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La “cripto-arte” e i non-fungible tokens (NFTs): tentativi di inquadramento giuridico

2 Agosto 2021

Paolo Carrière, Legal Counsel, Studio CBA; Academic Fellow, Università Bocconi

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Il dilagante fenomeno della cripto-arte: impostazione dell’analisi. 2. Alcune imprescindibili premesse metodologiche. 3. Sommaria ricostruzione del fenomeno nei suoi tratti morfologici e funzionali. 4. L’analisi giuridica nella prospettiva civilistica e consumeristica. 5. L’analisi giuridica nella prospettiva di diritto dei mercati finanziari.

 

1. Il dilagante fenomeno della cripto-arte: impostazione dell’analisi

Il fenomeno “cripto” dilaga oggi in una molteplicità di ambiti, pervadendo e trasformando tradizionali e consolidati paradigmi concettuali e operativi della realtà economica e giuridica…e ora anche di quella artistica. Il comune denominatore del fenomeno può individuarsi subito nel caratterizzante ricorso alla c.d. tecnologia “blockchain.[1]

Nella sua manifestazione più “popolare”, il fenomeno si è sin qui incarnato nelle c.d. “cripto-valute”; quella “Bitcoin”sin di recente di gran lunga la più nota; ma quella delle cripto-valute non è che una delle tante possibili manifestazioni di quel ben più ampio fenomeno che fa riferimento alla più ampia nozione – comprensiva delle ma non esaurentesi nelle cripto-valute – dei crypto-assets, con ciò facendosi allora riferimento a quei nuovi “beni” (?), i c.d. tokens, rappresentativi di beni o rapporti giuridici di varia natura (per effetto di un processo di “emissione”, o meglio “creazione”, spesso detto “tokenizzazione”).

Dopo l’iniziale successo (presto ridimensionatosi) che negli ultimi anni hanno avuto in particolare le ICOs di utility tokens e nell’attesa che, nelle varie giurisdizioni, si definiscano gli approcci normativi capaci di “sdoganare” i security tokens, la ribalta pare oggi essere prepotentemente calcata dei NFTs (non fungible tokens) – talora significativamente detti nella vulgata “cripto-valuta artistica”! – con particolare riguardo al loro utilizzo nell’ambito di quella che è già stata denominata “cripto-arte”[2].

L’approccio a questa nuova manifestazione (“bolla speculativa”?)[3] dell’”ecosistema cripto” appare da subito caratterizzo da una inconsapevolezza e disinvoltura ancor maggiore di quella che ha caratterizzato – perlomeno in una prima fase – la moda delle ICOs di utility tokens. Anche in questo caso paiono del tutto omessi e sottovalutati i molteplici e delicatissimi risvolti di natura giuridica (civilistica, consumeristica, di diritto dei mercati finanziari, tributaria ed, eventualmente, penale) che il giurista può invece subito intravvedere o intuire; parrebbe come che l’etichettamento dei NFTs quali (cripto)-”opere d’arte”, nel tentativo di relegarli così ad un ambito che viene normalmente ritenuto dominio esclusivo della più libera creatività, possa valere a sottrarli del tutto al mondo del diritto e alle sue regole. Questa sensazione (rectius, illusione) – che appare già ben sconfessabile con riguardo alle tradizionali “opere d’arte”, in relazione alle quali può individuarsi ormai uno specifico, consolidato e multi-dimensionale ambito disciplinare e giuridico (il “diritto dell’arte”) e che appare quanto mai fuorviante ove si guardi al ruolo e alla funzione che l’”opera d’arte” può venire ad assumere nell’ambito dell’ordinamento finanziario[4]– apparirà ancor più infondata e azzardata ove si consideri, appunto, questa sua nuova dimensione “cripto”. Proprio tale inedita dimensione, da un lato, dischiude infatti problematiche civilistiche e consumeristiche ben più complesse di quelle normalmente osservabili in relazione alle transazioni che hanno ad oggetto opere d’arte “tradizionali”, dall’alto lato pare capace di ricondurne l’operatività nel settore “minato” dei “servizi di investimento” presidiato dalla rigida riserva penalmente sanzionata, laddove tale conclusione deve invece generalmente escludersi in relazione a quelle “tradizionali”[5].

Nell’indagare questo nuovo e incipiente fenomeno[6] – avvalendoci utilmente, mutatis mutandis, del medesimo approccio metodologico e di molte delle risultanze analitiche emerse in un ambito più tradizionalmente e immediatamente finanziario[7] – occorrerà necessariamente partire interrogandosi sulla natura giuridica di tali “cripto-beni” (in particolare “cripto-opere d’arte”, in specie i NFTs) nella loro dimensione civilistica, (quali “beni” che possono costituire oggetto di “proprietà”[8] quindi? O quali fattispecie negoziali complesse, fonti di diritti e crediti, o addirittura quali veri e propri “titoli di credito”?) per passare poi ad indagare la loro – eventuale ma, come ora vedremo, per certi versi connaturata – dimensione di natura “finanziaria” (quali “strumenti finanziari”, “prodotti finanziari” o talora quote di OICR?); non accenneremo qui alla tematica connessa al diritto d’autore, né al loro trattamento tributario[9]. Non costituirà similmente oggetto della nostra analisi in questa sede la specifica disciplina applicabile all’”attività” (imprenditoriale) che potesse ritenersi svolta dalle piattaforme in questione ove possa essere assimilata – in virtù del loro oggetto quali “opere d’arte” – a quella svolta dalle gallerie d’arte o case d’asta, con riguardo ai suoi profili autorizzativi o alle connesse regole di condotta (ad es. la disciplina antiriciclaggio che oggi risulta estesa anche a tali soggetti, oltreché a intermediari e commercianti in opere d’arte, in virtù della direttiva n. 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, cosiddetta V direttiva antiriciclaggio, che è stata recepita in Italia del D. Lgs n. 231/2007; disciplina che peraltro potrebbe risultare perlopiù applicabile autonomamente in relazione all’attività che avesse ad oggetto cripto-attività. Si veda a tal fine il d. lgs. N. 90/2017 di recepimento della Direttiva 849/2015/UE che ha sottoposto agli obblighi antiriciclaggio anche gli exchanger di criptovalute (valute virtuali), prevedendo l’obbligo di iscrizione in una sezione speciale del registro dell’OAM, ex art. 128-undecies del TUB).

2. Alcune imprescindibili premesse metodologiche

Nell’approcciare il fenomeno “cripto”, il necessario, preliminare sforzo di analisi e comprensione di esso nei suoi tratti morfologici e funzionali e, quindi, di suo inquadramento giuridico, sin dall’inizio ci è parso[10] che potesse pur sempre avvenire ricorrendo alle consolidate e tradizionali categorie concettuali[11]– certo, ove necessario, adattate e plasmate alla sottostante, nuova, realtà tecnologica – ma fondamentalmente stabili e conosciute. Troppo spesso il dibattito pubblico su questi fenomeni pare indugiare su una loro rappresentazione esoterica che finisce per confondere il pubblico (per ora vagamente e variamente riconducibile alle categorie dei “risparmiatori” o “investitori” e ora, fruitori e “collezionisti” d’arte) e disorienta i regulators, lasciando campo libero alla fantasia di geniali e inconsapevoli innovatori – ora anche “artisti” – ma spesso anche alle scorrerie di spregiudicati speculatori che di quelle innovazioni abusano, invece, ben consapevolmente. Certamente, trattandosi di fenomeni che nascono e si sviluppano nella sfera tecnologica più evoluta (che attinge all’informatica, alla crittografia, all’intelligenza artificiale, ai Big Data etc.) esiste una barriera cognitiva spesso insormontabile per la maggioranza dei consociati che quei fenomeni si limiti ad osservare dal di fuori dell’invalicabile recinto tecnocratico. Questo, però, è sicuramente vero ove si intenda adottare una prospettiva, per così dire “interna”; ciò non preclude, allora, che da una prospettiva “esterna”, possa cionondimeno pretendersi di leggere e disciplinare questi nuovi fenomeni ricorrendo comunque ai consueti e tradizionali schemi e categorie dell’agire economico e della regolamentazione giuridica e ciò anche prescindendo da una approfondita analisi della natura “interna” del fenomeno (arte?), così come dall’intimo contenuto ingegneristico, informatico, digitale e negoziale che caratterizza quella sottostante realtà, rendendone estremamente complessa l’interpretazione in termini giuridici[12], per individuarne la disciplina civilistica.

Da questo punto di vista, questi nuovi fenomeni tecnologici non paiono infatti avere inventato nuove dimensioni relazionali o giuridiche che impongano un approccio analitico sin qui inesplorato e quindi un inedito apparato di disciplina; i tratti della “disintermediazione”, della “decentralizzazione”, della “liquidità” e della “globalizzazione” – tutti certamente tipici e qualificanti del fenomeno in esame – paiono incontrare comunque dei confini e dei limiti inevitabili nella realtà delle sottostanti relazioni economiche e intersoggettive[13]. In quello che ritenevamo e riteniamo un doveroso sforzo di semplificazione, a noi pare che questi fenomeni si prestino (ancora) ad esser letti, interpretati e disciplinati, guardando alle loro dimensioni (manifestazioni) esterne, trattandosi in definitiva di comportamenti umani dell’agire economico (e non solo) che risultano in ultima analisi pienamente riconducibili, di volta in volta, a categorie concettuali generali elaborate nell’ordinamento per via normativa, giurisprudenziale e amministrativa (“compravendita”, “investimento”, “finanziamento”, “conferimento”, “gestione”, “speculazione”, “collezionismo”, “impiego e raccolta di capitali”, “intermediazione”, “risparmio”, “mercato”, “società”, etc…) e spesso ai connessi specifici ambiti regolamentari settoriali (“servizi di investimento”, “servizi di pagamento”, “strumenti finanziari”, “valori mobiliari”, “prodotti finanziari”, “gestione collettiva” etc.). Ed è allora da questi concetti che ci si deve pur sempre muovere per approntare una griglia ermeneutica da calare – una volta analizzatolo e compresolo nei suoi tratti funzionali – sul nuovo fenomeno qui indagato al fine di individuare le più corrette qualificazioni giuridiche utili a tracciarne, infine, i più efficaci, funzionali e sistemicamente coerenti profili di disciplina giuridica e di regolamentazione in un’ottica propria del «diritto dei mercati finanziari», sorvolando qui su altri ambiti analitici in cui quello stesso fenomeno potrebbe esser valutato (fallimentare, tributaria, societaria, penale…).

Sempre a mo’ di premessa metodologica occorre poi soffermarsi a chiarire un aspetto centrale del fenomeno indagato, spesso omesso o sottovalutato nelle analisi di quello e financo nelle iniziative legislative che ambiscono (più o meno velleitariamente) alla sua regolazione: il fenomeno “blockchain” – applicato in questo caso a piattaforme di emissione di NFTs – non può oggi affatto interpretarsi come un fenomeno unitario, standardizzato e consolidato[14]. Con riferimento a quella infrastruttura tecnologica possono dunque trarsi al più – come sin qui abbiamo fatto – giudizi e valutazioni, “d’ordine generale e in via di principio”, atteso che sulle piattaforme oggi osservabili operano molteplici e diversi modelli di business e schemi tecnologici – pur riconducibili tutti al comune denominatore DLT – ciascuno dei quali caratterizzato da modelli operativi e funzionali (permissioned o permissionless; centralized odecentralized ), da algoritmi, (consensus algorithms operanti col modello proof-of-work o proof-of- stake, al fine di validare e registrare le transazioni) protocolli informatici/crittografici e modelli didigital-wallet anche moltodiversi tra loro. Ne consegue che parlare oggi di “blockchain” e di NFTs in questo specifico ambito artistico, con l’ambizione di esprimere in relazione ad essa valutazioni d’ ordine giuridico circa la sua compatibilità con la disciplina civilistica o finanziaria, risulta possibile, appunto, solo “in via generale e di principio”; una fondata valutazione non potrebbe però che essere condotta caso per caso e di volta in volta, alla luce delle relazioni intercorrenti sulle specifiche “piattaforme” che ci si trovi ad esaminare, attesi, come detto, i molteplici modelli dibusiness e le multiformi e variegate infrastrutture tecnologiche da esse adottati, con particolare riguardo al ruolo e alle modalità di intervento dei nuovi molteplici “intermediari” che necessariamente intervengono a fornire i connessi servizi e, in primis, quelli delicatissimi di e-wallet.

Il tratto appena illustrato della non standardizzazione della tecnologia DLT rende peraltro di difficilissima individuazione i modelli di regolamentazione più efficienti ed efficaci: potendosi pensare ad un modello di regolamentazione della infrastruttura tecnologica, secondo standard normativamente imposti con grado di dettaglio più o meno marcato, rimettendone la responsabilità in capo all’”emittente” dei NFTs (in via imperativa ed accentrata ovvero in via facoltativa e/o delegata a figure di autitors tecnologici), a quello di una regolamentazione diffusa della governance del “sistema” cripto e dei molteplici service providers che lo affollano, con ruoli e responsabilità diverse.[15]

3. Sommaria ricostruzione del fenomeno nei suoi tratti morfologici e funzionali

Dall’analisi delle piattaforme di “cripto-arte” osservabili oggi sul “cripto-mercato” ci paiono essenzialmente individuabili i seguenti modelli di business:

  1. La creazione di NFTs, unici e infungibili, “rappresentativi” di una sottostante opera d’arte “fisica” (o meglio, analogica), o anche “digitale”[16], talora in via frazionaria; chiameremo queste opere d’arte tokenizzate[17].
  2. La creazione di NFTs, unici e infungibili, non rappresentativi di una “sottostante” opera d’arte analogicao digitale ma di un’opera essa stessa “cripto” in via nativa; chiameremo queste cripto-opere d’arte (in senso stretto, quindi)[18].
  3. La creazione di tokens, finalizzati alla raccolta di capitali tramite ICOs destinate al “finanziamento” di progetti artistici (di natura imprenditoriale?) e variamente rappresentativi di diritti connessi a quei progetti: art-utility/security tokens.
  4. La creazione di NFTs, rappresentativi di una sottostante basket di investimenti in opere d’arte analogiche e/o digitali- cripto; chiameremo queste cripto-art fundunits[19].

Ai fini del presente lavoro non considereremo qui, invece, l’utilizzo della blockchain quale modalità di certificazione e autenticazione delle opere d’arte[20], ovvero quale strumento per la gestione dei diritti d’autore e dei diritti di sfruttamento delle opere d’arte; similmente, non ci soffermeremo sulle problematiche relative al diritto d’autore, ove applicato alla “cripto-arte”.

Nella generalità dei casi tali NFTs paiono poi offribili/negoziabili su mercati secondari c.d. “marketplaces on-line” specializzati, quali OpenSea, SuperRare, Nifty, Gateways, Rarible, Artory, Verisart, UNXD.

Da un punto di vista tecnologico, può essere sufficiente osservare con i NFT – rappresentazioni crittografiche caratterizzate tecnologicamente, rispetto alla maggioranza deitokens, dal tratto specifico della loro “unicita” e quindi “infungibilità” , “irripetibilità”, “irreplicabilità” e “indivisibilità” che ne consente e giustifica la loro “collezionabilità” e la creazione di un loro “mercato” secondario – possono essere “creati” (“emessi”) da chiunque utilizzando una blockchain che si avvalga della tecnologia Distributed Ledger Tecnology (DLT), tipicamente la blockchain Ethereum[21], (di tipo permissionless e decentralizzata) utilizzando protocolli e smart contracts standardizzati – i più noti, in questo specifico ambito, sono il “ERC-721 token standard” e il “ERC-1555 token standard” – normalmente col supporto tecnico di operatori specializzati che rilasciano i codici al pubblico (sotto forma di open source license), dopo averli “validati”. Il momento della “creazione” dei NFT (coincidente spesso con il momento del “collocamento”) avviene quindi direttamente sulla blockchain per impulso di “creatori” – normalmente detti founders/promoters o developers, o ora “artisti” – “pubblicizzandoli” poi attraverso internet o social media (Twitter, Reddit, Telegram, Slack etc.); una volta così creato i tokens e “messi in vendita” chiunque, worldwide, disponga di una connessione internet ha allora la possibilità di “acquistarli” – con un sistema d’asta o meno – facendolo trasferire e mantenendoli poi custoditi in appositi digital wallet. In sostanza si può descrivere il fenomeno in termini di una offerta/vendita/”collocamento” su scala mondiale e in maniera totalmente disintermediata (self-placed) che si svolge sulla (e si avvale della) piattaforma blockchain supportata da internet.[22]

4. L’analisi giuridica nella prospettiva civilistica e consumeristica

In una prospettiva civilistica e consumeristica occorre innanzitutto interrogarsi sulla natura degli NFT quali “opere d’arte” o “beni artistici”; nell’assenza di una definizione giuridica in senso generale di “arte”, il primario referente normativo deve individuarsi negli artt. 1 e 2 della Legge sul Diritto d’Autore, che appare dotato di sufficiente elasticità da ricomprendere ogni possibile evoluzione tecnologica, facendosi riferimento a qualsiasi “modo e forma” di espressione, salva la sua natura di “opera dell’ingegno di carattere creativo”; il significato specifico di quest’ultimo elemento – la “creatività” – risulta poi oggetto di una elaborazione giurisprudenziale e dottrinale nient’affatto unanime che si dipana tra i concetti di “riconoscibilità” e “fruibilità”.

Evidentemente non attiene all’ambito del presente lavoro indagare se e in che termini la cripto-arte, possa dirsi tale e dar luogo, allora, ad “opere d’arte”; quello di “arte” è un concetto per definizione “culturale”, “relativo” e “sociale”, mutevole nel tempo e nello spazio che si è emancipato definitivamente da ogni residuo aggancio ad un corpus mechanicum, come da tempo avvenuto prima con l’arte concettuale, poi con quella digitale e ora con quella “cripto”. Può però osservarsi come tale nuova dimensione “cripto”, più che intervenire sul processo creativo – che risulta comunque pur sempre riconducibile, nell’ambito delle arti figurative, al supporto materiale (analogico) ovvero a quello digitale, o anche solo all’elemento concettuale – pare piuttosto intervenire sulla dimensione relazionale, “sociale” dell’arte. La c.d. Expanded Internet Art, infatti, rendendo possibile e invocando – grazie all’adozione della tecnologia crittografica che consente la “creazione” dell’opera d’arte direttamente sulla rete, con caratteri di unicità e irripetibilità, in contropartita diretta con i fruitori/collezionisti/investitori, essendone poi esclusa la replicabilità e fungibilità e, invece, tipicamente prevista la “negoziabilità”[23] su appositi marketplaces – si prefigge di disintermediare totalmente il “mercato dell’arte” da mercanti, critici, musei, galleristi, collezionisti, case d’asta etc., replicando in questo ambito il mito anarcoide di una democratizzazione libera dal signoraggio dei middlemen, come già avvenuto in ambito finanziario con le criptovalute (mito che però, ad una attenta analisi, risulta spesso essere piuttosto una “leggenda metropolitana” dietro a cui – per lo meno sin qui, in questo stadio iniziale e totalmente deregulated del fenomeno – si nascondono tutta una serie di “nuovi intermediari” che lucrano generose, opache e incontrollate commissioni, se non vere e proprie truffe planetarie). Ma allora ci sarebbe da interrogarsi se in assenza di quel contesto “socialmente” affollato da tutta una serie di figure e ruoli che costituisce oggi (e da secoli) il “mondo (e mercato) dell’arte”, innanzi ad una asettica eprivata” relazione diretta “artista”-fruitore, possa ancora parlarsi di “arte”… ma come dicevamo queste riflessioni trascendono l’orizzonte di queste note. Certo, il problema impinge alla fine, però, anche nella sfera giuridica, sol che si pensi appunto alla disciplina del diritto d’autore o anche a quella tributaria.

In un secondo, connesso, momento occorre indagare, sempre in una prospettiva civilistica e consumeristica, la natura degli NFTs, quali “beni”[24] o “diritti”, “crediti” o addirittura “titoli di credito” – individuandone tratti e caratteri specifici – al fine di individuare la disciplina loro applicabile, con particolare riguardo al momento circolatorio e alla possibile applicazione ad essi di categorie giuridiche di vertice quali “proprietà”, “possesso”, “diritti”, “obbligazioni”.

Una tale dimensione analitica strettamente “interna”, strutturale del fenomeno, di tipo più classicamente civilistico, al fine di indagarne l’intimo contenuto in termini di posizioni giuridiche, (dominicali e/o obbligatorie), intercorrenti tra i soggetti (persone fisiche e imprese) che si muovono in esso [25], appare davvero complessa e, per questo, viene normalmente del tutto elusa o sottovalutata. Per poter dare un senso giuridico ad affermazioni che disinvoltamente fanno riferimento alla “proprietà” o al “possesso” o alla “compravendita” di un NFT, sia esso descrivibile come cripto-opera d’arte, (o opera d’arte tokenizzata) così come al godimento di “diritti” su quelle opere o in relazione al loro sfruttamento, (e poi, diritti azionabili nei confronti di quali dei molteplici soggetti coinvolti nel processo?), non potrà dunque prescindersi da una complessa analisi, da condurre caso per caso e di volta in volta, delle relazioni “interne” che descrivono le particolari modalità di emissione, detenzione, custodia, deposito, circolazione in relazione ai singoli NFTs esaminati, in virtù del modello di business di volta in volta adottato, seppur nell’ambito di macro-modelli oggi identificabili nelle piattaforme centralizzate (il che darà luogo a transazioni “off-chain” rispetto al circuito DLT), in quelle decentralizzate (il che darà luogo, invece, a transazioni “on-chain” rispetto al circuito DLT); talora in marketplaces on-line che forniscono servizi di tipo brokers/dealers, ovvero descrivibili in termini di “sistemi multilaterali di negoziazione”; altre volte in piattaforme che vedono necessariamente associati, con modalità tecniche varie, servizi di pagamento, regolamento, detenzione e “custodia” attraverso e-wallets, altre affidando tali servizi a soggetti esterni (c.d. wallet providers), dovendosi poi distinguere tra hot wallets e cold wallets, con le rilevantissime diverse conseguenze d’ordine giuridico che ne conseguono, in relazione ad uno dei profili più delicati di tutto il processo “cripto” che attiene alla possibilità di ricostruire in capo al “titolare”, una effettiva giuridica “disponibilità”, “tracciabilità”, “segregabilità” dei crypto-assets in essi “custoditi”.

Può iniziarsi col dire che il problema non pare qui essere di natura tecnologica. Può infatti sin d’ora assumersi per verificato che la tecnologia DLT risulti (perlomeno in via generale e di principio) funzionalmente più che adeguata ed anzi per molti versi sicuramente più efficiente, nel gestire la fase di creazione primaria (e poi le modalità di circolazione) di tali “cripto-attività”, nel rispetto delle esigenze di certezza giuridica tradizionalmente sottese alle tecniche di emissione e di circolazione tradizionali, con particolare riguardo alla soluzione delle classiche tematiche di c.d. “double spending”.

Certo, dalla analisi di alcuni dei casi oggi più noti sul (cripto-) mercato non pare affatto facile ricostruire quale sia il regime di circolazione applicabile a tali NFTs, e come esso possa poi essere interpretato e conciliarsi con le consuete categorie concettuali civilistiche; occorrerà ad esempio attentamente valutare la possibilità di considerare effettivamente un NFT alla stregua di un “bene” ex art 810 c.c., ovvero se non debba essere qualificabile in termini di fattispecie negoziale complessa, rappresentativa di crediti e diritti, ovvero – qualora descrivibile in termini di asset token (v. oltre) – quale “titolo di credito” (sub specie di nuove evoluzioni tecnologiche dei “titoli rappresentativi di merce” ex art 1996 c.c. o delle “fedi di deposito” ex artt. 1790 ss. c.c., potendosi allora anche ipotizzarsi violazioni di quelle che, ad oggi, per quanto obsolete, paiono rimanere “riserve di attività” anche penalmente sanzionate?[26]); si potrebbe allora giungere a sostenere che la circolazione dei NFTs sia emancipata dalla regola degli acquisti a titolo derivativo (in cui l’effetto acquisitivo deriva dalla titolarità del dante causa), a favore della regola di circolazione dei beni mobili sancita nell’art. 1994 cod. civ., legittimante l’acquisto a non domino per effetto di un possesso acquisito in buona fede? Molto spesso, poi il modello sottostante all’asset token (in particolare quelle che abbiamo detto “opere d’arte tokenizzate”)potrebbe comportare l’applicazione della disciplina civilistica della “comunione” ex artt. 1100 ss. c.c. (se non di quella tipica di veri e propri fenomeni di natura associativa!) ove si sia dato luogo al frazionamento del titolo di proprietà sull’opera sottostante[27].

Come anticipato, il problema non è qui tanto tecnico; il problema è eminentemente giuridico – civilistico e consumeristico – dovendoci interrogare sulla possibilità chela disciplina del centrale e delicatissimo momento della circolazione della ricchezza privata (oltreché del funzionamento del mercato dei capitali) possa essere interamente rimessa alla libera scelta, di natura “privatistica”, in ordine all’adozione di infrastrutture tecnico-negoziali di complessissima lettura e comprensibilità – peraltro generalmente rappresentate in maniera del tutto opaca, “criptica” (!) – rendendosi spesso impossibile verificare se l’infrastruttura di volta in volta adottata dagli emittenti (artisti/piattaforme) sia in grado di garantire quel che promette (la “proprietà” di un “bene artistico”?; il godimento di diritti e crediti verso l’”emittente”/ la “piattaforma”?) in sostanziale continuità concettuale e di effetti giuridici con i principi che reggono l’ordinamento civilistico. Da qui il rischio assai concreto che i modelli negoziali e le “pratiche commerciali” sottese ai modelli di business di molte piattaforme di cripto-arte, possano presentare molteplici profili di attrito se non di contrarietà alla legislazione consumeristica, potendo risultare per più versi “ingannevoli” o “scorrette”, quando non addirittura sfociare in vere e proprie frodi o truffe penalmente rilevanti.

5. L’analisi giuridica nella prospettiva di diritto dei mercati finanziari

In una prospettiva eminentemente regolamentare fintech, le “cripto-attività” – e così gli NTF – hanno mostrato di poter di volta in volta rilevare, a seconda dei molteplici modelli di business osservabili nelle piattaforme operanti sul web, talora come moneta “convenzionale”, più difficilmente come “mezzo di pagamento”, ora come “strumento finanziario”, “valore mobiliare”, “prodotto finanziario[28], potendo variamente venir a costituire oggetto di operazioni di detenzione, accumulazione, scambio, offerta (al pubblico), finanziamento, investimento, collezionismo etc.; è dunque prioritario interrogarsi innanzitutto sulla qualificazione giuridico-finanziaria di quella “cripto-attività”. In altra e connessa prospettiva, il fenomeno deve essere indagato con riguardo al regime di riserve e/o di obblighi comportamentali a cui debba essere sottoposta l’attività di chi intervenga variamente in quelle operazioni, in uno stadio di mercato primario (come “emittente”, “artista” ovvero prestatore/prenditore) o secondario, (come intermediario o prestatore di servizi, a seconda dei casi, di “investimento”, di “gestione”, di “pagamento”, di “consulenza”, di “raccolta ordini”, di “collocamento”, di “deposito e custodia” etc.); spesso in una inedita commistione di ruoli e/o funzioni, tipica del nuovo modello della condivisione (sharing economy).

La dimensione “finanziaria” del fenomeno cripto-arte[29] pare connaturata ad esso e intimamente commessa alla sua connaturata attitudine ad essere offerta e a circolare su c.d. “marketplaces”. Alla luce della dilagante diffusione planetaria di comportamenti economici – sempre più disintermediati, su scala tendenzialmente diffusa, atomistica, globale e non localizzabile geograficamente nei loro passaggi oltreché per loro natura esclusivamente rimessi alla dimensione immateriale e digitale, resi possibili e sempre più accessibili da chiunque (di qualsiasi età, background educativo e professionale) disponga, in qualunque parte del globo, anche solo di uno smartphone grazie alle evoluzioni delle tecnologie DLT e dalla rete internet – possiamo subito osservare come la connaturata evanescenza del fenomeno “arte” sembra capace di offrire un“nobile” alibi, una “copertura” ideale al tentativo di sottrarre ad ogni forma di regolazione[30] quelle che, perlomeno da un punto di vista “esterno”, non possono non essere descritte (anche?) come operazioni, più o meno opache, (talora evidentemente truffaldine) di raccolta diffusa di capitali che fanno leva su logiche di investimento e speculazione; la dimensione “artistica” – ammesso poi che questa vi sia e, comunque, nella crescente difficoltà di rintracciarne lo “specifico” , rispetto a quella (preponderante?) ingegneristica/informatica/crittografica, in relazione a fenomeni che sono ormai essenzialmente non solo concettuali, ma totalmente digitali e immateriali – sfuma spesso impercettibilmente sul fondo o rimane (al più) ancorata ad una fase “interna” di creazione della cripto-opera d’arte, senza che sia capace di assorbire o prevalere su quella citata dimensione “esterna” che, quindi, molto spesso, dovrà pur sempre guidare nell’analisi giuridica.

Nel momento in cui, dunque – in una fase storica che vede “i capitali” alla spasmodica ricerca di nuove asset class in cui investire per ottenere rendimenti che quelle tradizionali difficilmente riescono a riconoscere – anche le “opere d’arte”, al pari di altri “beni rifugio”, si pongono e si propongono vieppiù come occasione di “investimento” e quindi come asset class finanziaria particolarmente funzionale ad una logica di diversificazione del portafoglio, non possono non considerarsi attentamente le interrelazioni che possono determinarsi con il vigente ordinamento finanziario. Occorrerà considerare che ci si muove qui su un terreno che può risultare “minato” e sul quale pare tuttora prevalere da parte degli operatori una diffusa sottovalutazione dei rischi e delle responsabilità che l’adozione di prassi e modelli comportamentali magari tradizionalmente radicati nel settore, possono oggi presentare quando amplificate pubblicamente a dismisura sul web; prassi e modelli che dovranno quindi essere attentamente valutati alla luce dell’articolato sistema di “riserve di attività” e delle rigide indicazioni disciplinari che regolano oggi la materia finanziaria in tutte le sue dimensioni.

Passando ad analizzare i 4 modelli dibusiness sopra individuati nel par. 3., anche qui occorre ribadire come ogni analisi dovrebbe spingersi ad esaminare dettagliatamente di volta in volta l’intelaiatura tecnica e negoziale sottostante e intrinseca ad ogni piattaforma esaminata [31], risultando altrimenti del tutto velleitario – nella varietà dei modelli oggi osservabili, ciascuno dei quali può presentare profili giuridici e regolamentari del tutto peculiari – pretendere di sottoporre ad una valutazione unitaria il variegato fenomeno dei NFTs in quanto tale. Come noto, nella tassonomia invalsa nella letteratura specialistica, possono oggi distinguersi almeno tre principali tipologie in cui oggi i crypto-assets (e quindi anche i NFTs) possono essere classificati: le “criptovalute monetarie” (o tokenspayment-type”), gli “utility tokens” e i “security tokens” (asset tokens o investment-type tokens).

Ciò detto, possiamo allora osservare come quelle che abbiamo detto “opere d’arte tokenizzate” potrebbero talora essere qualificate in termini di asset token (categoria generalmente associata aisecurity/finanial tokens) potendo essere assimilabili a veri e propri “derivati”[32], più o meno “esotici”[33], con tutto ciò che può conseguirne in termini di potenziale applicabilità della disciplina sui servizi di investimento; E tale stessa conclusione – seppur meno immediata – potrebbe poi trarsi in relazione anche a quelle che abbiamo detto “cripto-opere d’arte” (in senso stretto), specie laddove queste risultino negoziate/negoziabili su market places che possano qualificarsi alla stregua di “trading venues” ai sensi MIFID II.La conclusione dovrebbe invece ritenersi pacifica per quelli che possano qualificarsi di per sé come art-security tokens”, in funzione dei loro tratti morfologici e funzionali essendo destinati al finanziamento di un progetto (imprenditoriale) artistico, a fronte dei quali l’”investitore” godrà di diritti (patrimoniali e/o amministrativi) di tipo “associativo”. In tal senso, dunque, possiamo innanzitutto concludere come l’”opera d’arte” nella sua dimensione “cripto” dei NFTs non pare sottrarsi, di per sé e automaticamente – come invece può dirsi in via generale per le opere d’arte tradizionali[34]- all’ampio raggio della disciplina dei “servizi di investimento”, ove questi possano ovviamente dirsi svolti “professionalmente” e “nei confronti del “pubblico”, come assai spesso potrà sostenersi.

Ma anche laddove i NFTs si possano ritenere sottratti a quell’ambito disciplinare – come potrebbe sostenersi di primo acchito in relazione agli art-utility tokens”[35], essi potranno spesso essere ricatturati nelle maglie dell’ordinamento attraverso la nozione, dai confini non sempre facilmente tracciabili, di “prodotto finanziario”, rendendo così applicabile – ove ne ricorrano le specifiche circostanze – la puntuale disciplina dell’”appello al pubblico risparmio” e dell’”offerta fuori sede”, anch’esse presidiate da severi apparati sanzionatori. L’art. 1, comma 1, lettera u) TUF definisce infatti la fattispecie dei “prodotti finanziari”, come quella in cui sono ricompresi, in un rapporto di species a genus, gli “strumenti finanziari”, oltreché «ogni altra forma di investimento di natura finanziaria».Si tratta di una definizione aperta che richiede, per poter essere delineata con precisione, di indagare in due direzioni: una volta individuati gli strumenti finanziari attraverso la definizione “chiusa” sopra riportata, occorrerà poi individuare le “altre forme di investimento di natura finanziaria” che completano la definizione “aperta” di “prodotti finanziari”. Lo stesso approccio è stato da tempo sottolineato dalla dottrina[36] è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione proprio in relazione a schemi negoziali aventi ad oggetto opere d’arte[37]. Le “altre forme di investimento di natura finanziaria” ricomprendono dunque, secondo la consolidata elaborazione della giurisprudenza e della dottrina specialistica, tutte quelle forme di impiego di un capitale nell’aspettativa di un rendimento il cui conseguimento non risulti influenzabile in modo decisivo dall’investitore e che comportino l’assunzione di un rischio di natura finanziaria; in tale definizione si deve quindi far rientrare ogni strumento, comunque denominato, che sia rappresentativo dell’impiego di un capitale.

Conformemente, la prassi interpretativa della CONSOB ha enucleato ormai in maniera consolidata quali caratteristiche tipiche dell’”investimento di natura finanziaria” i seguenti elementi: (i) l’impiego di capitale; (ii) l’aspettativa di un rendimento e (iii) il rischio connesso[38]. La casistica presa in esame dai provvedimenti CONSOB nell’applicazione di quella griglia ermeneutica è ampia. Si possono segnalare le seguenti fattispecie, cui l’Autorità di vigilanza ha attribuito, in diverse occasioni, la “qualifica” di prodotti finanziari offerti al pubblico, assoggettandole alla relativa disciplina: “portafogli di investimento” in criptovalute[39]; “pacchetti di estrazione di criptovalute” mediante sito internet[40]; ICO ditokens da ritenersi diretta a investitori italiani[41].

Alla luce della risalente elaborazione svolta dalla Consob[42] e della giurisprudenza, può dunque ritenersi che tutte le volte in cui (e solo se) ai modelli operativi e agli schemi negoziali di base che possono riscontrarsi sulle piattaforme di crypto-art e nel contenuto dei relativi NFTs, risultino associati più complessi o articolati schemi negoziali, quali tipicamente promesse di rendimento, obblighi di riacquisto, promesse di realizzazione di profitti ovvero vincoli al godimento del bene, potrà allora aversi un “prodotto finanziario” con ciò che ne consegue in termini di disciplina, nei termini sopra accennati, tutte le volte in cui si proceda ad offrirlo al “pubblico”, come qui tipicamente può tipicamente riscontrarsi essendo ciò consustanziale alla natura del fenomeno.

Per finire, il modello sottostante ai NFTs riconducibili a “cripto-art fund units potrebbe essere effettivamente ricondotto allo schema tipico degli “OICR”, atteso che tra i vari “beni” in cui il patrimonio di un OICR può essere, inter alia, investito – ciò emerge sin dalla definizione di OICR che si legge nell’art. 1, comma 1, lett. k) del TUF, come poi meglio specificata nell’art. 4, comma 1, lett. f) del Regolamento MEF di cui al D.M. 5-3-2015, n. 30, attuativo dell’art. 30 del TUF, «concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) italiani”– sono esplicitamente menzionati “altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale”, quali possono ben ritenersi, in via generale, anche “opere” o “beni” “d’arte”. Rinviando alla puntuale analisi già efficacemente svolta dalla dottrina specialistica che per prima si è occupata dell’argomento, può condividersi la conclusione in base alla quale – ai fini qui considerati – un “mercato dell’arte” possa certamente ritenersi esistente ed essere ricondotto alla classica nozione che di esso è fornita dalla letteratura economica[43]; affermazioni che paiono oggi quanto mai estendibili ai NFTs, attesa la loro tipica negoziabilità su appositi marketplaces, capace di garantire i requisiti di valorizzazione periodica.

Ciò detto – e solo ad esito di una attenta verifica della sussistenza di tutti i molteplici, qualificanti, tratti caratterizzanti il fenomeno della “gestione collettiva del risparmio”[44]- potrebbe talora giungersi alla conclusione di trovarsi effettivamente innanzi ad un OICR, con tutto ciò che ne conseguirebbe.

Ove poi, la piattaforma in questione possa qualificarsi quale art fund costituito in altre giurisdizioni, europee e extraeuropee[45], la possibilità di procedere alla commercializzazione in Italia delle sue units, in forma di NFTs, passa allora attraverso il rispetto della articolata e complessa disciplina di cui agli artt. 43 e 44. del TUF, a seconda che essi siano fondi “riservati” o “non riservati”. A seconda, poi, della loro qualificabilità quali “Fia UE”, di “Fia non UE”, di “Fia UE gestito da GEFIA UE”, ovvero di “Fia UE gestito da GEFIA non UE” si applicherà una disciplina più o meno “invasiva”, sia con riguardo alla procedura “autorizzativa” della commercializzazione sul territorio italiano (v. artt. 23 ss. del Regolamento Emittenti), sia con riguardo alle norme comportamentali di trasparenza e correttezza in capo ai gestori che procederanno alla commercializzazione (v. art. 107 Regolamento Intermediari).

Infine, con riferimento a tutte le tipologie di NTFs sopra viste, estrema cautela dovrà poi comunque adottarsi nella comunicazione e nelle modalità di offerta degli NFTs “con finalità di investimento”, affinché esse non risultino comunque ingannevoli e omissive e /o non si incorra in altre pratiche commerciali scorrette o in altre violazioni del Codice del Consumo, con particolare riguardo alla “commercializzazione a distanza” di servizi finanziari.

 


[1] Nel presente scritto daremo per noti i tratti qualificanti delle tecnologie “blockchain” e “DLT” e della loro applicazione in relazione alla emissione (creazione) di “cripto-attività”, “tokens”, negoziati su appositi “market places”, e/o offerti per mezzo di “ICOs”; per un approfondimento di tali nozioni e dei fenomeni sottostanti può rinviarsi per tutti aF. Annunziata, Speak, If You Can: What Are You? An Alternative Approach to the Qualification of Tokens and Initial Coin Offerings, in Bocconi Legal Studies Research Paper No. 2636561, Febbraio 2019; Id., Distributed Ledger Technology e mercato finanziario: le prime posizioni dell’ESMA, in M.T. Paracampo(a cura di), FinTech, Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017, p. 229 ss; N. de Luca, Documentazione crittografica e circolazione della ricchezza assente, in Riv. dir. civ., 2020, 101; M. de Mari, Prime ipotesi per una disciplina italiana delle Initial Token Offerings (ITOs): token crowdfunding e sistemi di scambio di crypto-asset, in Orizzonti del diritto commerciale, 2019, 267 ss; P. Carrière, The Italian Regulatory Approach to Crypto-Assets and the Utility Tokens’ ICOs, luglio 2019. BAFFI CAREFIN Centre Research Paper No. 2019-113, in SSRN; Id., Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, in Rivista di Diritto Bancario, n. 2/2019, di cui riprendo qui alcuni passaggi e spunti relativi all’impostazione generale e metodologica da adottare nell’analisi del fenomeno.

[2] Solo per citare il caso più eclatante, l’opera Everydays: the first 5,000 Days, del cripto-artista Mike Winkelmann, noto come Beeple, è stata battuta nel marzo scorsa dalla casa d’aste Christie’s di Londra per 69 milioni di dollari, collocando l’artista sul podio dei più pagati artisti di sempre dopo Jeff Koons e David Hockney.

[3] Cfr. New York Times, 30 marzo 2021, “Art’s NFT Question: Next Frontier In Trading, or a New Form of Tulip?’.

[4] Rinvio per approfondimenti a P. Carrière, L’”opera d’arte” nell’ordinamento finanziario italiano, in Banca, Impresa, Società, 2018, 511.

[5] Pur potendosi esse talora costituire “prodotti finanziari”, con tutto ciò che ne consegue.

[6] «Sarà una rivoluzione. Gli NFT, i token non fungibili, rappresentano un’assoluta svolta per gli artisti contemporanei. La Crypto Art di cui fanno parte sarà l’argomento caldo dei prossimi anni. Con un volume di vendite stimato nell’ordine dei 2,5 miliardi di dollari (nel solo primo semestre del 2021), si tratta di un mercato in evoluzione, ancora da esplorare, dove gli artisti possono interagire e immettere senza mediazioni i loro lavori sul mercato e i collezionisti, attraverso piattaforme di Blockchain, arrivano in pochi click alle opere d’arte digitali che ritengono più interessanti. Il tutto tramite criptovalute». Così poteva leggersi in M. Lovison, “Così creiamo opere digitali uniche e irripetibili”, in Sette. Corriere della Sera del 23 luglio 2021.

[7] Rinvio qui ai miei precedenti lavori relativi al diritto dell’arte (P. Carrière, L’”opera d’arte” nell’ordinamento finanziario italiano,cit.) e alla analisi della dimensione cripto dei fenomeni finanziari (P. Carrière, Il fenomeno delle cripto-attività (cripto-assets) in una prospettiva societaria, in Banca, Impresa, Società, 2020, 461), da cui attingerò ampiamente, incrociando qui utilmente, mutatis mutandis, molti dei profili analitici colà già approfonditi.

[8] Nel numero del 23 luglio 2021 del settimanale “Sette” del Corriere della Sera, dedicato alla “cripto-arte” – pur omettendosi comprensibilmente qualunque accenno alle problematiche tecnico-giuridiche qui indagate – si poteva leggere quanto segue: «La copertina di 7 di questa settimana è un NFT di Skygolpe (che è possibile visualizzare e se volete, comprare, tramite il QR code che trovate nella pagina precedente)» (evidenze aggiunte).

[9] Non pare poter qui rilevare la nozione di “beni culturali” ex art. 1, d. lgs. 29 ottobre 1999, n.490, peraltro difficilmente concepibile in relazione a beni “immateriali”. Si consideri, infine, come le opere d’arte non rientrino nel novero degli “oggetti preziosi” ai sensi e per gli effetti dell’art. 127 del T.U.L.P.S.

[10] Rinvio in particolare a P. Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, in Rivista di Diritto Bancario, n. 2/2019, di cui riprendo qui alcuni passaggi e spunti introduttivi, relativi all’impostazione generale e metodologica al tema.

[11] In relazione alla nuova dimensione fintech, sottolinea invece l’esigenza di adottare un approccio analitico che vada oltre le consolidate categorie concettuali si rinvia a E. Macchiavello, La problematica regolazione del lending-based crowfunding in Italia, in Banca Borsa e Titoli, I, p. 74 e p. 96. Per un’impostazione generale dell’inedito approccio analitico richiesto dal fenomeno fintech vedi M.T. Paracampo,cit.

[12] Certo, la nuova dimensione digitale e tipicamente transnazionale del fenomeno in esame – per quanto leggibile all’interno dei paradigmi classici – suscita problemi di regolamentazione spesso del tutto particolari e, qui si, inediti, richiedendo approcci tecnologici innovativi e sovranazionali; è però un problema di strumenti di intervento e regolazione oggi riconducibili alle nozioni di RegTech e SupTech.

[13] Da questo punto di vista, l’unica nuova “dimensione” effettivamente osservabile in questi fenomeni appare quella della natura “collaborativa” e condivisa (shared) dei modelli di business adottati tipicamente in queste piattaforme digitali; fenomeno che più che creare nuove “funzioni” e “ruoli” dell’agire economico e giuridico da sottoporre a disciplina, determina una loro confusione/sovrapposizione che non rende sempre facile distinguere, ad es., tra chi su queste piattaforme rivesta il ruolo di utente, di intermediario o di emittente. Lo stesso schema di partecipazione “condivisa” tra gli utenti ad un progetto artistico (imprenditoriale?), tipico del modello di business di qualche piattaforma, potrebbe allora far pensare alla emergenza di un fenomeno latamente societario, potendosi allora porre un problema di compatibilità di questi schemi con il principio di “tipicità” sancito nel nostro ordinamento dall’art. 2249. c.c. Con la locuzione “collaborative economy” ci si riferisce ai «business models where activities are facilitated by collaborative platforms that create an open duals»: cfr. Commissione Europea, A European agenda for the collaborative economy (Communication) COM (2016) 3556 final, p. 2-3.

[14] La definizione normativa del fenomeno non può infatti che limitarsi a descriverlo in questi termini generali e “plurali”:, in base a cui le «“tecnologie basate su registri distribuiti”: [sono] le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili». Cfr. c.d. Decreto Semplificazioni (decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135).

[15] Per l’impostazione di tali profili a cui qui possiamo solo accennare, rinvio a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, in Diritto Bancario online, maggio 2019; Id., The Italian Regulatory Approach to Crypto-Assets and the Utility Tokens’ ICOs, cit.; Id., Initial Coin Offerings (ICOs): “le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività” vis-a-vis “les offres au public de jetons”. Italia-Francia, due approcci regolatori a confronto, in Diritto Bancario online, gennaio 2020; Id. Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano, Dirittobancario on-line, ottobre 2020.

[16] Questa, dunque, non di per sé unica e irreplicabile, trovandosi “depositata su un file digitale non “cripto”, spesso sullo spazio di archiviazione IPFS.

[17] Si veda il caso della piattaforma MAECENAS con riferimento a sottostanti opere “fisiche”. Parrebbe questo il caso anche del Tondo Doni tokenizzato nel maggio 2021 dagli Uffizi, con finalità fund rising; con il relativo Digital Art Work una versione digitale dell’opera di Michelangelo è stata resa “unica” grazie a un sistema crittografato che ne impedisce la manomissione e la replicazione, tramite un NFT che ne certifica la proprietà venduto ad un collezionista per 140 mila euro.

[18] Vale la pena di osservare come una tale ipotesi, per quanto tecnicamente plausibile, appare oggi assai complessa e costosa ed estremamente energivora.

[19] Ad es. la piattaforma METAPURSE.

[20] Anche ex art. 64 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In relazione ad un utilizzo di certificazione, v. ad es. la piattaforma ART RIGHTS.

[21] Altre piattaforme sono TRON, EOS e FLOW BLOCKCHAIN.

[22] Per una compiuta descrizione dei profili “tecnici” di “emissione” di tokens, e per la diversità del modello ICO da quello del crowdfunding, rimando a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, in Diritto Bancario online, cit.

[23] Da intendersi, come noto, in senso lato, non riferita cioè alla esistenza di un “mercato regolamentato”, in tal senso, per tutti, v. F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2014 p. 85.

[24] Il tema è quello della riconducibilità delle cripto-attività nell’ambito della nozione civilistica di “bene” ex art. 810 c.c.; per una qualificazione in tal senso delle criptovalute nella primissima giurisprudenza che se n’è occupata, v. il caso della criptovaluta “Nano” e del fallimento della piattaforma “Bitgrail”, sopra citato nella precedente nota. Per una tale prospettiva “proprietaria”, cfr. D. Mills, K. Wang, B. Malone, A. Ravi, J. Marquardt, C. Chen, A. Badev, T. Brezinski, L. Fahy, K. Liao, V. Kargenian, M. Ellithorpe, W. Ng, eM. Baird, Distributed ledger technology in payments, clearing, and Settlement, in Finance and Economics Discussion Serie Divisions of Research & Statistics and Monetary Affairs Federal Reserve Board, Washington, D.C.2016-095, cit., p.12.; L. Muller, S.D. Meyer, C. Gschwend, P. Henschel, Conceptual Framework for Legal &Risk Assessment of Blockchain Crypto Property (BCP), in https://www.mme.ch/fileadmin/files/documents/180501_BCP_Framework_for_Assessment_of_Crypto_Tokens_-_Block_2.pdf.

[25] Per una prospettiva della complessità, mutevolezza e difficile standardizzazione dei modelli operativi adottati, cfr. L. Muller, S.D. Meyer, C. Gschwend, P. Henschel, cit..

[26] V. disciplina dei magazzini generali e delle “fedi di deposito”.

[27] Nella piattaforma MAECENAS, ad es., si parla di certificati rappresentativi della proprietà frazionaria dell’opera fisica sottostante, depositata in appositi depositi.

[28] Che, come noto, costituiscono le categorie concettuali di base del diritto dei mercati finanziari, costituenti ciascuna un sottoinsieme logico di un’altra, a partire da quella più inclusiva dei “prodotti finanziari” a quella intermedia degli “strumenti finanziari”, a quella più circoscritta dei “valori mobiliari”.

[29] Secondo l’Art Basel Global Market Report 2021, il mercato globale dei servizi dell’arte vale attorno ai 20 miliardi di dollari; il mercato degli scambi sopra i 50 miliardi di dollari. La “finanziarizzazione” dell’arte appare ormai un dato acquisito.

[30] Come sin qui già avvenuto spesso trincerandosi dietro la categoria degli utility tokens, per sfuggire a quella assai più “compromettente dei “security tokens”.

[31] «Hundreds of crypto-assets have been issued since Bitcoin was launched in 2009. There are more than 2,050 crypto-assets outstanding representing a total market capitalisation of around EUR 110bn as of end-December 2018 – down from a peak of over EUR 700bn in January 2018.9 Bitcoin represents just over half of the total reported value of market capitalisation, with the top five crypto-assets representing around 75% of the reported market capitalisation». Così’ può leggersi in ESMA, Advice on Initial Coin Offering and Crypto-Assets, 9 gennaio 2019, par. 18.

[32] Categoria caratterizzata da una estrema variabilità e versatilità concettuale: v. F. Annunziata, (diretto da), Il testo unico della finanza. Un bilancio dopo 15 anni, Egea, Milano, 2015, 7 e, in questo specifico ambito con riguardo ai tokens, Id. Speak, If You Can: What Are You? An Alternative Approach to the Qualification of Tokens and Initial Coin Offerings, cit., p 40.

[33] Non pare qui utilizzabile la categoria dei “derivati su merce”, attesa la natura infungibile della opera “fisica” (ma anche “digitale”?) sottostante, e l’assenza, almeno tendenzialmente, della possibilità di “consegna”.

[34] L’ambito normativo specifico che occorre qui indagare è costituito qui dal Titolo II della Parte II del TUF, “Servizi e attività di investimento” e dalle connesse disposizioni di cui al Regolamento Intermediari; disciplina da intendersi limitata, sotto un profilo oggettivo – ai sensi dell’art. 1, comma 5, TUF – ai soli «servizi di investimento che abbiano ad oggetto gli strumenti finanziari» come definiti dall’art. 1, comma 2, TUF, che rinvia alla Sezione C dell’Allegato I. Come evidente dall’esame del ricco novero di ciò che oggi deve ritenersi “strumento finanziario” nel nostro ordinamento, i beni riconducibili alle nozioni di “opere” o “beni d’arte” (quadri, sculture, etc.) non paiono neppure lontanamente considerati dalla categoria giuridica in questione.

[35] Nella neutra e di generale accettazione descrizione di questa tipologia di tokens, quale fattane da ESMA, trattasi di quei token che conferiscono al loro detentore una qualche utilità in termini di utilizzo/consumo/acquisto di beni e/o servizi resi dalla piattaforma stessa[35] (o dal suo “ecosistema”), e non invece per pagare beni e/o servizi esterni (rientrandosi altrimenti nella categoria dei token payment-type),

[36] Per tutti cfr. R. Lener, Gli strumenti finanziari, in Id. (a cura di), Diritto del mercato finanziario, Saggi, Mi-To, 2011, 64.

[37] V. Cass. civ. Sez. II, 12-03-2018, n. 5911, avverso il decreto n. 4027/2014 della Corte d’appello di Napoli, depositato il 29 agosto 2014.

[38] L’orientamento della CONSOB in tal senso è costante, cfr. già nelle delibere 13 febbraio 2004 n. 14422, 10 dicembre 2003 n. 14347, 3 giugno 2003 n. 14110, 22 gennaio 2002 n. 13423, e le comunicazioni 19 dicembre 2003 n. DEM/3082035 e 12 aprile 2001 n. DEM/1027182.

[39] Delibera del 6 dicembre 2017 n. 2007.

[40] Delibera 20 aprile 2017 n. 19968.

[41] Delibere maggio 2021, n. 21853 e 21854.

[42] Da ultimo si veda il warning emesso in data 15 luglio 2021 in relazione all’operatività delle società del “gruppo Binance” in “derivatives” e “Stock Token”.

[43] Così F. Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, in Riv. Dir. Civ., 2007, 372.393; in argomento si veda altresì, S. Segnalini, Art funds e gestione collettiva del risparmio, Torino, 2016, 45 ss.

[44] Su cui per tutti può rinviarsi a F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, cit.

[45] Per un’ampia rassegna delle principali esperienze nel mercato internazionale, vedi, P. Fandella, Lo sviluppo dei fondi in arte come opportunità di diversificazione del portafoglio di investimento, in Rivista Bancaria – Minerva Bancaria, n. 2-3/2018, p. 112.

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Paolo Carrière, Legal Counsel, CBA; Academic Fellow, Università Bocconi

Il quadro normativo in materia di cripto-attività definito dal Decreto Fintech, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 maggio 2023, e dal Regolamento MICAR, adottato in via definitiva dal Consiglio UE lo scorso 16 maggio 2023.
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