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Sul nuovo art. 117-bis TUB: clausole di compenso per disponibilità fondi e clausole di rimborso spese

3 Gennaio 2012

Aldo Angelo Dolmetta, Ordinario di Diritto Privato nell’Università Cattolica di Milano

Introdotta un po’ all’ultimo minuto, in sede di conversione (22 dicembre 2011, n. 214) del decreto «salva-Italia» (6 dicembre, n. 211), la nuova regolamentazione della c.d. commissione di massimo scoperto (come integralmente sostitutiva del confuso regime del 2009) va senz’altro  apprezzata in termini positivi. Essa appare in grado di porre realmente termine a una querelle che sul piano del diritto applicato si trascina ormai da troppo tempo (da oltre un decennio); e può, nel complesso, portare a una buona «tutela del cliente» bancario (la finalità si trova dichiarata nel contesto del comma 4): per semplificazione delle voci del carico economico impostogli; per misura del carico stesso.

Nel merito, la norma prevede due tipi di clausole, che risultano consentite alla predisposizione di autonomia delle banche: un tipo è per l’apertura di credito, l’altro per lo sconfinamento (uscito dagli «antri oscuri» della revocatoria fallimentare, questo tema chiede sempre più, nell’oggi, regolamentazioni di fisiologia; cfr., ora, l’articolata disposizione dell’art. 125-octies TUB). Le clausole non sono cumulabili, né possono venire invertite. Molto diverse tra loro, comunque le dette clausole rappresentano gli unici oneri che – in addizione al peso degli interessi – possono essere caricati sul cliente in connessione con la concessione di un fido (che avvenga in uno o nell’altro modo). Sul punto il testo della legge risulta proprio univoco.

Per il fido formalizzato in una regolare apertura, dunque, la legge consente alle banche la possibilità di un vero e proprio compenso: sotto forma di commissione destinata a spalmarsi nel tempo in misura proporzionale alla somma resa disponibile e che risulta pro tempore non utilizzata. Di conseguenza, via via che cresce l’utilizzato, se salgono gli interessi, nel contempo scende il carico della commissione.

Come si vede, risulta di sicuro non più consentito un’autonoma commissione proporzionale sull’utilizzato (che, in realtà, altro non è se non una duplicazione di voci per gli interessi), né tanto meno lo è un compenso sproporzionale sull’utilizzato (come è noto, quest’ultima è stata la modalità più usata dall’operatività: il giorno del massimo scoperto venendo appunto replicato per l’intero trimestre corrente tra una chiusura contabile e l’altra). Neppure è consentito aggiungere a tale commissione una clausola, ovvero una pretesa, di rimborso per «spese di istruttoria» (aut similia): a negare quest’eventualità (che palesemente darebbe vita a un distinto «onere ulteriore» rispetto al primo, invece «unico e onnicomprensivo») non sta solo il testo, ma anche il confronto sistematico con la regolamentazione dello sconfinamento (cfr. appena infra). Semmai, queste spese potranno trovare ricovero sostanziale all’interno del montante di cui alla commissione: come, del resto, è naturale che sia, appartenendo dette spese al novero dei costi di esercizio propri dell’attività dell’impresa bancaria. Fermo in ogni caso restando, però, il limite massimo per trimestre dello 0,5% della «somma messa a disposizione del cliente» (la normativa del 2009 commisurava il limite percentuale all’«importo dell’affidamento» complessivo; il nuovo testo dà spazio minore di guadagno, perché a contare, adesso, è la sola somma che in concreto risulta non utilizzata).

Per contro, la concessione di un semplice sconfinamento non può essere accompagnata da nessuna clausola di compenso aggiuntivo rispetto agli interessi (i quali, tuttavia, nella specie sarebbero a rigore da qualificare come moratori, quale penale per il pur tollerato ritardo nel rientro). In effetti, la nuova legge consente qui unicamente una clausola, formulata in modo espresso e chiaro (arg. ex art. 117 TUB), che consenta alla banca di recuperare le spese effettivamente sostenute: e così dia a questa il diritto di percepire una somma in «misura fissa» – indipendente, cioè, sia dalla durata effettiva del fido, sia dalla quantità del montante erogato –, come «commisurata ai costi» realmente sopportati. In via reciproca, per l’ipotesi dello sconfinamento resterà vietata ogni clausola che tenda a far lievitare le spese in compenso – che vada, come si dice, oltre l’effettivo delle spese vive – o comunque sposti l’ago della somma pretesa da un polo verso l’altro (tra le altre cose è da notare come la parola «remunerazione», pur presente nella rubrica, rimanga rigorosamente estranea al corpo del precetto normativo).

La diversità dell’equilibrio che la legge va a fissare per i due distinti casi non viene a sorprendere: nello sconfinamento manca, per definizione, una preventiva messa a disposizione di somme (manca quindi una prestazione della banca che «possa» essere retribuita dal cliente); d’altra parte, la possibilità in questa (sola) ipotesi di un rimborso spese sembrerebbe giustificarsi nel fatto che – secondo la prospettiva preferita dalla legge della «manovra» – il compimento di un’istruttoria fidi risponderebbe, qui, a esigenze sopravvenute, estemporanee e urgenti: non per nulla il testo normativo inquadra il detto rimborso nel titolo di una «istruttoria veloce» (un’istruttoria extra ordinem, per così dire). Più facilmente, peraltro, si tratta in realtà di un «contentino» che la manovra Monti ha concesso alle banche: così, per il caso di «eventualità di sconfinamento» già preveduta nel testo del contratto (cfr. il comma 1 dell’art. 125-octies; per l’ipotesi di sconfinamento consistente e ultramensile a consumatore, che non sia considerata nel contratto base, la regola dell’art. 117-bis dovrebbe comunque andare a coordinarsi con il disposto del comma 2 del citato art. 125-octies). «Contentino» di cui, a me pare, le stesse non dovrebbero, in ogni caso, potere abusare.

Si pensi al caso (corrente, in fondo) di sconfinamenti distinti, ma reiterati e frequenti: intermittente, il cliente passa dal deposito al fido e viceversa. L’istruttoria si fa quando ce ne è bisogno: solo quando vi sia il fondato, più che ragionevole, sospetto che le condizioni patrimoniali del cliente siano cambiate in modo importante. Del resto, non si può trascurare che, per lo sconfinamento, la nuova legge non formula in modo espresso un limite massimo percentuale (com’è invece per le clausole di compenso per la disponibilità delle somme) proprio perché l’ipotesi recupera già un suo limite intrinseco – e, si confida, di misura ben minore dello 0,5% – nell’effettività delle spese sopportate e nell’oggettiva, e manifesta, opportunità delle medesime (che si tratti, cioè, di spese non superflue).

Un’ultima cosa. La disposizione dell’art. 117-bis TUB – è bene aggiungere ancora – è già entrata in vigore: per l’esattezza dal 28 dicembre, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, a mente dell’art. 1 comma 2. In effetti, il futuro intervento del CICR, cui allude il comma 4 della norma, non dovrebbe valere a portare rinvii applicativi sine die, sembrando piuttosto funzionale all’eventuale incremento della disciplina (si pensi, così, al dettaglio delle spese rimborsabili e alla definizione della massima loro misura). Di per sé, la regolamentazione portata dalla norma appare senz’altro sufficiente: dal momento della sua vigenza, così, la nuova regola si applica pure ai contratti in corso. In difetto di patto per l’una o per l’altra clausola, nulla – oltre agli interessi – rimarrà quindi dovuto.

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