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IVA non dovuta: tra effettività dei diritti e salvaguardia dei principi europei

22 Giugno 2021

Irene Pellecchia, Counsel, Giovanni Monte, Senior Associate, Alessandra Campana, Associate, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione

Una questione attuale e di particolare interesse per gli operatori economici riguarda la possibilità e le modalità con cui poter porre rimedio ai casi di applicazione dell’IVA non dovuta.

L’ordinamento tributario ha sempre previsto dei meccanismi per recuperare l’imposta erroneamente assolta ma questi, in passato, si sono rivelati inadeguati allo scopo e, addirittura, fortemente penalizzanti per i contribuenti.

Per questo, anche sulla spinta europea, il legislatore ha apportato diverse modifiche al sistema, giungendo anche a risultati lodevoli che, tuttavia, come si vedrà, sono stati di fatto neutralizzati dagli interventi ermeneutici della Corte di Cassazione e che, a parere di chi scrive, piuttosto che adeguare la disciplina interna al diritto comunitario, finiscono con il discostarsene.

2. Il previgente sistema in materia di IVA erroneamente applicata e la procedura di infrazione EU Pilot 9164/17/TAXU

Secondo la disciplina precedente all’entrata in vigore del “nuovo” comma 6 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997, in caso di IVA erroneamente applicata o applicata in misura superiore a quella dovuta, era consentito: al cedente/prestatore, di detrarre l’imposta erroneamente assolta attraverso la procedura prevista dall’art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972, ovvero registrando la fattura anche nel registro acquisti; al cessionario/committente, laddove avesse già annotato la fattura nel registro acquisti, di registrare la variazione come se si trattasse di una vendita.

Ciò, tuttavia, era possibile nel limitato termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione, decorso il quale sarebbe stato possibile solo presentare istanza di rimborso ai sensi dell’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, entro due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Il sistema sopra delineato presentava diversi aspetti critici[1].

In primo luogo, essendo il termine di due anni per la presentazione dell’istanza di rimborso evidentemente molto più breve rispetto al termine decadenziale per l’esercizio dell’attività accertativa da parte dell’Agenzia delle entrate, ben poteva accadere che al momento dell’accertamento dell’indebita detrazione operata dal cessionario/committente il biennio fosse già decorso. Conseguentemente, il cessionario/committente avrebbe astrattamente potuto richiedere, entro l’ordinario termine di prescrizione decennale[2], il rimborso dell’IVA indebitamente assolta al proprio cedente/prestatore, il quale ultimo, tuttavia, non avrebbe più potuto recuperare tale imposta dall’Erario per decorso del termine ex art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992.

In secondo luogo, il suddetto sistema, oltre a non consentire al cessionario/committente la detrazione dell’imposta erroneamente applicata, prevedeva altresì l’irrogazione in capo allo stesso delle sanzioni proporzionali per infedele dichiarazione IVA e indebita detrazione.

La Corte di Giustizia UE[3], investita dalla Corte di Cassazione della questione pregiudiziale afferente alla compatibilità del meccanismo sopra delineato con i principi di derivazione comunitaria che governano la materia, ha affermato, da un lato, che “il principio di effettività non osta ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell’indebito che prevede un termine di prescrizione per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, esercitata dal committente di servizi nei confronti del prestatore di tali servizi, soggetto passivo dell’IVA, più lungo rispetto al termine di decadenza previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, esercitata da detto prestatore nei confronti dell’amministrazione finanziaria, purché tale soggetto passivo possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti della predetta amministrazione”; dall’altro, che “Quest’ultima condizione non è soddisfatta qualora l’applicazione di una normativa siffatta abbia la conseguenza di privare completamente il soggetto passivo del diritto di ottenere dall’amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA non dovuta che egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi”.

In altre parole, secondo tale Corte, sebbene in termini generali risulti conforme al principio di effettività la previsione di un diverso termine in favore del cedente/prestatore (due anni), rispetto a quello concesso al cessionario/committente (dieci anni), per avanzare la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta, un simile “disallineamento” non può essere tale da rendere di fatto impossibile o eccessivamente difficoltoso il rimborso in favore del primo.

Nel dare attuazione alla pronuncia sopra riportata, i Giudici del rinvio, tuttavia, nella nota sentenza n. 12666 del 20 luglio 2012, hanno interpretato i principi ivi enunciati in maniera assai più restrittiva[4], giungendo ad affermare che il rimborso oltre il termine di due anni dal versamento dell’IVA erroneamente addebitata in via di rivalsa da parte del cedente/prestatore debba essere subordinato all’esistenza di un provvedimento coattivo (i.e., una sentenza del giudice civile) di rimborso in favore del cessionario/committente, restando, invece, preclusa la possibilità di avanzare istanza di rimborso una volta trascorso il termine biennale dalla data di versamento nei casi di adempimento spontaneo[5].

La Commissione europea, però, non ha avallato una simile interpretazione ritenendo, invero, non coerente con i principi di effettività e proporzionalità subordinare il rimborso dell’IVA indebitamente assolta all’esistenza di un provvedimento coattivo, ottenuto, peraltro, dal cessionario/committente. Per tale ragione, attraverso la procedura di infrazione EU Pilot 9164/17/TAXU, la stessa ha sollecitato un intervento da parte del legislatore nazionale destinato a contemperare l’esigenza di tutela delle finanze erariali con la necessità di garantire al cedente/prestatore la possibilità di esercitare il diritto di rimborso in maniera meno difficoltosa.

3. L’introduzione dell’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972

Le istanze europee hanno trovato accoglimento nella L. 20 novembre 2017, n. 167, il cui art. 8, ha introdotto all’interno del D.P.R. n. 633/1972 l’art. 30-ter, volto a disciplinare la “restituzione” dell’imposta non dovuta.

La scelta terminologica effettuata dal legislatore nazionale (“restituzione” in luogo di “rimborso”) non è affatto casuale, ma volta a sottolineare la specialità delle ipotesi rientranti in tale disposizione rispetto a quelle che possono dare luogo al rimborso c.d. ordinario di cui all’art. 30 del medesimo Decreto. Pertanto, mentre quest’ultimo ha ad oggetto l’eccedenza di IVA formatasi per l’effetto del fisiologico meccanismo di applicazione del tributo[6], il “rimborso speciale” in commento riguarderà quell’eccedenza di imposta che non è dipesa dall’applicazione di tale meccanismo e che prescinde dalle evidenze dei dati indicati in dichiarazione. A titolo esemplificativo, ci si riferisce a quell’IVA originata da un assoggettamento ad imposta di operazioni esenti, non imponibili o escluse o, anche, derivante dall’applicazione di un’aliquota in misura maggiore a quella applicabile ad una specifica operazione imponibile.

Venendo ora alle previsioni recate dal richiamato art. 30-ter, questo, al comma 1, riproduce la disposizione di carattere generale di cui all’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992[7], stabilendo che il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’IVA non dovuta entro il termine di due anni dalla data del versamento della stessa ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, precisando espressamente la natura decadenziale di tale termine.

Sotto il profilo operativo, resta comunque ferma in capo al cedente/prestatore la piena alternatività della scelta di chiedere il rimborso dell’IVA anziché emettere la nota di variazione prevista in via meramente facoltativa dall’art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972, ove ne ricorrano i presupposti[8].

Ma la vera “novità” riconducibile alla disposizione in commento deriva dall’introduzione della specifica norma contenuta al successivo comma 2, il quale prevede che: “Nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”.

Dalla lettura del comma sopra riportato emerge con chiarezza l’intento del legislatore di neutralizzare gli effetti negativi che si producevano in capo al cedente/prestatore nel regime previgente all’introduzione dell’art. 30-ter.

Invero, in forza dell’introduzione normativa, viene chiaramente riconosciuta, anche nei casi di rimborso spontaneo al proprio cessionario/committente, la possibilità per il cedente/prestatore di domandare all’Erario la restituzione dell’imposta non dovuta oltre il termine biennale. Tale possibilità peraltro si considera legittima solo laddove sia intervenuto un accertamento definitivo dell’Amministrazione finanziaria[9].

In questo caso, dunque, il dies a quo per la domanda di restituzione non coinciderà più con la data del versamento dell’IVA non dovuta, bensì con quella in cui è avvenuta la restituzione al cessionario/committente dell’imposta a lui addebitata in fattura in via di rivalsa[10].

La descritta disciplina, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 30-ter in esame, non potrà però trovare applicazione e l’imposta non potrà essere restituita qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale. Autorevole dottrina[11], al riguardo, ha tuttavia osservato che l’esclusione in parola non risulti pienamente conforme a quell’orientamento consolidato della Corte di Giustizia che ammette la possibilità di rettificare l’IVA a debito, pur versando in un contesto fraudolento, purché sia stato eliminato qualsiasi rischio di perdita fiscale.

4. Le modifiche all’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997

Poco dopo aver introdotto la descritta disciplina del “rimborso speciale” o “anomalo” dell’IVA non dovuta in favore del cedente/prestatore, il legislatore è intervenuto sulla disciplina applicabile – specularmente – al cessionario/committente che ha subìto l’errata applicazione dell’imposta in via di rivalsa.

Con la Legge di bilancio 2018[12], infatti, è stato modificato il comma 6 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997 e, dunque, il regime sanzionatorio applicabile al predetto cessionario/committente, prevedendo testualmente che “In caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione (…)”, quest’ultimo “è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro”, anziché in misura proporzionale come previsto in precedenza, salvo che il versamento non sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

Per effetto delle modifiche apportate è venuta meno la possibilità di irrogare non solo la sanzione per illegittima detrazione nella misura proporzionale del 90% ma, essendo stato mantenuto fermo il diritto alla detrazione, non risulta più irrogabile neppure la sanzione (sempre proporzionale) per infedele dichiarazione IVA. Ovviamente, e a ragion veduta, resta in ogni caso fermo che, se il cessionario/committente esercita il diritto alla detrazione, egli non potrà poi agire nei confronti dell’Erario per conseguire il rimborso di quanto indebitamente versato al cedente/prestatore, e neppure potrà agire nei confronti di quest’ultimo attraverso l’azione di indebito oggettivo[13].

Ebbene, dalla lettura della norma, come risultante dalle modifiche apportate, emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di voler dare piena attuazione ai principi di neutralità ed effettività cui l’intero sistema dell’IVA risulta informato[14].

Peraltro, nella misura in cui l’imposta è stata comunque assolta dal cedente/prestatore, la scelta di mantenere fermo il diritto alla detrazione in capo al cessionario/committente non determina la realizzazione di alcun danno per l’Erario e, in aggiunta, essa configura una modalità più rapida ed efficiente di ripristino della neutralità rispetto alle ulteriori soluzioni offerte dall’ordinamento[15].

5. L’ambito applicativo dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. 471/1997

L’entrata in vigore della norma ha fatto sorgere sin da subito due problemi di diversa natura e, in particolare: (i) se la disposizione dovesse ritenersi retroattiva non solo con riferimento alla sanzione irrogabile in misura più favorevole rispetto al passato (in ragione del principio del favor rei)[16] ma anche con riferimento alla possibilità di esercitare il diritto alla detrazione; e (ii) se facendo riferimento all’applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, l’ambito oggettivo di applicazione della norma ricomprenda non solo i casi di applicazione dell’IVA con aliquota maggiore a quella dovuta, ma anche i casi di applicazione dell’IVA ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette.

Con riferimento alla prima delle due questioni, si segnala che la soluzione è stata resa direttamente dal legislatore, in seguito all’affermarsi di un orientamento in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il principio del favor rei non sarebbe applicabile anche con riferimento alla detrazione dell’imposta, poiché la modifica introdotta all’art. 6, comma 6 citato avrebbe valenza innovativa e non interpretativa[17]. Tale posizione assunta della Corte di Cassazione è stata però fortemente criticata in dottrina[18] e, successivamente, la relativa questione è stata risolta in via definitiva dal legislatore[19], il quale ne ha riconosciuto l’applicabilità anche anteriormente all’entrata in vigore della modifica normativa.

La questione invero ancora aperta riguarda l’ambito oggettivo di applicazione del nuovo comma 6, dell’art. 6 citato.

La criticità è ulteriormente aggravata dalla interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione nei suoi più recenti arresti giurisprudenziali.

L’unanimità della dottrina[20] e, a ben vedere, anche la prassi[21], sin da subito hanno espresso l’opinione per cui la previsione normativa esplica i suoi effetti non solo in caso di IVA applicata in misura superiore a quella dovuta, ma anche ai casi di imposta applicata in relazione ad operazioni esenti, non imponibili o, addirittura, escluse.

I Giudici di legittimità, invece, si sono rivelati di diverso avviso. Nella sentenza n. 24289 del 3 novembre 2020 essi hanno infatti ritenuto che “come chiaramente si evince dal tenore letterale della richiamata disposizione, [essa, n.d.r.] trova applicazione solo in relazione alle operazioni imponibili, allorquando sia stata corrisposta l’IVA in base ad un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta”.

Per giungere a tale opinabile conclusione, la Corte di Cassazione ha innanzitutto ribadito il principio espresso dalla giurisprudenza unitaria secondo cui la detrazione spetta per l’IVA versata in relazione ad operazioni soggette ad IVA[22]; in secondo luogo, ha richiamato i propri precedenti che hanno recepito l’orientamento unitario[23], esteso anche ai casi di operazioni imponibili in cui l’IVA è stata corrisposta in misura maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta, con conseguente disconoscimento del diritto alla detrazione dell’importo non dovuto[24].

Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità è tornata ad occuparsi dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 con la sentenza n. 10439 del 21 aprile 2021 la Corte di Cassazione ha ulteriormente ristretto l’ambito applicativo della norma ritenendo che, fermo restando che essa fa riferimento ai soli casi di aliquota erroneamente applicata, la detrazione è limitata alla sola imposta dovuta.

In maggior dettaglio, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che le modifiche all’articolo sopra richiamato si siano limitate a modificare il regime sanzionatorio applicabile ai casi di indebita detrazione, per cui l’inciso “fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 e seguenti” deve essere considerato un mero riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA nei limiti di quanto effettivamente dovuto, senza che invece sia consentito detrarre l’imposta versata nel suo intero ammontare, laddove non dovuta in tutto o in parte. Questa sarebbe, quindi, la corretta interpretazione dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 alla luce della normativa europea così come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, secondo la quale, come si è detto, la detrazione deve essere limitata all’imposta effettivamente dovuta, non potendosi estendere a quella indebitamente versata a monte[25].

6. Le criticità a valle degli interventi interpretativi resi dalla Corte di Cassazione

Facendo applicazione dei suesposti principi, dunque, l’efficacia dell’intervento legislativo ne risulta fortemente compromesso.

Così argomentando, infatti, decorso il termine per procedere con la variazione ex art. 26, del D.P.R. n. 633/1972, l’IVA non dovuta risulta recuperabile esclusivamente attraverso l’attivazione, da parte del cedente/prestatore, della più lunga, meno immediata e più onerosa procedura prevista dall’art. 30-ter, del D.P.R. n. 633/1972.

È evidente che una simile conclusione contrasta con l’obiettivo indicato in sede comunitaria e fatto proprio dal legislatore nazionale, contrasto che si sarebbe potuto evitare attraverso una diversa lettura della natura dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997.

Come osservato da attenta dottrina[26], le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione sono evidentemente il frutto dell’attribuzione di una natura sostanziale alla disposizione in commento e, conseguentemente, di un’interpretazione eccessivamente formalistica della locuzione “detrazione” ivi recata.

Invero, partendo proprio da tale ultimo aspetto, sembra più conforme alle intenzioni perseguite dal legislatore e alla funzione stessa dell’art. 6, comma 6, di cui si discute, considerare la “detrazione” ivi prevista alla stregua di un mero meccanismo di riallineamento ex post del rapporto credito/debito di imposta con l’Erario, alla stregua della procedura ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972[27].

In merito, invece, alla natura della norma, questa, alla luce di quanto poc’anzi detto e della sua stretta correlazione con l’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972, appare invero procedurale, essendo rivolta ad evitare proprio il ricorso al meccanismo previsto da quest’ultimo (che, come si è detto, a valle degli interventi della Corte di Cassazione appare inevitabile).

La qualificazione in chiave procedurale delle disposizioni contenute all’interno dell’art. 6, comma 6, consentirebbe, per molti versi, di ricondurre “a sistema” il riconoscimento della “detraibilità” (melius, restituzione) dell’IVA non dovuta, quale rimedio estremo per ripristinare la necessaria simmetria dell’imposta, nell’ipotesi in cui gli ordinari strumenti di tutela delle differenti posizioni di debito/credito verso l’Erario non siano più azionabili. Così riguardata, la norma risulterebbe maggiormente in linea con le indicazioni della Corte di Giustizia UE[28] sull’obbligo, per gli Stati membri, di neutralizzare il peso delle rettifiche condotte ai fini IVA nelle ipotesi in cui sia stata positivamente esclusa la sussistenza di danni per l’Erario.

Alle osservazioni sin qui formulate, non si può non aggiungere che l’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 presenta delle evidenti analogie con le analoghe disposizioni recate dai successivi commi 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3, recanti le ipotesi di violazione del regime del reverse charge.

In specie, proprio il comma 9-bis3 prevede che in caso di applicazione del meccanismo del reverse charge ad operazioni non imponibili, esenti o escluse, non vi sono conseguenze né sotto il profilo del diritto alla detrazione né sotto il profilo sanzionatorio[29].

A ciò si aggiunga che, come osservato in dottrina[30], tali ultime disposizioni non hanno determinato alcuna censura da parte della Commissione europea.

Così ricondotto a sistema, l’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 risulta conforme alla libertà concessa al legislatore nazionale di prevedere strumenti al fine di consentire il recupero dell’imposta indebitamente fatturata e salvaguardare i principi di neutralità, proporzionalità ed effettività della stessa.

 

 


[1] Assonime, Circolare del 31 maggio 2018, n. 12.

[2] Artt. 2033 e 2946 c.c..

[3] CGUE, sentenza 15 dicembre 2011, causa C-427/10 Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A..

[4] M. Peirolo, IVA non dovuta: dies a quo “mobile” per la domanda di rimborso, in Quotidiano IPSOA, 30 ottobre 2017, ha osservato al riguardo che se il cedente/prestatore “ha provveduto al relativo rimborso, in modo spontaneo o coattivo, avrà diritto – anche oltre il termine biennale di decadenza (…) – ad essere reintegrato dall’Amministrazione finanziaria; in caso contrario, l’Erario trarrebbe un indebito arricchimento a danno del fornitore, sul quale finirebbe per gravare il tributo con una evidente violazione del principio di neutralità”.

[5] Cfr. anche il Dossier n. 498/3 del Senato della Repubblica, Legislatura 17ª.

[6] Cfr. L. Salvini, IVA non dovuta: una nuova disciplina poco meditata, in Corr. Trib., 21, 2018, pag. 1607 e ss.

[7] Ai sensi del quale “La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.

[8] Cfr., ex multis, Cass., 3 marzo 2017, n. 5403; Id., 11 maggio 2012, n. 7330;Id., 21 aprile 2006, n. 9437/2006; Id., 2 marzo 2005, n. 4416; Id., 9 marzo 2005, n. 5094/2005; Id., 6 febbraio 2004, n. 2274.

[9] Cfr. Assonime, Circolare cit., pag. 12; per approfondire il tema del riferimento contenuto nella norma in esame all’esistenza di un accertamento definitivo anziché a quella di un provvedimento coattivo dell’autorità giudiziaria, si rinvia a L. Salvini, op. cit..

[10] M. Peirolo, op. cit..

[11] In questo senso, cfr. L. Salvini, IVA non dovuta: una nuova disciplina poco meditata, cit., in cui l’Autrice sottolinea altresì la poca coerenza del legislatore, il quale, a seguito di opportune modifiche normative alla disciplina sanzionatoria applicabile in caso di errata applicazione dell’imposta secondo il meccanismo del reverse charge, “ha previsto la neutralità delle operazioni alle quali sia siata applicata indebitamente l’inversione contabile, anche se inesistenti”.

[12] Art. 1, comma 935, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205.

[13] Cfr. Assonime, Circolare cit., pag. 13.

[14] Cfr. M. Fanni, L’indebita detrazione IVA dopo la Legge europea 2017 e la Legge di bilancio 2018, in Corr. Trib., 4, 2018, pag. 249; M. Basilavecchia, La detrazione IVA tra forma e sostanza, in Corr. Trib., 1, 2019, pag. 35.

[15] Parte della dottrina, pur avendo riconosciuto che la modifica in commento abbia avuto l’effetto di semplificare, nell’insieme, le procedure altrimenti applicabili in caso di IVA non dovuta, ha tuttavia ravvisato la contrarietà della disposizione al sistema dell’IVA delineato dalla Direttiva 2006/112/CE e dalle relative pronunce della Corte di Giustizia, in questo senso, cfr. L. Salvini, op. cit.; riflessioni su questo aspetto sono state altresì formulate da A. Parolini, Detrazione IVA indebita tra vincoli UE e interpretazione alternativa “europeisticamente” orientata – Il Commento, in Corr. Trib., 2, 2021, pag. 145 e ss.

[16] Art. 3, comma 3, del D.Lgs. 472/1997.

[17] Cass., 3 ottobre 2018, n. 24001.

[18] P. Centore, Rivalsa ex post e neutralità dell’imposta: un’endiadi inscindibile, in Corr. Trib., 3, 2019, pagg. 242 e ss.

[19] Art. 6, comma 3-bis, D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (c.d.”Decreto Crescita”).

[20] Tra i vari l’Assonime, Circolare cit.; M. Fanni, L’indebita detrazione IVA dopo la Legge europea 2017 e la Legge di bilancio 2018, in Corr. Trib., 4, 2018, pag. 249; M. Sirri – R. Zavatta, I confini della detrazione dell’IVA non dovuta, in Corr. Trib., 17, 2018, p. 1328, P. Centore, La detrazione dell’IVA non dovuta cerca chiarimenti dalle Entrate, in Quotidiano IPSOA, 26 settembre 2018.

[21] Cfr. Comando Generale della Guardia di Finanza, Circolare 13 aprile 2018, prot. n. 114153, Allegato 2, pag. 22.

[22] In motivazione, i Supremi Giudici richiamano le sentenze della CGUE 13 dicembre 1989, causa C-342/87, Genius Holding; 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & amp, CofrethAG & amp, Co.KG, Cofreth e Strobel; 6 novembre 2003, cause riunite C-78/02, C-79/02 e C-80/02, Karageorgou e altri; 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH.

[23] Sempre nelle motivazioni della pronuncia in rassegna si richiamano Cass., 17 giugno 2013, n. 15068; Id., 26 maggio 2009, n. 12146; Id., 16 luglio 2003, n. 11110; Id., 5 giugno 2003, n. 8959; Id., 26 marzo 2003, n. 4419; Id., 2 settembre 2002, n. 12756; Id., 27 giugno 2001, n. 8786.

[24] In tal caso, specifica comunque la Suprema Corte, la mancata attivazione della procedura ex art 26 del D.P.R. n. 633/1972 comporterebbe il venir meno il diritto del contribuente a recuperare il credito mediante detrazione, salva la possibilità per il medesimo di presentare istanza di rimborso della maggiore imposta indebitamente versata.

[25] Sul punto, la Corte di Cassazione, nella sentenza da ultimo commentata, cita CGUE, 10 luglio 2019, Kursu Zeme; Id., 21 febbraio 2018, Kreuzmayr; Id., 14 giugno 2017, Compass Contract Services; Id., 26 aprile 2017, Farkas.

[26] A. Parolini, op. cit.; M. Fanni, Indetraibilità dell’IVA indebitamente applicata ad operazione non imponibile, in GT – Riv. Giur. Trib., 1, 2021, pag. 13 e ss.

[27] Infatti, non si può sottacere che anche tale norma fa riferimento, appunto, alla “detrazione”, sebbene non nella sua accezione tecnica.

[28] Cfr. CGUE, 8 maggio 2019, causa C-712/17, EN.SA S.r.l.;

[29] Su tale aspetto, si veda la puntuale e attenta analisi svolta da M. Sirri – R. Zavatta, op. cit., secondo i quali la modifica all’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997, si collocherebbe in continuazione con gli interventi in materia di reverse charge, completandone la disciplina per i casi in cui l’errore nell’applicazione dell’IVA non riguarda operazioni esenti, non imponibili o escluse in regime di reverse charge, bensì le medesime operazioni in regime ordinario.

[30] P. Centore, Detrazione dell’IVA non dovuta: una scelta di serietà, in Corr. Trib., 30, 2018 pagg. 2307 e ss.

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