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Crisi d’impresa ed intervento pubblico: linee operative propedeutiche

12 Maggio 2021

Maurizio Irrera, Professore Ordinario di diritto commerciale, Università degli Studi di Torino; Presidente del Centro Crisi

Di cosa si parla in questo articolo

Nel corso della prima ondata pandemica il Governo italiano – similmente a quello di numerosi altri Paesi – è intervenuto per garantire liquidità alle imprese ed ai lavoratori autonomi sotto forma di prestiti garantiti – in vario modo – dallo Stato.

Nel contempo – come è noto – è stata accordata una moratoria dei mutui e dei leasing via via prorogata e tutt’ora in corso.

Queste misure hanno fornito certamente ossigeno al sistema anche se il rischio, pur se in corso, che la qualità del credito possa consistentemente deteriorarsi è molto elevato.

I riflessi della pandemia sulla redditività e sull’indebitamento delle imprese – come ha osservato di recente la Banca d’Italia[1]– sono molto ampi, ma anche eterogenei. Sono elevati – in tale contesto, prosegue Banca d’Italia – i rischi derivanti da un aumento della vulnerabilità delle impese, specialmente nei comparti più colpiti dalla pandemia.

Come lucidamente osservato dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel suo discorso al Senato dello scorso 17 febbraio “il Governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”.

In tale quadro occorrerà procedere ad un’attenta valutazione delle imprese da sostenere; valutazione che non potrà ruotare in base all’allarme sociale provocata dall’ampiezza delle riduzioni di personale, ma dovrà privilegiare quelle imprese che hanno concrete prospettive di risanamento.

Le pagine che seguono, messe a punto dal Centro Crisi, insieme con i propri collaboratori[2], mirano a tradurre in un percorso operativo i passi che occorre compiere per selezionare le imprese eleggibili ad un sostegno mirato.

Premessa metodologica

Ogni qualvolta ci si trova per la prima volta ad esaminare le condizioni di un’impresa in difficoltà occorre mettere in atto un processo strutturato che consenta di formulare un percorso di ristrutturazione condivisibile e specialmente realizzabile nei fatti. Normalmente l’intervento può essere suddiviso in due fasi principali: la Fase I che riguarda la “comprensione” dell’impresa e la Fase II in cui, alla luce delle evidenze emerse nel corso della Fase I, viene formulata un’ipotesi di ristrutturazione.

Di seguito vengono descritti, per entrambe le fasi, i principali ambiti di intervento[3].

Fase I – La“comprensione” dell’impresa in crisi

Comprensione delle cause della crisi

Si tratta di un passaggio fondamentale ed indispensabile per poter impostare l’intervento di risanamento dell’azienda. Una errata comprensione delle cause della crisi porterebbe quasi certamente alla stesura di un piano di ripresa errato che probabilmente non darebbe i risultati attesi. Tale fase si attiva sia mediante la realizzazione di interviste con gli amministratori ed il management al fine di acquisire un quadro il più ampio possibile, sia mediante l’analisi dei dati storici e di consuntivo disponibili sia a livello di bilancio, sia sul piano (più approfondito e dettagliato) di reportistica messa a disposizione dal controllo di gestione, ove disponibile.

Analisi del mercato e della concorrenza

Si tratta di uno dei nodi centrali per comprendere se un’azienda in crisi ha delle concrete possibilità di ritornare ad una situazione di generazione di profitto o se, invece, è inevitabilmente destinata alla totale cessazione dell’attività. Di seguito, senza pretesa di esaustività, vista la complessità del tema si riporta un breve elenco dei principali elementi che possono essere considerati in questa fase:

  • analisi dell’andamento dell’economia nei paesi in cui opera o semplicemente commercializza i suoi prodotti la società;
  • analisi dei mercati specifici in cui opera la società. In questa fase è particolarmente utile fare ricorso a proiezioni di enti indipendenti specializzati del settore qualora disponibili;
  • studio dei dati storici e dei trend prospettici dei mercati di riferimento sia con riferimento ai prezzi medi di vendita che alle quantità vendute;
  • analisi della concorrenza per prodotto e per mercato;
  • analisi del posizionamento della società e dei suoi prodotti nei mercati di riferimento;
  • analisi dei nuovi trend di mercato.
L’elenco sopra riportato non esaurisce, com’è naturale, tutte le verifiche da effettuare, ma offre – con buon grado di approssimazione – una lista dei principali controlli ed analisi da eseguire per comprendere se l’impresa ha buone chance di mantenere e/o ricuperare le proprie quote di mercato. Dall’esame potrebbero, inoltre, emergere utili indicazioni per formulare le opportune proiezioni di vendita in coerenza con le informazioni disponibili. In alcuni casi inoltre dall’esame potrebbero emergere utili indicazioni circa l’opportunità o no di continuare ad operare in alcuni mercati o continuare a commercializzare determinati prodotti per i quali si prevede, per esempio, una forte contrazione della domanda.

Prodotto

Un’analisi del prodotto commercializzato dall’impresa è fondamentale per rendersi conto del posizionamento nel mercato della stessa. Un prodotto obsoleto o nella fase già matura riduce di gran lunga le possibilità dell’azienda di poter recuperare la marginalità e le quote di mercato perse con la crisi. Il raffronto con i prodotti dei concorrenti è fondamentale, così come fondamentale è l’analisi dei bisogni soddisfatti dai prodotti dell’azienda. Deve inoltre essere valutata la capacità dell’impresa di innovare il prodotto anche mediante lo sviluppo di nuovi brevetti. Tipicamente le società con una bassa capacità di innovazione del prodotto sono solitamente soggette ad una più facile erosione sia delle quote di mercato sia dei margini industriali di produzione.

Stato degli impianti produttivi

Un’impresa in crisi normalmente ha macchinari e impianti produttivi che necessitano di up grade tecnologici e di manutenzioni straordinarie verosimilmente non effettuate negli anni precedenti a causa della crisi aziendale. Nel corso dell’intervento si rende necessario comprendere l’entità degli investimenti necessari unitamente all’urgenza degli stessi. Impianti poco efficienti, che necessitano di frequenti fermi macchina o non hanno caratteristiche di produttività allineate alla concorrenza, costituiranno inevitabilmente un serio ostacolo per la realizzazione di un’operazione di ristrutturazione della società.

Analisi della struttura societaria

L’esame della struttura societaria consente di acquisire familiarità con la società ed il gruppo di appartenenza e consente di individuare i decisori finali (spesso anche azionisti di maggioranza) nonché gli organi deputati al controllo. Non è raro, specialmente in gruppi di dimensioni medio/grandi, doversi confrontare con un quadro più complesso della compagine azionaria, formato da holding di partecipazioni e da sub-holding, anche di diritto estero, che controllano a loro volta le società di produzione o di distribuzione dei prodotti. In questi casi, è molto importante ricostruire con minuzia la catena di controllo individuando, caso per caso, le ragioni che hanno portato alla costituzione di holding e altre società anche estere. Normalmente le motivazioni che portano alla costituzione di tali gruppi rientrano nelle seguenti cinque macro categorie:

  • società costituite per ottemperare a particolari vincoli legislativi locali (specialmente per società extra UE);
  • società costituite congiuntamente ad altri partner funzionali alla crescita aziendale o del gruppo;
  • società costituite per motivi di approccio commerciale al mercato;
  • società costituite per trarre vantaggio da particolari benefici in termini di costi produttivi;
  • società costituite per esigenze di pianificazione fiscale.

La comprensione del gruppogramma è una fase delicata del processo di analisi in quanto, da un lato, bisogna mantenere per quanto possibile inalterati gli equilibri gestionali e, dall’altro, spesso si rende anche necessario procedere ad una semplificazione di tali strutture in quanto non generano valore per gli azionisti, ma viceversa, a causa dei costi di gestione delle stesse, talvolta non proprio contenuti, contribuiscono a “bruciare cassa”.

Organigramma ed analisi del management

Si tratta di un esame mirato a valutare l’adeguatezza della struttura organizzativa alle esigenze della società e la competenza del management, in particolar modo dei primi livelli, nella prospettiva di una possibile ipotesi di ristrutturazione. Non è raro che durante l’esame di tali profili emerga chiaramente l’esigenza per l’azienda di dotarsi di professionalità adeguate in aggiunta o in sostituzione di quelle esistenti.

Analisi del conto economico

L’attività concerne l’analisi dei principali componenti di costi e ricavi che compongo il conto economico della società degli ultimi 3 esercizi. L’analisi viene eseguita sia mediante il calcolo e l’utilizzo dei principali indici previsti dalla tecnica contabile, sia mediante il raffronto con gli indicatori della concorrenza sia ancora ricorrendo all’analisi diretta di talune voci che possono essere peculiari della società presa in esame. Normalmente le voci oggetto di verifica sono:

  • volume ed analisi della struttura dei ricavi;
  • contratti in essere e portafoglio ordini;
  • analisi dei costi di produzione e benchmark con la concorrenza;
  • analisi dei margini per prodotto/commessa;
  • analisi dei costi per il personale;
  • analisi dei costi fissi;
  • analisi degli altri costi di gestione.

Analisi dello stato patrimoniale

L’attività riguarda l’analisi delle principali voci che compongono lo stato patrimoniale della societàdegli ultimi 3 esercizi. Come per il conto economico l’analisi viene eseguita sia mediante il calcolo e l’utilizzo dei principali indici previsti dalla tecnica contabile, sia mediante il raffronto con gli indicatori della concorrenza sia ancora ricorrendo all’esame di talune voci particolari. Nella pratica le voci oggetto di verifica sono:

  • analisi della struttura patrimoniale della società;
  • analisi del prospetto fonti e impieghi;
  • analisi del ciclo finanziario;
  • analisi del magazzino e della sua valorizzazione;
  • analisi dei crediti e determinazione del fondo svalutazione;
  • analisi dei debiti verso fornitori;
  • analisi dei debiti fiscali e contributivi;
  • analisi della composizione dei debiti verso dipendenti;
  • analisi della posizione finanziaria netta.
L’ampiezza delle verifiche da svolgere va valutata caso per caso ed è in gran parte dipendente dalle dimensioni della società. Per esempio, società di medie e grandi dimensioni implicano un livello di complessità molto più elevato rispetto a società medio piccole. Inoltre, si segnala che è ormai prassi diffusa, per l’esame degli aspetti di natura fiscale e contributiva, avvalersi dell’intervento di professionisti specializzati in grado di analizzare in forma dettagliata la posizione societaria.

Fase II – La ristrutturazione ed il piano industriale

Alla luce di tutte le attività svolte nella Fase I, occorre interrogarsi se sia possibile procedere ad una ristrutturazione della società. Tralasciando gli esempi di scuola in cui è facile individuare un percorso da seguire, normalmente è molto complesso maturare la decisione. Oltre agli elementi già segnalati, quali il mercato, il prodotto, la produzione ed il management, ai fini alla decisione sono presi in considerazione talvolta alcuni altri elementi non individuabili aprioristicamente, quali, ad esempio, l’età anagrafica dei soci, la loro concreta volontà di investire ulteriore “risorse” nell’impresa, la disponibilità di chi la guida a eseguire la ristrutturazione per un dato arco temporale ovvero, l’attitudine a “farsi da parte” quando, per molteplici motivi, si rende necessario un cambio di management. La presenza di eredi degli attuali soci in grado, in un futuro di medio periodo, di affiancare o sostituire l’attuale vertice aziendale normalmente costituisce un ulteriore elemento di valutazione. Non deve, inoltre, essere trascurata la capacità dell’azienda di attrarre candidature di manager competenti e capaci a ricoprire ruoli di rilievo in azienda. Infine, un’attenta valutazione deve essere eseguita con riferimento all’atteggiamento atteso del sistema creditizio nei confronti della società in fase di ristrutturazione, in quanto normalmente le ristrutturazioni possono essere eseguite anche con il sostegno finanziario del ceto bancario.

La valutazione di tutti gli elementi a disposizione comporta, come si è visto, la formulazione di un giudizio finale sulla fattibilità dell’operazione di ristrutturazione, intesa come l’esistenza di tutte le condizioni necessarie affinché sia possibile successivamente realizzare nei fatti quanto previsto dal piano industriale di ristrutturazione dell’impresa. Deve essere sottolineato che, in alcuni casi, indirizzare un’azienda verso una soluzione di ristrutturazione, anziché verso una soluzione liquidatoria implica che, qualora la ristrutturazione si dimostrasse impossibile da eseguire sul piano fattuale, potrebbero venir meno le risorse finanziare per portare a termine un processo di liquidazione, lasciando come unica alternativa alla società il fallimento.

Una volta verificata la sussistenza delle condizioni di base per procedere ad una ristrutturazione, è necessario procedere alla stesura di un piano industriale in cui siano esplicitate tutte le fasi e le modalità della ristrutturazione prevista. Di seguito vengono fornite indicazioni sugli aspetti maggiormente rilevanti che devono essere presi in considerazione nella stesura di un piano industriale di ristrutturazione.

Il cash burning

La situazione di crisi di un’azienda normalmente si manifesta con l’impossibilità di far fronte ai pagamenti correnti con le risorse finanziarie derivanti dall’attività caratteristica: in pratica, un’azienda in difficoltà “brucia cassa” e cioè produce meno cassa rispetto a quanta sarebbe necessaria per far fronte al pagamento delle obbligazioni assunte. Il persistere di una situazione di cash burning porta nel giro di 18 – 24 mesi ad un punto di “non ritorno” in il cui il debito contratto con i vari soggetti (fornitori, banche, Stato) non può essere ripagato attraverso la normale operatività aziendale. I fattori che generano una situazione di cash burning sono molteplici, si va dalla classica situazione in cui una società realizza perdite e pertanto consuma risorse finanziarie, a situazioni più complesse in cui subentrano considerazioni relative alla modalità di ricorso all’indebitamento con gli istituti di credito (ad esempio investimenti finanziati attraverso esposizioni di breve termine) ovvero situazioni di sovraindebitamento in cui la società viene “caricata” con un indebitamento che risulta già al momento della sua assunzione non ripagabile, o ancora a nuovi investimenti in attività complementari o per diversificazione effettuati completamente con capitale di rischio di terzi, le cui previsioni si sono rivelate palesemente errate. Orbene, prima di procedere ad identificare gli interventi da attuare ai fini della ristrutturazione è assolutamente indispensabile identificare e sterilizzare gli elementi che in azienda generano una situazione di cash burning. La mancata identificazione e sterilizzazione di tali cause genera di norma la non fattibilità del piano industriale ipotizzato.

Le previsioni di vendita

Il driver della ristrutturazione è normalmente costituito da una previsione prudente ed attendibile delle previsioni di vendita sia in termini di quantità, sia in termini di prezzi unitari. Tale attività è il nodo focale di qualsiasi operazione di ristrutturazione ed è, a tutti gli effetti, il tema più delicato da affrontare: si pensi, per esempio, che dalle previsioni relative ai ricavi discendono a cascata le previsioni relative agli approvvigionamenti di materie prime e alla necessità di ricorrere a servizi esterni di lavorazione, nonché il corretto dimensionamento degli organici aziendali di produzione. Come sarà esplicitato nel prosieguo, spesso vengono eseguiti stress test per verificare la tenuta del piano di ristrutturazione anche in presenza di un decremento dei ricavi ipotizzati, sia in termini di volumi che di prezzo unitario. E’ buona prassi, qualora possibile, corroborare le previsioni di vendita con studi specifici di mercato effettuati da soggetti terzi indipendenti quali le associazioni di settore che sono normalmente una fonte attendibile di informazione.

L’assetto di produzione ottimale: il dimensionamento degli impianti e della forza lavoro

Sulla base dei volumi di vendita previsti è effettuata l’analisi della capacità produttiva aziendale. Da tale analisi normalmente emergono anche i fabbisogni per il rinnovo e/o la manutenzione degli impianti esistenti. In alcuni casi, dove i costi di produzione risultano più elevati rispetto all’offerta di mercato, si rende anche necessario procedere all’analisi nota come “make or buy” per la realizzazione di parte delle lavorazioni o per l’acquisto di semilavorati all’esterno. Nella maggioranza dei casi, si riscontra un eccesso di capacità produttiva rispetto ai volumi previsti di vendita.

Per quanto riguarda il dimensionamento degli organici di produzione, si procede normalmente a ricavare dalle previsioni dei ricavi il numero di pezzi che la società deve produrre. A partire da questo dato, attraverso il controllo di gestione, si determina quindi la necessità teorica standard di ore di manodopera, da cui, dividendo per il numero di ore annuali di lavoro di una risorsa, si ricava l’FTE (Full Time Equivalent), vale a dire la quantità di risorse umane occorrenti per la produzione prevista. Spesso, dalla procedura sopra riportata emerge la necessità di una riduzione degli organici in funzione dei volumi di vendita previsti. Infatti, spesso l’eccesso di organico risulta essere una delle cause ricorrenti che genera situazioni di crisi.

Le materie prime e la gestione di magazzino

L’approvvigionamento di materie prime è normalmente un tema delicato, in quanto la società in crisi da un lato ha maturato un notevole debito nei confronti dei fornitori di materie prime e, dall’altro ha bisogno che gli stessi continuino a consegnare il materiale. Spesso, in tali circostanze, i fornitori smettono di applicare i prezzi di mercato, facendo pagare alla società una sorta di “premio” per coprirsi dal rischio default del loro cliente. Il piano industriale non può prescindere dalla valutazione di tali elementi e deve proporre soluzioni percorribili (se non in alcuni casi già formalizzate) che garantiscano la continuità delle forniture a condizioni di mercato che siano quantomeno accettabili e profittevoli per la società.

Per quanto riguarda il magazzino, particolare attenzione deve essere posta sulle scorte necessarie in funzione dei volumi produttivi previsti e dei tempi di riordino. Si evidenzia che una non corretta gestione del magazzino comporta un incremento del capitale circolante con un conseguente assorbimento di finanza.

Gli altri costi di gestione e di costi generali

Avendo come riferimento le previsioni relative ai ricavi anche gli altri costi di gestione ed i costigenerali devono essere dimensionati in relazione all’attività prevista. Devono essere evitate tutte le operazioni che non creano valore per l’impresa.

Gli interventi che consento il ritorno “in bonis”dell’impresa

La formulazione puntuale di tutti gli interventi previsti, sia per riportare in una situazione di profittabilità la società, sia per far fronte al pagamento di tutti o parte dei debiti pregressi, costituisce il cuore dell’intervento di ristrutturazione. In sintesi, gli interventi prevedibili possono essere suddivisi in almeno quattro macrocategorie:

  • interventi volti a generare una situazione di profittabilità dell’azienda con conseguente generazione di cassa (free cash flow);
  • interventi di stralcio, consolidamento, dilazionamento dei debiti pregressi[4];
  • interventi di dismissione di attivi non necessari all’attività caratteristica;
  • interventi di finanziamento o di rifinanziamento della società, anche attraverso linee di finanza agevolata, se non – anche– almeno in parte a fondo perduto.

Con riferimento ai primi, di cui si è già detto, in questa sede preme evidenziare che un’impresa correttamente dimensionata e gestita, in presenza di un prodotto che ha una richiesta di mercato, a valori normali, genera quasi inevitabilmente un profitto ed un conseguente free cash flow.

Per quanto riguarda i secondi occorre rilevare che gli stessi sono funzionalmente dipendenti da duegrandezze: da un lato, il free cash flow che l’impresa, una volta ristrutturata, è in grado di produrreannualmente; dall’altro, il fattore tempo, cioè il numero di anni in cui si prevede di vincolare il freecash flow generato dalla società al ripagamento totale o parziale dei debiti contratti[5]. Si segnala,inoltre, che nella pratica recente, in presenza di indebitamenti molto elevati, si stanno diffondendosoluzioni che prevedono strumenti partecipativi del rischio imprenditoriale, quali per esempio latrasformazione di parte dei debiti in capitale della società ristrutturata o in obbligazioni, in alcuni casianche convertibili. Si tratta di strumenti a cui si può ricorrere in coerenza, ad esempio, con politiche pubbliche ad hoc.

Con riguardo agli interventi volti alla dismissione di attivi non necessari allo svolgimento dell’attività caratteristica si deve sottolineare come, qualora il ricavato non sia funzionale direttamente al finanziamento dell’attività caratteristica, esso può ridurre l’entità degli stralci o dei consolidamenti che devono essere effettuati nei confronti dei debiti contratti dalla società.

Infine, l’ultima macrocategoria riguarda il finanziamento della società da parte della compagine sociale e/o da parte del ceto bancario. A tal proposito, si evidenzia che la mancata concessione della c.d. “nuova finanza” da parte del ceto bancario può costituire un serio ostacolo alla fattibilità del piano di ristrutturazione, che vedrebbe quindi negato l’accesso al mercato del credito.

La forma tecnica della ristrutturazione

La normativa in vigore delinea una serie di strumenti giuridici attraverso cui effettuare la ristrutturazione di una società. La scelta dello strumento normativo più adatto dipende da una serie di fattori sia oggettivi (entità del debito, necessità di realizzare stralci o solo consolidamenti, necessità e misura della nuova finanza richiesta), sia soggettivi (credibilità del management, credibilità del progetto di ristrutturazione, percezione del settore in cui opera la società, etc.).

Gli stress test

La redazione degli stress test aiuta a valutare il “grado di tenuta” di un piano di ristrutturazione inrelazione al mutamento di alcune assumption utilizzate per la sua redazione. Nella pratica, si richiedeche un buon piano di ristrutturazione sia in grado far fronte agli impegni di pagamento dei debiti siain presenza di variazioni negative dei prezzi unitari medi e delle quantità di vendita previste, sia inpresenza di incrementi dei prezzi medi unitari di acquisto delle materie prime o del costo personaleipotizzati. Non esistono regole fisse che indicano quali siano le assumption su cui effettuare gli stresstest e quali siano le percentuali da utilizzare. La loro identificazione è lasciata alla sensibilità di chiredige il piano di ristrutturazione ed all’Attestatore che deve garantire la fattibilità del piano di ristrutturazione.

A completamento delle considerazioni svolte, di seguito vengono riportate alcune riflessioni circa i tempi previsti per la realizzazione di ciascuna Fase.

In primo luogo, va subito evidenziato che i tempi richiesti per l’analisi e la strutturazione di un’operazione di risanamento dipendono molto dalle dimensioni e dalla complessità dell’impresa presa in esame. L’esame di una società multiprodotto, che opera sia nel mercato domestico, sia nei mercati internazionali richiede, com’è lecito attendersi, tempi più lunghi rispetto ad una società monoprodotto che opera esclusivamente sul mercato nazionale.

Ciò nonostante, in via del tutto esemplificativa, è comunque possibile tentare di individuare delle tempistiche standard per il compimento di ciascuna delle due Fasi indicate più sopra.

Avendo riguardo alla Fase I, in presenza di una società di dimensioni medie (con circa 35 milioni di fatturato) che opera sia nel mercato domestico, sia in mercati UE, si può ipotizzare che siano necessari tra i 10 ed i 15 giorni di lavoro da parte di un team composto da 3 risorse esperte. Più nel dettaglio, la prima parte della Fase I, che riguarda l’esecuzione delle analisi, richiede di norma tra i 7 e 10 giorni lavorativi. Tuttavia, la modularità dell’intervento previsto nella Fase I, potrebbe indurre a pensare che aumentando il numero dei componenti del team, sia possibile ottenere una riduzione dei tempi dell’intervento in questa Fase. Tale ultima affermazione non sempre corrisponde alla realtà dei fatti. Sicuramente infatti un incremento di risorse esperte può contribuire, in talune circostanze, a ridurre le tempistiche delle analisi svolte, ma non deve essere dimenticato che i risultati delle analisi devono essere valutati nella loro unitarietà ed essere legati da un fil rouge che consenta una valutazione critica complessiva dei risultati delle singole analisi e permetta di ipotizzare un percorso di ristrutturazione. Pertanto, la strutturazione di tale ultima sottofase, che segue quella di analisi, indipendentemente dal numero di risorse disponibili, viene normalmente svolta in un arco temporale compreso tra i 3 e i 5 giorni lavorativi.

Quanto alla Fase II, la formulazione a priori di tempistiche è più complessa. Infatti, numerosi sono i fattori da tenere in considerazione ai fini della valutazione del lasso temporale che la predisposizione del piano di risanamento può occupare. Tra questi, per esempio, occorre segnalare la scelta della procedura di ristrutturazione, in quanto, diversi sono i termini fissati dalla legge per ciascuna di esse. In secondo luogo, le tempistiche possono notevolmente allungarsi, qualora il piano di ristrutturazione preveda una riduzione dell’organico [6], la quale necessita di una previa trattativa con le organizzazioni sindacali. Centrale è inoltre il fattore dell’indebitamento: in primo luogo, verso il ceto bancario, soprattutto nel caso in cui sia necessario il mantenimento degli affidamenti in essere ovvero il ricorso a nuova finanza. Allo stesso modo, ove la società presenti un indebitamento significativo verso l’Erario, lo strumento della transazione fiscale potrebbe allungare le tempistiche, le quali potrebbero essere altresì dilatate da eventuali negoziazioni con i fornitori, ove la società sia esposta verso gli stessi e sia opportuno continuare i rapporti in essere. Tanto premesso e tenuti in considerazioni i predetti elementi, normalmente la redazione di un piano articolato può svilupparsi in un lasso di tempo compreso tra i 6 ed i 24 mesi.

Al temine della Fase I si sarà comunque in grado di formulare una prognosi sufficientemente attendibile in ordine alla possibilità di intraprendere un percorso virtuoso di risanamento dell’impresa.

 

[1] Cfr. il Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 1 – 2021.
[2] Un ringraziamento particolare va a Restart Consulting s.r.l., per aver messo a disposizione il proprio metodo di lavoro e la propria expertise.
[3] Le considerazioni che seguono sono riferite principalmente ad imprese manifatturiere
[4] Per debiti pregressi si intendono i debiti contratti dalla società nel periodo di tempo che precede l’intervento di ristrutturazione.
[5] Normalmente l’arco temporale considerato è di massimo 5 anni.
[6] Similmente, anche alcune ulteriori operazioni societarie richiedono il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, quali, per esempio, l’affitto di ramo d’azienda.
Di cosa si parla in questo articolo
Una raccolta sempre aggiornata di Atti, Approfondimenti, Normativa, Giurisprudenza.
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