito sino all’intervento in materia della Corte di legittimità si divideva in due contrapposte correnti: i seguaci della tesi cosiddetta ‘formalistica’ e quelli della tesi cosiddetta ‘sostanzialistica’. I primi attribuivano alle dichiarazioni del cliente natura di ‘dichiarazioni di scienza’, che esonererebbero l’intermediario dalla verifica delle competenze e dell’esperienza prescritte dal Regolamento per l’inclusione tra gli ‘operatori qualificati’50. I secondi, invece, degradavano la dichiarazione ad una mera ‘opinione’ che non esonerava l’intermediario dall’obbligo diverificare l’effettiva sussistenza dei presupposti previsti dalla legge51. La Corte di legittimità (Cass. 12138/2009) interveniva assumendo una posizione di compromesso tra le due tesi estreme. Infatti la Cassazioneprecisava che “in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediario in valori mobiliari, la semplice dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante, che la società disponga della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in valori mobiliari – pur non costituendo dichiarazione confessoria, in quanto volta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo” esonerava l’intermediario “dall’obbligo di ulteriori verifiche sul punto e, in carenza di contrarie allegazioni specificamente dedotte e dimostrate dalla parte interessata, possa costituire argomento di prova che il giudice – nell’esercizio del suo discrezionale potere di valutazione del materiale probatorio a propria disposizione ed apprezzando il complessivo comportamento extraprocessuale e processuale delle parti (art. 116 c.p.c.) – può porre a base della propria decisione, anche come unica e sufficiente fonte di prova in difetto di ulteriori riscontri, per quanto riguarda la sussistenza in capo al soggetto che richieda di compiere operazioni nel settore dei in valori mobiliari dei presupposti per il riconoscimento della sua natura di operatore qualificato ed anche ai fini dell’accertamento della diligenza prestata dall’intermediario con riferimento a tale specifica questione”. Sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, pertanto, “nel caso di asserita discordanza tra il contenuto della dichiarazione e la situazione reale da tale dichiarazione rappresentata, graverà su chi detta discordanza intenda dedurre, al fine di escludere la sussistenza in concreto della propria competenza ed esperienza in materia di valori mobiliari, l’onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di detti requisiti e la conoscenza da parte dell’intermediario mobiliare delle circostanze medesime, o almeno la loro agevole conoscibilità in base ad elementi obiettivi di riscontro, già nella disponibilità dell’intermediario stesso o a lui risultanti dalla documentazione prodotta dal cliente”.

5.3.- La giurisprudenza successiva all’intervento della Cassazione, pur aderendo al principio dalla medesima espresso52, tende a svalutare – ai fini del giudizio risarcitorio – la rilevanza della dichiarazione di operatore qualificato. Infatti parte della giurisprudenza, aderendo all’orientamento della migliore dottrina, sposta la propria attenzione dal Regolamento Consob Intermediari del 1998, comunque norma secondaria, alla disciplina degli obblighi dell’intermediario così come fissati dalla norma primaria. Infatti “l’interprete non può non valorizzare (…) che l’essere operatore qualificato (e tanto più potremmo dire, in caso di operatore qualificato non professionale) non può significare il venire meno di ogni tutela ai sensi della normativa di settore inerente l’intermediazione finanziaria, quando si ha a che fare con un istituto di credito, cioè col soggetto giuridico che istituzionalmente e per eccellenza si occupa in via professionale di immettere nel circuito commerciale prodotti finanziari della tipologia più disparata, finanche privi di mercato. Altrimenti si avrebbe la paradossale conseguenza per cui, per il semplice fatto di essere operatore qualificato (per possesso di competenza ed esperienza e certificazione scritta), verrebbe legittimato un regime deteriore del cliente dell’intermediario rispetto a quello emergente dalla teoria generale dei contratti, ove è pienamente operante principio di buona fede della stipula dell’esecuzione del contratto previsto in via generale dall’art. 1173 c.c., e sotto il profilo degli obblighi integrativi, dagli artt. 1374 e 1375 c.c., anche in un contesto di protezione degli interessi di controparte”. L’art. 21 TUF e l’art. 26 del reg. Int., dunque, “hanno carattere imperativo, nel senso che sono dettati non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato, ma anche nell’interesse generale all’integrità dei mercati finanziari e si impongono inderogabilmente alla volontà dei contraenti”53. Dai predetti principi deriva l’onere per l’intermediario “di fornire la prova di essere stato diligente, efficiente, corretto e professionale nell’offrire al cliente un prodotto adeguato al suo specifico interesse di natura economica e finanziaria”, di essersi organizzato “ in modo da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse” e di aver contenuto “i costi a carico del cliente”54. In caso di violazione da parte dell’intermediario dei predetti obblighi il cliente potrà chiedere la “risoluzione del contratto per inadempimento”55 e la restituzione di quanto pagato o addebitato.

5.4.- Sulla stessa linea di pensiero recente giurisprudenza ha ravvisato discendere dal citato art. 21 TUF il dovere per l’intermediario di avvertire il cliente sul significato della dichiarazione di operatore qualificato e sulle conseguenze che ne derivano56.

Altri hanno invece puntualizzato che ai fini dell’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 31 Reg. Int. (1998) la dichiarazione deve avere ad oggetto specificamente l’esperienza e la competenza del cliente in operazioni in derivati, e non limitarsi a ripetere il mero contenuto della norma57.

Secondo parte della dottrina, infine, le dichiarazioni di ‘operatore qualificato’ avrebbero ora perso efficacia per effetto dell’abrogazione del Reg. 11522/98, e i clienti devono pertanto essere tutti riclassificati così come previsto dalla normativa attuativa della Mifid58.

5.5.- Parte della giurisprudenza invece giunge a dichiarare la nullità del contratto sulla base della mancanza di ‘causa concreta’, “che risponde al modo in cui oramai la giurisprudenza di legittimità concepisce i requisito causale” e che costituisce “lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto ipotizzato”59.

La tesi è pregevole e affascinante. Tuttavia presuppone la previa individuazione di una causa in concreto dello schema negoziale. Infatti, come si è anticipato, i contratti su derivati possono svolgere numerose funzioni, che non si esauriscono – nemmeno per il contratto di swap – in quella di copertura60. Se non per quanto riguarda i contratti di swap stipulati dalle pubbliche amministrazioni, ove per espressa previsione legislativa la sola funzione lecitamente assolvibile è quella di hedging. Circostanza peraltro riconosciuta da parte della giurisprudenza61 che non ha ravvisato nell’asimmetricità dell’alea una causa di invalidità del contratto di swap62.

Sono allora certamente condivisibili le osservazioni di un recente arresto secondo cui, sviluppando le intuizioni espresse dalla sentenza poc’anzi richiamata, la rinegoziazione degli swap “costituisce di per sé una deviazione dalla normale operatività in derivati che un ente pubblico può compiere in ossequio alle esigenze di copertura del debito, poiché ciò che spinge detto ente a rinegoziare il derivato è la necessità di porre un freno alle perdite eccessive e non più controllabili determinate dall’accumulo di differenziali negativi, di tal che il contratto derivato rinegoziato appare sempre più debolmente legato alla sua causa originaria (copertura di un rischio di natura sostanziale) e pericolosamente vicino finalità più strettamente speculative, tali da privare il contratto di swap della sua causa concreta ed incompatibili con la natura e gli obiettivi dell’ente pubblico siccome riconducibili alla normativa che autorizza gli enti locali a sottoscrivere investimenti in derivati solo a fini conservativi (art. 3 D.M. 389/2003 e art. 41 l. 448/2001)”63.

Vale tuttavia ricordare – che come accertato dalla Corte dei Conti64 – i contratti su derivati di maggior valore sono stati stipulati dagli Enti Pubblici italiani con intermediari stranieri e contrattualmente assoggettati al diritto straniero (generalmente inglese) e alla giurisdizione straniera (generalmente inglese o statunitense65). Ordinamenti che non contemplano la ‘causa’ quale requisito del contratto66, e anzi ne prescindono del tutto; più in generale, il rispetto delle manifestazioni di autonomia privata – in applicazione dei brocardi caveat emptor e pacta sunt servanda67 – preclude ai giudici un sindacato sui contenuti del contratto paragonabile a quello usualmente praticato nell’ambito degli ordinamenti di civil law. Inoltre l’intermediario non ha – in assenza di un formale e retribuito (consideration) contratto di consulenza – alcun obbligo di protezione (duty of care) verso il cliente (con il solo limite del dolus malus)

Non a caso le azioni avviate da alcuni enti locali italiani nel Regno Unito (o viceversa avviate da banche internazionali contro enti italiani ), non risulta abbiano prodotto fin qui risultati utili, esponendo d’altra parte a costi proibitivi 68.

5.6.- La giurisprudenza pratica e teorica più recente si è soffermata anche sulla liceità di alcune clausole contrattuali, spesso di importazione o ‘aliene’, ricorrenti in materia di derivati. Senza alcuna pretesa di completezza:

5.6.1.- Le clausole che prevedono l’erogazione di upfront. A queste clausole si è già fatto riferimento in precedenza ricordando quella giurisprudenza che in esse ravvisa l’evidenza della deviazione dallo schema causale tipico del contratto.

Sul piano tecnico “l’up-front costituisce un importo certo, inizialmente determinato e riconosciuto dall’intermediario, che può essere inteso come la prima dazione (al tempo t0) della serie di differenziali periodici risultanti dal derivato. Tuttavia, a differenza dei flussi futuri, che risultano indeterminati nel segno e nell’importo, l’up-front è immediato, certo e determinato”69.

Parte della giurisprudenza ha argomentato che l’erogazione dell’ upfront – vale a dire di una somma in denaro da parte dell’intermediario al cliente – in sede di rinegoziazione di contratti che espongono perdite per il cliente ha natura di finanziamento “perché consente di rinviare la perdita ed è erogato in presenza di “una situazione di credito e di debito” tra l’intermediario e l’investitore la quale conduce a concludere un contratto derivato caratterizzato dalla “sproporzione” delle alee”70. Di qui il logico corollario “che imporrebbe, inter alia, (i) l’esplicitazione ex ante della misura degli interessi, (ii) il rispetto della soglia dell’usura, (iii) la conclusione di un apposito contratto, munito dei requisiti di forma-contenuto propri del contratto di investimento”71. Ove la clausola relativa all’erogazione dell’upfront fosse essenziale ai fini della definizione del contratto l’eventuale nullità della stesa per violazione di alcuno dei principi innanzi richiamati determinerebbe l’invalidità dell’intero contratto.

5.6.2.-Il Mark to Market. Non è facile definire cosa sia il valore di ‘mark to market’ di un derivato. Sul piano tecnico si può affermare che il mark-to-market (MtM) è il valore del contratto ad una certa data, ed è pari al valore attuale del differenziale che le parti si scambieranno fino alla scadenza della struttura.

I modelli contrattuali generalmente prevedono l’obbligo per l’intermediario di comunicare, con periodicità, il predetto valore al cliente. Il valore viene unilateralmente determinato dall’intermediario, applicando sofisticati modelli statistico-matematici utilizzati tra operatori il cui contenuto non è mai inserito in contratto. Nei contratti più complessi tecniche alternative possono talora condurre a risultati piuttosto distanti tra loro e, quindi, potrebbe essere opportuno che negli accordi quadro le parti stabilissero “ex ante” quale modello condividere.

La conoscenza del MtM è utile al cliente per tarare la propria politica d’investimento. Sebbene il contratto non preveda lo scioglimento per volontà unilaterale del cliente la prassi generalmente lo consente dietro pagamento del valore di MtM del contratto alla data di scioglimento, ovvero a fronte della stipulazione di un nuovo contratto su derivati nel cui ambito l’intermediario eroga una somma a titolo di upfront al cliente che viene compensata con il debito del cliente stesso verso l’intermediario dipendente dal contratto risolto.

La giurisprudenza, si è anticipato, ha avuto più volte modo di occuparsi del mark to market. Ravvisando talvolta nel valore negativo dal medesimo espresso, specie se in fase genetica del contratto o come si dice al tempo zero, la prova dell’asimmetria dell’alea e quindi dell’invalidità del contratto per illiceità della causa o difetto della stessa.

Tuttavia, secondo opinabile giurisprudenza, l’MtM non esprimerebbe un valore attuale, bensì un valore meramente previsionale. In questo senso si è recentemente pronunciato il Supremo Collegio secondo cui il dato di MtM “non esprime affatto un valore concreto e attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata. Il valore del mark to market, infatti, è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up front erogato e l’utile per la banca. Dunque, per poter stabilire se quel dato rappresenti o meno un vantaggio o un danno per l’Ente contraente, occorre procedere ad una disamina a posteriori, allorché, cioè, il contratto abbia raggiunto la sua normale scadenza”72. Di qui la conseguenza, rimarcata anche da parte della giurisprudenza di merito, secondo cui il valore di mark-to-market sarebbe improduttivo di conseguenze giuridiche sulle posizioni delle parti trattandosi “di una sorta di rating evoluto” e tale valore “altrimenti detto fair value (…) non può essere considerato l‘oggetto del contratto”73.

La dottrina ha subito criticato tale impostazione in quanto equivoca il concetto di modello ed è slegata dalla realtà dei mercati e del loro funzionamento. Il “mark to market” non è affatto una proiezione intesa come “previsione”, ma il valore del contratto derivato determinato come attualizzazione dei flussi attesi in base alle informazioni disponibili nel momento esatto in cui viene calcolato. Se così non fosse non sarebbe nemmeno possibile scambiare alcun contratto derivato perché non sarebbe possibile attribuirne un valore condiviso quindi, non esisterebbero mercati di scambio. Non vanno infatti confusi i c.d. modelli previsivi (che sono generalmente modelli macro economici a supporto delle strategie di investimento degli operatori) con i modelli probabilistici di valutazione (i c.d. modelli di “pricing”) che servono per stimare i valori degli strumenti, per costruirli, per collocarli ed usano dati di mercato. Equivocare sarebbe grave.

Essendo, dunque, il mark to market il valore del contratto su derivati “ad una certa data, indicando col suo segno (positivo, negativo o nullo) se la scommessa è o meno equa e, ove non lo sia, fornisce una misura della sua ‘iniquità’”74, difficilmente è possibile negare al medesimo conseguenze sul piano giuridico. Sia perché tale valore è rilevante ai fini della formazione dei conti annuali (IAS 39)75, sia perché comunque tale valore può assumere rilievo ai fini probatori della violazione da parte della banca degli obblighi di protezione e/o del vizio del consenso del cliente. Se infatti nella prospettiva della banca stessa sin dalla sua origine il contratto è sicuramente destinato a generare solo differenziali positivi per essa stessa e negativi di conseguenza per il cliente, mi sembra palese il conflitto di interessi per la banca e, quindi, l’essenzialità di siffatta informazione ai fini di un consenso informato del cliente. Tanto più che il valore dell’MtM al tempo zero non solo può dare indicazioni sulla ripartizione dell’alea, e finanche sull’assenza dell’alea, ma anche sull’esistenza di costi o commissioni impliciti.

In disparte da ciò il valore dell’MtM comunicato al cliente può indurlo a chiedere la risoluzione del contratto e negoziare un nuovo contratto “a condizioni ancora di più svantaggiose di quelle precedentemente applicate”76.

Questo deve portare l’interprete ad interrogarsi sulla validità di clausole – di derivazione straniera – che rimettono esclusivamente ad una delle parti la determinazione di elementi contrattuali. Infatti il diritto interno ammette la liceità di tali clausole solo ove la determinazione del contraente “sia una determinazione non arbitraria, non discrezionale” e sia “soprattutto una determinazione controllabile dall’altro contraente”77; in mancanza di tali presupposti il contratto potrebbe essere ritenuto invalido per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c.78. E mentre si può discutere se l’MtM costituisca oggetto del contratto, senz’altro oggetto del contratto sono il netting (ovvero il calcolo del differenziale periodico) e il payoff (differenziale a scadenza) che i contratti diffusi nella prassi rimettono all’intermediario (calculation agent)79.

6.- I derivati degli enti locali.

6.1.- Si è già anticipato che il legislatore italiano ha da tempo limitato l’operatività degli enti locali in contratti (su) derivati al perseguimento di mere finalità di copertura dai rischi di sottostanti operazioni di finanziamento.

Tale limitazione non ha però impedito il perpetrarsi di veri e propri abusi ai danni degli enti da parte degli intermediari, spesse volte stranieri.

I contratti stipulati dagli enti locali presentano, in linea di principio, le medesime criticità dei contratti stipulati con i privati. Con l’aggiunta di alcune peculiarità.

La prima è data dal rispetto da parte dell’ente delle norme imperative che impongono lo svolgimento di procedure concorrenziali e trasparenti per la selezione dei contraenti, la cui violazione può legittimare l’esperimento di rimedi tipici del diritto amministrativo quali la revoca ovvero l’annullamento in autotutela della procedura80; con conseguenze dirette – secondo un recente orientamento giurisprudenziale – sulla validità del contratto inter partes81.

La seconda è data dal contrasto tra il draconiano contenimento – nella norma generale – dell’operatività nei limiti dell’hedging e la normativa speciale e la prassi che legittimavano operazioni di assunzione di rischi ulteriori.

Mi riferisco il contratto di Amortising Interest Rate Swap con Sinking Fund82 contratto su derivati assai complesso in cui l’Ente:

a.- accantona quote capitali per coprire il rischio di rimborso a scadenza per i propri obbligazionisti (c.d. “swap per l’ammortamento del debito”); tali quote confluiscono in un fondo (il “sinking fund”) che investe in un paniere di titoli eleggibili;

b.- si copre dal rischio di variazione dei flussi derivanti dalla variazione dei tassi di interesse con un “interest rate swap” (più o meno complesso in funzione della presenza di componenti opzionali).

Con questo contratto l’Ente si assume il rischio dell’insolvenza tanto dell’intermediario – che si obbliga a pagare a scadenza (bullet) gli obbligazionisti – quanto dei soggetti che hanno emesso i titoli eleggibili, ossia gli strumenti finanziari in cui lo stesso intermediario, incorrendo in un conflitto di interessi genetico e cronico, investe le somme accumulate nel sinking fund in vigenza del contratto e destinate al rimborso degli obbligazionisti.

Il pricing di questo contratto – come sembra stia emergendo in giudizi pendenti – non tiene affatto conto (o tiene poco conto) dell’ (indebito) arricchimento dell’intermediario: sia per quanto riguarda l’utilizzo dei mezzi finanziari accumulati; sia per quanto riguarda la protezione occultamente acquisita dall’ente locale.

Il contratto infatti stipulato con l’Ente locale italiano si inserisce in una ragnatela contrattuale, sottaciuta a quest’ultimo, che vede l’intermediario esposto al rischio di insolvenza degli enti emittenti gli strumenti finanziari immessi nel sinking fund.

Gli intermediari che hanno collocato questi contratti sul mercato italiano, infatti, annoverano alcune tra le maggiori banche ed imprese finanziarie mondiali. Insomma quegli stessi intermediari che a livello globale hanno venduto ad altri intermediari Credit Defalt Swaps al fine di consentire a questi di rispettare, a basso costo e attraverso un artificio consentito dalla normativa, i parametri di patrimonializzazione posti da Basilea II. Vendendo protezione, per poi riproteggersi a propria volta – a bassissimo costo, e occultamente – presso la propria clientela83.

Non a caso l’autorità di vigilanza ha via via limitato le condizioni di legittimità del contratto (ponendo limiti qualitativi sia per l’intermediario, sia per gli emittenti eleggibili ai fini del sinking fund), ed infine questo tipo di contratto è stato vietato del tutto84. Ancora prima che il legislatore imponesse – in attesa di un regolamento di cui ancor oggi non si vede traccia nonostante quattro anni di attesa – uno specifico divieto agli enti locali di stipulare contratti su derivati (art. 62 d.l. 25 giugno 2008, n. 112).

7.- Conclusioni.

I derivati non sono il male assoluto. Assolvono una utile funzione economica. Il problema di questo tipo di contratti risiede solo nella asimmetria informativa e cognitiva. Non a caso i contratti (il che è vero soprattutto per gli swaps) su derivati stipulati tra intermediari sono tutti, o quasi, par (rectius, “fair”). Mentre quelli stipulati con altri sono quasi tutti non par. Tale asimmetria consente l’abuso. Il cliente è inconsapevole non solo dei rischi assunti, ma non è neppure in grado di verificare se il contratto sia idoneo a svolgere quella funzione (sia essa di hedging o trading) per cui è stato sottoscritto. Basterebbe però poco per riequilibrare le posizioni delle parti. Applicare a fondo i criteri generali ex art. 21 TUF ei principi Mifid e fornire al cliente una informazione adeguata perché comprensibile ed effettivamente in grado di illustrare con oggettività rischi e opportunità del derivato. La soluzione più efficace, de jure condendo, sarebbe quella di codificare nell’ordinamento italiano la natura specifica delle informazioni adeguate, comprensibili e oggettive da rendere ai clienti, stante la frammentazione e l’incompletezza della disciplina in materia di trasparenza dei contratti derivati85. Tra le informazioni da introdurre in via obbligatoria rientrerebbe senza dubbio il valore di mark to market del contratto al tempo zero, vale a dire in prossimità della stipula86. Con questa informazione anche l’utente meno esperto è in grado di mettere in concorrenza più controparti. Ma ancora non basta per assicurare la corretta comprensione dell’alea intrinseca nel contratto derivato. A parità di MtM il cliente, infatti, deve avere la distribuzione di probabilità dei possibili risultati del contratto, così da poter selezionare quello il cui profilo di rischio risulta più in linea con le necessità del cliente. Si tratta di misurare e illustrare i rischi al cliente, un tassello chiaramente strategico che oggi difetta di trasparenza perché la prassi degli intermediari prevede una informazione analitica di tipo what if, che può fuorviare la percezione del rischio da parte del cliente e per ciò, è inevitabilmente opaca. Nel dettaglio, col what if si offrono al lettore diversi scenari che tipicamente non riflettono la totalità dei risultati possibili e basati su ipotesi di evoluzione delle variabili di mercato che però sono selezionate senza tener conto della loro effettiva probabilità di accadimento. In questo modo è facile far credere, ad esempio, che un prodotto potrebbe far guadagnare moltissimo (ed è assolutamente vero) peccato però che non venga spiegato con quanta probabilità ciò può verificarsi (informazione che il produttore ha e gli serve per collocarlo). Questo grosso limite è superabile virando dal what if all’informazione sintetica rilevata con il metodo degli scenari probabilistici87. Invitiamo i lettori a osservare le slides esplicative. Del resto è ciò che l’attuale ministro della salute ha proposto per limitare il vizio del gioco, legalizzato, d’azzardo che come i derivati arricchisce qualcuno (in questo caso lo stato) e munge qualcun altro (i cittadini). Vale a dire l’obbligo di segnalare le reali possibilità di vincita. Ed è proprio il gioco d’azzardo che mostra l’efficacia di tale informazione. Si prenda ad esempio il Superenalotto. Una informazione di tipo what if ci dice che giocando una schedina ho la possibilità o di vincere il ricco jackpot ovvero di perdere i miei 50€. Il metodo probabilistico ci dice che ho 622.614.630 di possibilità su una di perdere i miei cinquanta euro. Così applicando il metodo probabilistico ad alcuni derivati stipulati dagli enti locali si scopre che le probabilità (calcolate alla data di stipula del contratto) che il derivato svolgesse la funzione di copertura dal rischio erano assai esigue. Se non in taluni casi inesistenti. La determinazione probabilistica della conformità dello strumento alla sua funzione costituisce un valido mezzo istruttorio nei giudizi relativi ai contratti su derivati: se lo strumento, geneticamente, non è in grado di assolvere alla funzione per cui è stato stipulato – obbligatoriamente di copertura per i derivati stipulati dagli enti locali – si è presenza di carenza ovvero illiceità della causa del contratto, e quindi nullità del medesimo. Parimenti ove, nel caso di derivati OTC collocati presso i privati, emergesse applicando il medesimo metodo, che il contratto non fosse in grado di realizzare alcuna delle funzioni tipiche dei contratti (su) derivati con la conseguenza che lo stesso non possa qualificarsi come “strumento finanziario derivato”, il cliente da un lato sarebbe legittimato a chiedere la risoluzione del contratto per avere lo stesso ad oggetto aliud pro alio88, dall’altro potrebbe senz’altro avvalersi dell’eccezione di gioco ovvero la nullità del contratto per mancanza di causa (derivante dal difetto dell’alea in un contratto avente natura tipicamente aleatoria89).

 

1 Buffett W., Derivatives are Financial Weapons of Mass Destruction, http://www.investorwords.com/tips/389/derivatives-are-financial-weapons-of-mass-destruction.html; Id, Berkshire Hathaway, Relazione al bilancio, 2002, ove così precisa “The derivatives genie is now well out of the bottle, and these instruments will almost certainly multiply in variety and number until some event makes their toxicity clear. Central banks and governments have so far found no effective way to control, or even monitor, the risks posed by these contracts. In my view, derivatives are financial weapons of mass destruction, carrying dangers that, while now latent, are potentially lethal”.

2 Chance D.M., A Chronology of derivatives, in 2 Derivatives Quarterly, 1995, 53 – 60; Sharpe W. F., Investments, New Jersey, 1985; Swan E. J., Building the Global Market: a 4000 Year History of Derivatives, Londra, 2000.

3 Così la gustosa ricostruzione dell’episodio da parte di Portale G.B., in occasione della presentazione del libro di Girino E., “Aristotele stanco del fatto che prendessero in giro i filosofi considerati inutili, ha raccontato un espediente, diciamo così, di Talete di Mileto, il quale, però, aveva una grande conoscenza dell’astronomia, e in base alla astrologia, forse più che astronomia, dalla lettura e dall’osservazione degli astri, previde che ci sarebbe stata un’estate di grande produzione di olive. Talete, pur essendo povero, in quel momento disponeva di denaro e prese in affitto tutti i frantoi per produrre l’olio. Lo prendevano per matto. Dopodiché, effettivamente, ci fu questa grande produzione di olive e lui ha rivenduto, o meglio, avendo preso i frantoi in affitto, ha ceduto contro corrispettivo i contratti e guadagnato tanti soldi” (online all’url www.ghidini-associati.it%2FQuale%2520futuro%2520per%2520i%2520derivati%2520finanziari%2520-%2520Trascrizione%2520Dibattito.pdf&ei=2H5MUNPNMMzVsgaoxICwBQ&usg=AFQjCNEVYr8bsGPVz71becQLa7C3cPQfrg&sig2=FgO5Jvk0yfTTQah7ft8Uyg&cad=rja)

4 Di cui parla Mackay C., Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds (1841), in argomento v. Dash M., Tulipomania: The Story of the World’s Most Coveted Flower & the Extraordinary Passions It Aroused, Londra, 1999; A. Pavord, The tulip, New York, 1999. Nel XVII secolo la domanda dei tulipani era crescita talmente tanto che talune varietà pregiate raggiungevano il prezzo di 6000 fiorino per singolo bulbo (il bulbo in questione era il Semper Agustus). Nel 1637 i commercianti – di fronte ad una domanda oramai satura – iniziarono a vendere determinando lo scoppio della bolla (e le perdite di chi aveva comprato derivati ad un prezzo – oramai – dieci volte superiore a quello del mercato). Al riguardo riveste interesse constatare che nel susseguente contenzioso per l’esecuzione dei contratti i giudici olandesi ritennero applicabile l’eccezione del gioco, e quindi l’inesigibilità coattiva delle obbligazioni contrattuali)

5 Su cui Oldani C., cit., 57

6 Da cui poi è nato il Chicago Board Option Exchange (1973) la maggiore borsa di opzioni del mondo cfr. Oldani C., I derivati finanziari, Milano, 2010, 47 ss.

7 Durbin M.P., All about derivatives : the easy way to get started, New York, 2005

8 Il cui tesoriere Robert Citron (sic!) aveva investito in derivati altamente speculativi 1,5 miliardi di dollari cfr. Orange County Goes Bust, Time Magazine, 19 dicembre, 1994

9 A causa di uno swap stipulato con finalità di copertura e che invece cagionava l’insolvenza della contea (generando un debito di oltre 4 miliardi di dollari) cfr. Wheeler B., The scandal of the Alabama poor cut off from water, BBC News, Alabama , all’url http://www.bbc.co.uk/news/magazine-16037798. Sugli scandali finanziari americani degli ultimi anni v. Parnoy F., Infectious Greed, New York, 2009; Markham J. W., A Financial History of Modern U.S. Corporate Scandals. From Enron to Reform, Armonk, 2006

10 Oldoni C., cit., 69

11 De Nova G., “The Law which governs this Agreement is the Law of the Republic of Italy”: il contratto alieno, in Jucidium.it, 2011, all’url http://judicium.it/news/ins_15_05_07/De%20nova%20Nuovi%20Saggi.html; Id., I contratti derivati come contratti alieni, in Riv. dir. priv., 2009, 15 ss.

12 Kolb R.W., – Overdahl J.A., Financial derivatives, Cambridge, 2002

13 Ferrarini G., I derivati finanziari tra vendita a termine e contratto differenzia, in I derivati finanziari, a cura di F. Riolo, Milano, 1993, p. 27

14 Girino E., I contratti derivati, Milano, 2010, 8 ss; Bochicchio F., Gli strumenti derivati: i controlli sulle patologie del capitalismo, finanziario, in Contr. Impresa, 2009, 308 il quale osserva che “il collegamento tra due contratti, che così si crea negli strumenti derivati con finalità di copertura, collegamento unilaterale alla luce della strumentalità della stipula del contratto relativo allo strumento derivato rispetto alla stipula del contratto relativo alla posizione sottostante, è di mero fatto e non di diritto, in quanto la mancanza di validità e/o efficacia del contratto relativo alla posizione sottostante ‘da coprire’ con lo strumento derivato non incide in alcun modo sulla validità ed efficacia dei contratti relativi allo strumento derivato, proprio per l’autonomia finanziaria che contraddistingue quest’ultimo”.

15 Corte Cost., 18 febbraio 2010 n. 52 in Banca borsa tit. cred., 2011, 18 con nota di A. Scognamiglio, Profili di costituzionalità dei limiti all’utilizzo degli strumenti derivati da parte di enti territoriali; Girino E., Natura e funzioni della disciplina dei servizi di investimento e qualificazione degli strumenti derivati nella giurisprudenza italiana, in Banca borsa tit. cred., 2011, 35 ss; Id., I contratti derivati., 16 ss. cui si rinvia per ulteriori riferimenti in dottrina e in giurisprudenza.

16 Girino E., I contratti derivati, 21 ss.

17 Su cui Iannucci A., IAS 39: strumenti finanziari derivati, in Guida alla contabilità e bilancio, n. 11 dell’11 giugno 2007, Milano, 58 ss

18 Girino E., cit., 52

19 In arg. V. Capriglione F., I prodotti “derivati”: strumenti per la copertura dei rischi o per nuove forme di speculazione finanziaria?, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, 359 ss.; Gabrielli G., Operazioni su derivati: contratti o scommesse?, in Contr. Impresa, 2009, 1133 ss.

20 Ferrarini G., I derivati finanziari tra vendita a termine e contratto differenziale, in AA.VV., I derivati finanziari, a cura di Riolo, Milano, 1993, 39; Gabrielli G., cit., 1134, il quale ricorda – manifestando il proprio scetticismo al riguardo – che sarebbe la “logica della ‘razionalizzazione’ a consentire di distinguere fra speculazione e scommessa. Lo speculatore compie, bensì, una scommessa, ma su base razionale o quanto meno ‘razionalizzabile’, sicché, se vince, e per aver avuto una ‘migliore padronanza’ dei dati disponibili, mentre lo scommettitore vero e proprio vince per pura fortuna. Il contributo utile dello speculatore sta, quindi, nell’immissione nel sistema di ‘ricchezza informativa’: il prezzo di mercato dei rischi è la risultante di una serie di contributi di ‘ricchezza informativa’.

21 Huizinga J., Homo ludens, Torino, 2002, 62

22 Maffeis D., Contratti derivati, Banca borsa tit. cred., 2011, 604 ss.

23 Audizione del DG della Consob Massimo Tezzon, Problematiche relative al collocamento di strumenti finanziari derivati, VI Commissione “Finanze” della Camera dei Deputati, 30 ottobre 2007

24 Barcellona E., Nota sui derivati creditizi. Market failure o regulation failure, in Banca borsa tit. cred., 2009, 652 ss. a p. 660; Caputo Nassetti F., I contratti derivati di credito. Il credit default swap, in Dir. Comm. int., 1997, 103 ss.

25 Girino E., cit., 165

26 Girino E., cit., 168

27 Il “payoff” ovvero la sintesi delle obbligazioni previste dalle parti (è traducibile in forma funzionale grafica).

28 Maffeis D., cit., 607 e sub. nt. 21 Gabrieli G., Operazioni su derivati: contratti o scommesse, in Contr. e impr., 2009, 1133 ss., a p. 1135 secondo cui l’ipotesi pone il problema della riserva di attività in favore dell’intermediario (sussistente solo per le offerte rivolte al pubblico) e dell’operatività della esenzione dall’eccezione di gioco (prevista solo quando la controparte sia un investitore).

29 Anche se per i risparmiatori l’esposizione al mercato dei derivati è principalmente ‘indiretta’ e conseguente all’acquisto di prodotti strutturati, emessi da intermediari, che incorporano strumenti derivati cfr. Audizione del DG della Consob, cit., 1

30 Greenwald B. B. e Stiglitz J. E. (1990), Asymmetric information and thenew theory of the firm: financial constraints and risk behaviour, in American Economic Review, 80, maggio, pp. 160-165; (2000), The contribution of the economics of information totwentieth century economics, in Quarterly Journal of Economics, novembre, pp. 1441-1478; Stiglitz J. E., Mercato informazione regolamentazione, Bologna, 1994

31 Audizione del DG della Consob, cit., 4

32 Consob, I principali prodotti derivati. Elementi informativi di base, 2008, in Consob.it

33 Maffeis D., Contratti derivati, cit., 647; Id. Intermediario contro investitore: i derivati over the counter, in Banca borsa tit. cred., 2010, 779 ss. a p 796

34 Rossi G., Il mercato d’azzardo, Milano, 2008

35 Girino E., cit., 418 e seguenti.

36 Piccinini V.,La trasparenza nella distribuzione di strumenti finanziari derivati e il problema dell’efficacia delle regole informative, in Contr. Impresa, 2010, 506

37 In arg. v. ex multis Greco F., Intermediazione finanziaria: rimedi ed adeguatezza in concreto, in Resp. civ. prev., 2008, 2556 ss.; Sangiovanni V.,Operazioni inadeguate e doveri informativi dell’intermediario finanziario, in Giur. comm., 2009, II, 557 ss.

38 Il Comitato di Basilea ha rilasciato il documento definitivo, cd. Basilea II, nel giugno 2004. L’accordo è stato recepito con le direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE a loro volta recepite nell’ordinamento italiano dal DL 267 del 27 dicembre 2006;

39 Barcellona E., cit., 685.

40 Barcellona E., cit., 677.

41 Previa scomposizione (unbundling) dello strumento finanziario

42 Audizione informale del DG della Banca d’Italia, Saccomanni F., Le problematiche relative agli strumenti finanziari derivatiRoma, 6 novembre 2007

43 Premesso che in ogni operazione la controparte sostiene comunque dei costi sarebbe opportuno definire “contratto par” quel contratto che non ha ulteriori costi rispetto a quelli “necessari” ovvero i c.d. costi di “hedging”, ossia i costi per la copertura del differenziale denaro/lettera ed i costi per il rischio di credito/controparte (questi ultimi ammissibili al netto della componente di rischio di controparte in capo all’ente stesso, dato che anche l’intermediario finanziario può diventare insolvente). Il “mark up” (il margine lordo per la banca) serve a remunerare tali altri costi (es: amministrativi, commerciali ecc.) prima di diventare margine netto. La difficoltà è di stabilire quando un costo o ogni singolo elemento che lo compone si possa definire “congruo” o “fair”. Il vero problema infatti non risiede nel fatto che esiste un costo per negoziare un contratto derivato, ma piuttosto nel definirne un livello competitivo o comunque “fair”. Livello che un operatore non professionale non è in grado di individuare.

44 Audizione del DG della Consob, cit., p. 4

45 Più precisamente all’’operatore qualificato’ non si applicavano le seguenti tutele previste dal regolamento (operazioni in conflitto, artt. 27 e 45), obblighi informativi (art. 28), onere di indicare l’eventuale inadeguatezza dell’operazione (art. 29), forma e contenuto (art. 30), fare le negoziazioni alle migliori condizioni (art. 32), indicare caratteristiche e limiti dell’operazione (37, e v. x derivati), caratteristiche della gestione (39), tipo di operazioni (40), leva finanziaria (41) parametri di riferimento (42), mercati (43 – 44)

46 Sangiovanni V., I contratti derivati e il regolamento Consob n. 11522 del 1998, in Giur. Merito, 2009, 1516 ss. a p. 1521.

47 In argomento da ultimo Caputo Nassetti F., I contratti derivati finanziari, Milano, 2011, 704

48 Portale G.B., cit., (on line www.ghidini-associati.it%2FQuale%2520futuro%2520per%2520i%2520derivati%2520finanziari%2520-%2520Trascrizione%2520Dibattito.pdf&ei=2H5MUNPNMMzVsgaoxICwBQ&usg=AFQjCNEVYr8bsGPVz71becQLa7C3cPQfrg&sig2=FgO5Jvk0yfTTQah7ft8Uyg&cad=rja)

49 Sul tema in dottrina v. A. Piras, Operazioni inadeguate sui derivati e dichiarazione di operatore qualificato: tutela dell’investitore ex art. 700 c.p.c, in Banca borsa tit cred., 2001, 513

50 App Milano, 12 ottobre 2007 in Nuova Giur. Civ. 2008, I, 222 con nota di Ruggieri; Trib. Mantova, 9 giugno 2005 in ilcaso.it. doc. n. 60/2005; Trib. Milano, 2 aprile 2004 in ilcaso.it. doc. n. 668/2004, Trib. Cuneo 9 febbraio 2009 in ilcaso.it. doc. n. 1606/2009; Trib. Forlì, 11 luglio 2008 in ilcaso.it. doc. n. 1390/2008. In questo senso anche parte della dottrina, v. Bochicchio F., in Contr. impresa, 2009, 310 secondo cui “la dichiarazione è valida ed efficace in quanto le imprese, anche medie, hanno delle conoscenze elementari in materia finanziaria – alla luce della presenza indefettibile della finanza d’impresa – e quindi la dichiarazone è scelta dell’impresa non priva di rispondenza ad un contenuto effettivo” il quale però precisa che “diverso discrso è se lo strumento derivato, con il suo meccanismo ed i suoi rischi, in particolare ove altissimi e tali da superare l’investimento iniziale per i finanziamenti speculativi, e quindi la sua effettiva natura, se di copertura o in alternativa speculativa, siano ben spiegati al cliente: anche in assenza dei meccanismi speciali di tutela, è difficile negare la presenza di un vizio di volontà”..

51 Trib. Torino, 18 settembre 2007 in Giur. It. 2008, 1165 con nota di Motti C.; Trib. Novara, 18 gennaio 2007, in Banca borsa tit. cred. 2008, 57 ss. con nota di Lemma V., L’”operatore qualificato”, nelle operazioni in derivati; Trib. Vicenza 29 gennaio 2009 in ilcaso.it. doc. n. 2299/2010.

52 Tribunale Novara 19 luglio 2012 in ilcaso.it. doc. n. 7625/2012; Trib. Milano, 14 aprile 2012 in ilcaso.it. doc. n. 7133/2012; Trib. Milano, 8 febbraio 2012 in ilcaso.it. doc. n. 6955/2012; App.. Torino, 26 settembre 2011 in ilcaso.it. doc. n. 6683/2012; App. Milano, 7 settembre 2011 in ilcaso.it. doc. n. 6696/2012; Trib. Lecce, 9 maggio 2011 in Foro it., 2011, I, 2549; Trib. Bari 15 luglio 2010 in I contratti, 2011, p. 244, con nota di Orefice, Pisapia; Trib. Udine, 13 aprile 2010 in ilcaso.it. doc. n. 2156/2010; Trib. Torino, 30 novembre 2009 Rep. Foro it. 2011, Intermediazione e consulenza finanziaria [3655], n. 114; Trib. Torino, 23 novembre 2009 in Giur. it., 2010, 601, con nota di Cottino G.;

53 Trib. Milano 19 aprile 2011 in I contratti, 2011, p. 761, con nota di Autelitano; conf. Trib. Milano 23 marzo 2012 in ilcaso.it. doc. n. 7098/2012. Al riguardo v. Girino E., Sviluppi giurisprudenziali in materia di derivati over the counter, in Banca borsa tit. cred., 2011, 794 ss. ma già Picardi L., La negoziazione di strumenti finanziari derivati fra codice civile e legislazione speciale, in Banca borsa tit. cred., 2066, 335 ss.

54 Trib. Milano 19 aprile 2011, in I contratti, cit, p.761. In questo senso già Antonucci A., Considerazioni sparse in tema di strumenti finanziari derivati creati da banche, in Banca borsa tit. cred., 2004, 189

55 Trib. Milano 19 aprile 2011, in I contratti, cit, p.761.

56 Trib. Orvieto (ord.) 12 aprile 2012 in ilcaso.it. doc. n. 7314/2012. Avvertimento non necessario ove la disapplicazione della normativa di tutela sia espressamente ricordata nella dichiarazione, cfr. Trib. Verona, 1° aprile 2008 n ilcaso.it. doc. n. 1502/2009

57 Trib. Bari 15 luglio 2010 in I contratti, cit. p. 244; App. Trento, 5 marzo 2009, all’ url http://www.unijuris.it/node/266; Trib. Catania, 18 febbraio 2009 all’url http://www.unijuris.it/taxonomy/term/237, ma già Trib. Rovigo 3 gennaio 2008 in ilcaso.it,1094/2008.

58 Trib. Ancona, 10 marzo 2011 in Ilcaso.it. doc. n. 3410/2011.

59 Trib. Bari (ord.), 15 luglio 2010 in Foro it., 2010, I, 3220. Sulla ‘causa in concreto’ v. ex multis Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, in I contratti, 2007, 621 ss; Cass. 24 luglio 2007 n. 16315, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 542 ss. con nota di Nardi, Contratto di viaggio ‘tutto compreso’ e irrealizzabilità della sua funzione concreta; Galgano, Il contratto, Padova, 2007, 143 ss.;

60 Presumibilmente a determinare il giudicante nel senso innanzi riportato – vale a dire che la causa dello swap sia necessariamente di copertura – ha concorso anche il Regolamento Consob n. 11522/1998, il cui allegato 3, par. 4, parte B, intitolato “Operazioni su strumenti derivati eseguite fuori dai mercati organizzati Gli swaps” dichiara che “alla stipula del contratto, il valore di uno swap è sempre nullo”. Vale a dire ‘par’.

61 Trib. Milano (ord.), 8 febbraio 2012, in Ilcaso.it, doc. 6955

62 Alle stesse conclusioni del resto si giungerebbe aderendo alla tesi secondo cui il contratto di swap sarebbe un contratto commutativo e non aleatorio che “esaurisce la sua funzione con lo scambio dei flussi di pagamento e la causa tipica immanente che caratterizza questo contratto è appunto lo scambio dei pagamenti, che di per sé ha ragion d’essere e ha una positiva funzione sociale”, così Caputo Nassetti F., I contratti derivati finanziari, Milano, 2011, 80

63 Trib Orvieto (ord.), 12 aprile 2012, all’url url http://www.dirittobancario.it/approfondimenti/finanza/contratti-derivati-stipulati-dagli-enti-locali-e-difetto-di-causa, ma già in questo senso sostanzialmente Trib. Milano, 14 aprile 2011 in ilcaso.it. doc. n. 4151/2011, sulla però non condivisibile opinione che un Mark to Market negativo alla data della stipulazione del contratto conferirebbe al medesimo una funzione speculativa. In dottrina Astegiano G., Enti territoriali e strumenti finanziari derivati: margini di utilità e rischi, in aziendaitalia.it., 2008, 5

64 Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo, Indagine conoscitiva sull’utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni, 18 febbraio 2009, all’url http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/documenti_per_il_parlamento/18_febbraio_2009_audizione_finanza_derivata.pdf, la quale accertava l’apio utilizzo degli schemi negoziali “ISDA Master Agreement, elaborato da una delle maggiori associazioni di operatori finanziari a livello mondiale, e cioè l’ISDA-International Swaps and Derivatives Association, Inc., costituita nel 1985 e che, ad oggi, rappresenta più di 800 membri, che operano in più di 50 Paesi del mondo (tra quali vi sono la maggior parte delle principali istituzioni finanziarie private operanti in derivati)” e l’”European Master Agreement – EMA, predisposto dalla Federazione Bancaria Europea – FBE nel gennaio 2001”.Sul contratto ISDA v. De Biasi P.,Un nuovo master agreement per strumenti finanziari, in Banca borsa tit. cred., 2001, 644 ss.

65 Cass. (ord.) 27 febbraio 2012, n. 2926, all’ url http://www.almaiura.it/images/upload/Sez_Un_giurisdizione_italiana.pdfe in Diritto & Giustizia 2012

la quale ha affermato la giurisdizione italiana in relazione però all’azione aquiliana promossa dall’Ente Pubblico. 66

Non a caso, nel leading case in materia (sentenza Hammersmith) il limite all’operatività degli enti locali inglesi in strumenti finanziari derivati è stato ravvisato sul piano della capacità dell’amministrazione pubblica (c.d. ultra vires doctrine) e non sul piano dell’atto in sé (Hazell v. Hammersmith and Fulham LBC, (1991) [1992] 2 AC 1, House of Lords).

67 Per una analisi della giurisprudenza inglese in materia si rinvia a Maffeis D., Le stagioni dell’orrore in Europa: da Frankenstein ai derivati, in Banca borsa tit. cred., 2012, 280 ss.

68 Cfr. High Court of Justice, Queen’s Bench Division, Commercial Court, 9 marzo 2011, Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino S.pA. v.s. Barclays Bank Ltd

69 Marcelli R., Le operazioni di swap: l’up-front e i vestiti di Andersen, in Il caso.it., documento n. 290/2012, 3

70 Maffeis D., Contratti derivati, in Banca borsa tit. cred., 2011, a p.634. Girino E., I contratti derivati, Milano, 2010, 474 ricorda che l’erogazione dell’up-front “si accompagna ad una modifica delle condizioni originarie del contratto in senso peggiorativo per il cliente. Potrebbe con ciò desumersi che tale peggioramento sia il mezzo ‘occulto’ attraverso il quale il finanziamento viene restituito”.

71 Maffeis D., Le stagioni dell’orrore in Europa: da Frankenstein ai derivati, in Banca borsa tit. cred., 2012, 280 ss.; Id., Intermediario contro investitore: i derivati over the counter, in Banca borsa tit. cred., 2010, 779 a p 796. Zamagni L. – Cedrini G., Swap ed enti locali: note critiche a Tribunale Bologna 14/12/2009 sulla qualificazione dell’up front e l’interpretazione della dichiarazione di operatore qualificato, in Il caso.it, 2010, doc. n. 194/2010, 1 ss. a p. 6 ss.

72 Cass. Pen., 21 dicembre 2011, n. 47421. all’url http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/finanza/contratti-derivati-il-mark-market-non-puo-fondare-il-sequestro-preventivo

73 Trib. Milano, 19 aprile 2001, in I contratti, cit. p. 761.

74 R. Cesari, Mark-to-Market, valutazioni di convenienza economico-finanziaria e giurisprudenza, in diritto bancario.it, 2012,

75 In arg. Zamagni L. – Acciari M., Convenienza economica e mark to market dei contratti derivati degli Enti locali: note critiche alla sentenza n. 47421 del 21/12/2011 della seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, in dirittobancario.it, 2012, 8; Carleo A. – . Mottura C.D – Mottura L., I derivati nel bilancio degli enti locali: alcuni elementi per una corretta lettura delle risultanze contabili, in Foro amm., Tar, 2011, 1085 ss.

76 Piccinini V., cit., 531; Inzitari B., Sanzioni Consob per l’attività in derivati: organizzazione, procedure e controlli quali parametri della nuova diligenza professionale e profili di ammissibilità delle c.d. “rimodulazioni”, in Giur. It., 2009, 1693 ss. e in part. 1699.

77 De Nova G., I contratti derivati come contratti alieni, in Riv. dir. priv., 2009, 19; Maffeis D., Intermediario contro investitore: i derivati over the counter, in Banca borsa tit. cred., 2010, 779 ss, a p. 796.

78 Così Girino E., Sviluppi giurisprudenziali in materia di derivati over the counter, cit., 800.

79 Maffeis D., Contratti derivati, cit., 625.

80 Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2011 n. 5032; all’url http://www.respamm.it/osservatorio/viewosservatorio.php?id =%9D%C1%94%D6u41%7D%E5R%98%12i%12%01%CA%D4%8C.%CE%D4%02%92q%FF%F6%C4J%91%BA%177&or=4; Tar Toscana, 11 novembre 2010; in ilcaso.it. doc. n. 2749/2010. Sul punto v. D. Maffeis, Contratti derivati, 2011, cit., 612.

81 Tar Toscana, 11 novembre 2010; in il caso.it, cit.

82 Tipizzato nella circolare MEF del 24 maggio 2004.

83 In arg. Barcellona V. E., cit., 686.

84 Art. 1, co. 737, l. 27 dicembre 2006, n. 296.

85 Con specifico riferimento ai contratti stipulati da enti locali, la mancata individuazione di queste informazioni – seppur riconosciuta dal legislatore – è stata sinora “gestita”, come già detto, con un divieto (vigente dal giugno 2008) ad operare in derivati. Tale divieto, che pure appare accettabile in un’ottica di breve periodo, nel medio-lungo termine può tuttavia precludere agli enti locali interessanti opportunità di copertura.

86 Il valore del mark to market è la grandezza che l’intermediario utilizza anche per rappresentare nella propria contabilità lo strumento derivato. Tanto si precisa per sottolineare come la fondamentale informazione sul mark to market sia sempre nota all’intermediario; per ciò la rimozione dell’asimmetria informativa rispetto al cliente potrebbe avvenire semplicemente richiedendo la condivisione di un dato di cui l’intermediario già dispone.

87 Si tratta del metodo previsto nella bozza di regolamento pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 22 settembre 2009 per garantire la piena trasparenza dei contratti derivati degli enti locali. Tale provvedimento, però, non è stato ancora emanato.

88 V. per spunti in questo senso Trib. Milano (ord.), 8 febbraio 2012, cit.

89 In questo senso v. Trib. Modena 23 dicembre 2011, in I contratti, 2012, 130 ss. con nota di Sangiovanni V. che però dall’assenza dell’alea per uno dei contraenti fa discendere la non meritevolezza del contratto ai sensi dell’art. 1322 cc; Trib. Milano, 19 aprile 2011, in I contratti, cit. p.761.


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