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Approfondimenti

Recenti evoluzioni dei meccanismi di funding nelle operazioni di cartolarizzazione

3 Maggio 2021

Norman Pepe e Fabrizio Occhipinti, Italian Legal Services; Maurizio Ferrero, Claudio Romanelli e Alberto Trainotti, RSM Studio Palea Lauri Gerla

Di cosa si parla in questo articolo

Grazie a pochi e mirati interventi sulla l. 30 aprile 1999, n. 130, la legge di bilancio 2021[1] ha messo a disposizione delle società di cartolarizzazione di crediti uno strumento di finanziamento alternativo rispetto alle tradizionali asset-backed notes (ABS). Le società di cartolarizzazione possono ora finanziare l’acquisizione degli attivi da cartolarizzare anche a valere sui fondi rivenienti da appositi finanziamenti erogati da soggetti autorizzati alla concessione di finanziamenti in Italia[2]. A nostro parere, si tratta di una innovazione giuridica in grado di ampliare in modo significativo il novero e le potenzialità delle strutture impiegabili d’ora in poi in questo tipo di operazioni[3] e che pertanto merita approfondimento.

Come già accennato, nell’introdurre il nuovo strumento, il legislatore si è limitato a tratteggiarne la disciplina indicando espressamente solo alcune specifiche caratteristiche necessarie e rimandando, per il resto, all’applicazione per relationem delle disposizioni della legge 30 aprile 1999 n. 130 relative ai titoli ABS, laddove compatibili. Si tratta di una tecnica legislativa che inevitabilmente lascia un certo margine di manovra al lavoro dell’interprete e alla creatività degli operatori.

Partendo dall’analisi delle scarne previsioni di recente introduzione, la legge richiede che il finanziamento abbia come scopo specifico la messa a disposizione di mezzi finanziari a favore della società di cartolarizzazione per l’acquisizione degli attivi da cartolarizzare (vale a dire quella provvista finanziaria che tradizionalmente veniva reperita in questo tipo di operazioni mediante l’emissione di ABS). Il nostro finanziamento, inoltre, potrà essere concesso solo da soggetti autorizzati all’attività di concessione di finanziamenti, restringendo sostanzialmente la platea dei possibili finanziatori alle banche italiane, intermediari finanziari italiani, banche UE, banche non-UE autorizzate dalla Banca d’Italia, e con alcune limitazioni, compagnie di assicurazione italiane e UE, fondi di credito italiani e fondi di credito UE[4].

Alla luce di tale requisito, sembrerebbe legittimo ritenere che la legge, nel riferirsi ai soggetti autorizzati all’attività di concessione di finanziamenti, abbia inteso escludere dal novero dei potenziali finanziatori quei soggetti ai quali è permesso erogare finanziamenti laddove ciò non configuri esercizio di attività finanziaria nei confronti del pubblico (si pensi ai finanziamenti intragruppo)[5]. Aderendo a tale interpretazione, bisognerebbe conseguentemente concludersi che i titoli ABS rimangano l’unica opzione disponibile ad investitori non autorizzati allo svolgimento di attività finanziaria per fornire funding alle società di cartolarizzazione in vista dell’acquisto di attivi da cartolarizzare (anche qualora tali investitori detenessero una partecipazione rilevante nel capitale della società).

Sulla base del dato testuale e delle indicazioni che dallo stesso sembrano potersi trarre, a volersi interrogare sulle potenzialità applicative del nuovo strumento, parrebbe che l’intenzione del legislatore sia stata quella di lasciare notevole libertà all’autonomia negoziale delle parti sempre ovviamente all’interno dei confini (peraltro non particolarmente angusti) posti dalle norme imperative e dai principi generali dell’ordinamento giuridico. In questo senso, un primo e, se si vuole, fondamentale quesito che si pone all’attenzione dell’interprete riguarda la natura stessa del finanziamento in questione, vale a dire, in altre parole, se esso debba intendersi, in un’accezione strettamente civilistica, quale messa a disposizione di una provvista di denaro con assunzione da parte del prenditore di un obbligo incondizionato di rimborso a scadenza ovvero se, diversamente, trattandosi di una normativa di settore, gli si debba attribuire una diversa e più ampia portata che permetta di farvi rientrare non solo modalità di finanziamento tipiche (mutuo, apertura di credito, ecc.)[6] ma anche strumenti contrattuali di natura partecipativa (ad es. sub-participation) e di trasferimento del rischio di credito (ad es. total return swap). I vantaggi pratici di questa seconda impostazione sarebbero evidenti in quanto tale duttilità permetterebbe alle parti di meglio plasmare i propri accordi contrattuali sugli intendimenti commerciali in tema di allocazione dei rischi e benefici dell’investimento (ad esempio, prendendo a parametro l’internal rate of return).

Sebbene solo il tempo potrà dirci quale impostazione prevarrà nella prassi, non sembrano mancare argomentazioni a supporto della tesi più suggestiva. In senso contrario potrebbe militare la considerazione che, nel limitare ai “soggetti autorizzati all’attività di concessione di finanziamenti” la possibilità di erogare i nuovi finanziamenti, la legge abbia in qualche modo dato per presupposto che si sarebbe dovuto trattare delle modalità di finanziamento comunemente impiegate da banche ed intermediari finanziari. A ben guardare, però, il ragionamento si espone a critiche di unilateralità perché non darebbe adeguata rilevanza al fatto che tra le attività finanziarie previste dal Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 2 aprile 2015, n. 53 rientra senz’altro l’acquisto pro soluto di crediti (in cui, rispetto al cedente/soggetto finanziato, l’”obbligo di rimborso a scadenza” risulta sfumato se non addirittura del tutto teorico) e che proprio questa tipologia di “finanziamento” è quella più prossima , per contenuti economici, all’operazione finanziaria che intende porre in essere un investitore nel momento in cui fornisce funding alla società di cartolarizzazione ai fini dell’acquisto degli attivi da cartolarizzare.

Se poi si considera che, al pari della quasi totalità dei titoli ABS in circolazione, i finanziamenti in questione conterranno, con tutta probabilità, le tipiche clausole di limited recourse a supporto della bankruptcy remoteness della società di cartolarizzazione, si comprende agevolmente come il requisito della sussistenza di un “obbligo incondizionato di rimborso a scadenza” risulterebbe in questo ambito comunque fortemente stemperato.

Né sembra avere grande merito l’eventuale interpretazione che, ai fini della legittimità dello strumento in concreto prescelto, valorizzasse, al posto dell’obbligo di rimborso, la tipologia di remunerazione che il “finanziamento” dovesse assicurare al suo titolare, vale a dire solo un interesse che matura giorno per giorno rispetto a forme di remunerazione variabile. Anche a voler sottacere la circostanza che molti dei titoli ABS maggiormente subordinati (junior) o monotranchein circolazione cumulano, oltre ad un interesse, una remunerazione aggiuntiva di tipo variabile (che va sotto molteplici denominazioni: variable return, premio, ecc.), è la stessa legge sulla cartolarizzazione che, seppur nel diverso ambito dei rapporti tra società di cartolarizzazione e originator, riconduce il concetto di “finanziamento” ad un rapporto contrattuale per certi versi affine ad un derivato di credito. Il riferimento è all’art. 7, comma 2-novies, che, nel declinare le potenzialità applicative del finanziamento ex art. 7, comma 1, lett. a), specifica che “il contratto […] può prevedere l’obbligo del soggetto finanziato di corrispondere alla società di cartolarizzazione tutte le somme derivanti dai crediti cartolarizzati, analogamente ad una cessione”.

Altre forme di finanziamento nelle operazioni di cartolarizzazione

La possibilità per le società di cartolarizzazione di reperire mezzi finanziari sul mercato al di fuori dell’emissione di titoli non è di per sé una novità.

Varie forme di finanziamento sono da tempo contemplate specialmente in quelle strutture di cartolarizzazione più sofisticate, come ad esempio le linee di liquidità (liquidity facility) o prestiti subordinati impiegati per la costituzione di riserve a copertura del rischio di shortfall associato alla temporanea interruzione o all’irregolarità dei flussi i cassi generati dagli attivi cartolarizzati.

Ciò detto appare subito chiaro che il finanziamento di cui alla recente novella si distingue nettamente da tali linee di liquidità e prestiti subordinati se solo si guarda alla diversa funzione che questi strumenti sono chiamati ad assolvere nell’operazione. Tuttavia, proprio da questo punto di vista, il distinguo può risultare meno agevole laddove il confronto sia effettuato rispetto ad un’altra forma di finanziamento, il cui utilizzo è ampiamente consolidato nel mercato italiano, vale a dire i cosiddetti “bridge financing”, prestiti ponte a ricorso limitato. Tali prestiti sono normalmente concessi alle società di cartolarizzazione, nella fase iniziale dell’operazione, dai futuri sottoscrittori dei titoli ABS i quali, per il tramite dei “bridge financing” procedono sostanzialmente ad una anticipazione, spesso parziale, del prezzo di sottoscrizione dei titoli ABS, da emettersi in un momento successivo, al fine appunto di finanziare il corrispettivo di acquisto delle attività da cartolarizzare. I finanziamenti “bridge” sono destinati a rimanere in essere solo per un periodo di tempo limitato, corrispondente al tempo necessario per il completamento di tutte le attività richieste dal processo di emissione dei titoli ABS, a valere sui cui proventi tali finanziamenti saranno poi rimborsati integralmente.

Se, in questa ottica, appare chiaro che il nuovo finanziamento ed il finanziamento ponte a ricorso limitato sono volti al raggiungimento del medesimo obiettivo, fornire alla società veicolo di cartolarizzazione il finanziamento necessario per l’acquisizione delle attività da cartolarizzare, i due strumenti sembrano divergere l’uno dall’altro su un punto essenziale. Come visto in precedenza, la caratteristica fondamentale del finanziamento “bridge” a ricorso limitato è la sua temporaneità, trattandosi di un finanziamento di breve durata destinato ad essere rifinanziato attraverso i proventi dell’emissione dei titoli ABS al termine della cosiddetta “fase ponte”. Al contrario, il finanziamento di recente introduzione (al pari dei titoli ABS) è tendenzialmente stabile e non necessita, da un punto di vista giuridico, di essere convertito in qualcos’altro.[7]

Differenze tra finanziamenti e titoli

Il finanziamento si presenta come uno strumento potenzialmente più flessibile e versatile dei titoli ABS.

A differenza dei titoli ABS emessi in forma dematerializzata, il finanziamento non richiederà il coinvolgimento di alcun sistema di custodia e gestione accentrata (come Monte Titoli, Euroclear o Clearstream), con tutti i conseguenti risparmi in termini di tempo, costi e minori complessità operative.

D’altro canto, è probabile che il finanziamento sconterà i limiti di una minore negoziabilità rispetto ai titoli ABS sia per l’inesistenza o comunque scarsa diffusione di piattaforme di trading per questo tipo di attivi, per la ristrettezza del mercato di riferimento e per le formalità richieste ai fini del loro trasferimento.

Pur non potendosi escludere che la negoziazione dei finanziamenti sul mercato secondario potranno in futuro beneficiare delle nuove possibilità offerte dal fintech[8], guardando alla situazione attuale, i titoli ABS possono essere quotati e scambiati su mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione che garantiscono, almeno in linea di principio, una maggiore liquidità per questo tipo di strumenti.

Quanto all’ampiezza del mercato di riferimento, mentre i titoli ABS possono essere scambiati tra “investitori qualificati”, una platea che comprende una gamma abbastanza ampia di investitori, il novero dei potenziali cessionari del finanziamento sarà tendenzialmente limitato ai soggetti autorizzati alla concessione di finanziamenti (nel senso sopra delineato).

Da ultimo, le procedure di trasferimento di titoli ABS dematerializzati sono estremamente semplici e standardizzate, bastando per il titolare impartire alla propria banca depositaria una istruzione di consegna contro pagamento (delivery versus payment) o consegna senza pagamento (delivery free of payment). Al contrario, il trasferimento di un finanziamento può rivelarsi una operazione meno agevole, che richiede il rispetto di diverse formalità di perfezionamento a seconda che ad essere ceduti siano i crediti derivanti dal finanziamento (con la necessità di procedere alla notifica della cessione al debitore con atto avente data certa) o direttamente il rapporto contrattuale stesso (nel qual caso sarà richiesto il consenso del debitore).

Da ultimo, guardando agli aspetti di governance di un’operazione di cartolarizzazione che faccia ricorso al finanziamento in sostituzione dei titoli ABS, è presumibile che il modello di governance perda la connotazione tipica dei procedimenti decisionali di tipo endosocietario delle operazioni di cartolarizzazione con titoli ABS (incentrati sui poteri e i meccanismi di funzionamento dell’assemblea dei portatori dei titoli) per ritornare agli schemi contrattuali normalmente utilizzati nella gestione di finanziamenti in pool, in cui i cc.dd. accordi intercreditori svolgono un ruolo fondamentale.

Aspetti di carattere fiscale

In linea di principio i proventi di un finanziamento e quelli di titoli ABS sono soggetti a regimi fiscali differenti. Nel caso di specie, peraltro, in certe circostanze, non è possibile escludere che da un punto di vista pratico il trattamento tributario possa risultare essere il medesimo (i.e. l’esenzione da ritenuta fiscale sugli interessi).

Più nel dettaglio, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 130 del 1999, i titoli ABS rientrano nell’ambito di applicazione del D. Lgs. 239 del 1996 il quale prevede che gli interessi, i premi e gli altri frutti corrisposti non sono soggetti all’imposta sostitutiva qualora siano percepiti da soggetti residenti in Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (cc.dd. paesi white list)[9].

Con riferimento al finanziamento, notiamo che, in linea generale, gli interessi dovuti dalle società di cartolarizzazione a banche e intermediari finanziari stabiliti in Italia non dovrebbero essere soggetti a ritenuta fiscale. Diversamente, gli interessi corrisposti a soggetti finanziatori non residenti in Italia sono ordinariamente soggetti a ritenuta fiscale alla fonte con l’aliquota del 26%, fatte salve le riduzioni applicabili ai sensi delle convenzioni contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il paese di residenza fiscale del relativo finanziatore, ove applicabili, le esenzioni ricorrenti laddove siano soddisfatte le condizioni previste ai sensi della Direttiva UE su interessi e royalty trasfuse nell’art. 26-quater del DPR 600 del 1973, nonché quanto previsto in tema di finanziamenti a medio e lungo termine.

A tale ultimo riguardo, l’art. 26, co. 5-bis, del DPR 600/1973 prevede un regime di esenzione dalla ritenuta sugli interessi dei finanziamenti a medio-lungo termine corrisposti a enti creditizi stabiliti in uno Stato membro dell’UE (o stabile organizzazione UE di banche non UE), a imprese di assicurazione stabilite in uno Stato membro dell’UE e autorizzate in base alle disposizioni legislative di uno Stato membro dell’UE, e a investitori istituzionali esteri stabiliti in uno Stato white list, ancorché privi di soggettività tributaria, a condizione che siano soggetti a forme di vigilanza regolamentare nel loro paese di origine. Tale esenzione da ritenuta è subordinata, in tutti i casi sopra indicati, all’ulteriore condizione che i finanziatori siano soggetti autorizzati a svolgere attività di concessioni di finanziamenti nei confronti del pubblico in Italia.

Con riguardo ai profili soggettivi del soggetto prenditore del finanziamento a medio-lungo termine (nel caso di specie, per ipotesi, la società di cartolarizzazione), potrebbe assumere rilevanza la circostanza che l’art. 26, co. 5-bis, del DPR 600/1973 fa espressamente riferimento, ai fini dell’esenzione da ritenuta, ai “finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese”. Pur con le dovute cautele e fatte salve le specificità delle situazioni di fatto di volta in volta considerate, si ritiene che la società di cartolarizzazione possa essere considerata “impresa”[10] ai fini fiscali e, pertanto, non costituire di per sé ostacolo all’applicazione dell’esenzione.

Rispetto alla diversa problematica connessa alla possibilità che il nuovo finanziamento possa, da un punto di vista civilistico, qualificarsi come un derivato di credito, si pone il tema di quale potrebbe essere il trattamento fiscale dei relativi proventi, riemergendo l’annosa questione di come coordinare la normativa fiscale con quella civilistica rispetto alla distinzione tra i derivati, da un lato, e gli altri strumenti finanziari (come i titoli atipici), dall’altro.

Se dal punto di vista tributario, infatti, gli strumenti di finanziamento delle società sono tradizionalmente ripartiti tra titoli partecipativi e titoli di debito[11], tale categorizzazione appare più sfumata a fini civilistici per effetto della riforma del diritto societario che ha reso possibile la creazione di una varietà di strumenti di incerta collocazione, comunemente noti come strumenti ibridi, che si pongono a cavallo tra il capitale di rischio e il capitale di credito.

Tali strumenti ibridi, a fini fiscali, ricadono all’interno della categoria residuale dei “titoli atipici” prevista all’art. 5 del D.L. n. 512 del 1983, in cui rientrano tutti quei titoli o certificati di massa che risultano non riconducibili ai titoli partecipativi o ai titoli di debito.

Il finanziamento introdotto dalla novella, ove strutturato come derivato di credito, non rientrerebbe, però, in nessuna di queste categorie (titoli partecipativi, titoli di debito, titoli atipici) in quanto non sussisterebbe alcun diritto di rimborso del capitale né alcuna remunerazione del capitale investito ancorché variabile o incerta perché legata a parametri o eventi incerti. Conseguentemente il risultato economico del contratto (inteso come differenziale, positivo o negativo, tra l’investito e il percepito) andrebbe a ricadere nella fattispecie residuale dei “redditi diversi”[12] di cui all’ art. 67, comma 1, lett. c-quater o c-quinquies, del DPR n. 917 del 1986[13] e, come tale, andrebbe assoggettato alle imposte sul reddito del percettore, senza applicazione di alcuna ritenuta.

Alla luce di quanto esposto finora, con riferimento al nostro finanziamento, si dovrà porre particolare attenzione alla qualificazione tributaria dello stesso considerando che l’inquadramento potrebbe divergere da quello civilistico, portando con sé impatti fiscali diversi su elementi di remunerazione come gli interessi corrisposti.

Considerazioni finali: possibili applicazioni

Ad esito del di questo nostro breve excursus, ci sembra di poter concludere che un ampio uso del nuovo strumento nei tempi avvenire sia più che probabile. Grazie alla flessibilità e duttilità che la caratterizzano, questa modalità di reperimento di provvista potrà attrarre l’attenzione degli operatori in tutti quei casi in cui sia richiesto un apporto finanziario con breve preavviso o in modo frequente. In questo senso è facilmente ipotizzabile il ricorso a questo tipo di finanziamento nella cosiddetta fase di warehousing delle operazioni di cartolarizzazione in cui le società di cartolarizzazione aggregano man mano, attraverso plurime acquisizioni, una massa critica di attivi da collocare poi sul mercato dei capitali sotto forma di titoli ABS (tipicamente provvisti di rating da parte di agenzie specializzate).

Analogamente, il finanziamento in questione si presta ad essere impiegato come senior vendor loan avanzati dalle banche nel contesto della cartolarizzazione del proprio stock di NPL (che abbiano ottenuto o meno la derecognition), in combinazione con le nuove regole di ponderazione del rischio applicabili alle tranche senior delle cartolarizzazioni di NPL recentemente approvate dal Parlamento europeo[14].

Da ultimo, la nuova disciplina sembra legittimare quei meccanismi (ampiamente diffusi nella prassi) che permetto la chiusura anticipata dell’operazione di cartolarizzazione con rimborso dei titoli (per rimborso volontario, rimborso obbligatorio per ragioni fiscali, clean-up calls, ecc.) tramite strutture di finanziamento alternative alla dismissione del portafoglio cartolarizzato, compresa, per l’appunto, l’erogazione a favore della società di cartolarizzazione di prestiti a ricorso limitato da parte di soggetti autorizzati alla concessione di finanziamenti.

Particolarmente interessante, infine, sarà il ruolo che il nuovo finanziamento potrà assumere nelle cosiddette cartolarizzazioni immobiliari ai sensi dell’articolo 7.2 della legge n. 130 del 30 aprile 1999 n. 130[15] soprattutto alla luce del fatto che il finanziamento immobiliare è tradizionalmente uno dei settori di maggiore attività per le banche italiane.

In chiusura, ci sia permessa un’ultima considerazione in merito ad una delle caratteristiche espressamente previste dalla legge con riguardo a questo finanziamento. Come accennato all’inizio del presente contributo, il nuovo strumento deve essere finalizzato a finanziare l’acquisizione degli attivi da cartolarizzare ma non è chiaro se tale finalità sia da intendersi esclusiva, vale a dire se la provvista così messa a disposizione possa essere impiegata anche per finanziare i costi associati all’operazione di cartolarizzazione. Sulla base di un semplice parallelismo con ciò che accade nella prassi con i titoli ABS, al quesito dovrebbe darsi presumibilmente una risposta positiva. Tale esito, tuttavia, potrebbe essere meno scontato laddove si considerino le capital expenditures e le operating expenditures che tipicamente vengono in rilievo nel contesto delle cartolarizzazioni immobiliari. Il tema si intreccia, a dire il vero, con una questione per così dire limitrofa, relativa alla tipologia ed entità degli interventi che nell’ambito di questo tipo di operazioni la società di cartolarizzazione può effettuare sul patrimonio immobiliare sottostante (ristrutturazioni, cambi d’uso, sviluppi, ecc.). L’argomento è oggetto di un vivo dibattito tra chi propugna un approccio conservativo[16] e chi è invece fautore di un modello più liberale[17] Senza voler entrare in questa sede nel merito della diatriba in atto, ci limitiamo ad osservare, in merito al quesito di partenza, che, a nostro parere, il nuovo finanziamento non potrà in ogni caso fornire funding rispetto a capital expenditures riconducibili ad interventi che esulino dall’operatività della società quale società di cartolarizzazione ex articolo 7.2.

 


[1] Legge n. 178 del 30 dicembre 2020 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023).

[2] Si veda “Cartolarizzazione con concessione di finanziamento: le novità della Legge di Bilancio” di P. Messina, pubblicato su Diritto Bancario il 21 gennaio 2021.

[3] Per uno studio delle tecniche e strategie di innovazione giuridica, si veda “La creatività del giurista” di G. Pascuzzi, Zanichelli Editore, 2018.

[4] I fondi di credito sono oggetto di un rinnovato interesse da parte degli investitori alla luce di alcuni recenti interventi. Il 16 febbraio 2021, la Banca d’Italia ha aggiornato il Regolamento sulla gestione collettiva del Risparmio per rimuovere il limite di concentrazione del 10% applicabile ai fondi di credito riservati.

[5] Si veda l’art. 3 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 2 aprile 2015, n. 53 (Regolamento recante norme in materia di intermediari finanziari in attuazione degli articoli 106, comma 3, 112, comma 3, e 114 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché dell’articolo 7-ter, comma 1-bis, della legge 30 aprile 1999, n. 130).

[6] Un punto che meriterebbe un’attenta considerazione è quello relativo alla possibilità che un tale finanziamento possa beneficiare di una garanzia reale avente ad oggetto gli attivi acquistati con il finanziamento medesimo, a causa dell’interazione un po’ scomoda tra i piani della garanzia reale e quello della segregazione dei beni della società veicolo di cartolarizzazione, che discende dalla legge medesima.

[7] A nostro avviso, tuttavia, tale stabilità non implica che, a sua volta, il nuovo finanziamento non possa essere a sua volta rifinanziato, in una fase successiva dell’operazione, attraverso titoli o altro analogo finanziamento.

[8] Vedi, per esempio, Blockinvest su https://www.blockinvest.it/, un mercato specificamente progettato per le istituzioni finanziarie e gli operatori di mercato che commerciano in investimenti illiquidi in attività alternative, che vogliono beneficiare della flessibilità e della sicurezza della tecnologia blockchain attraverso lo scambio di token.

[9] Tale esenzione è peraltro riconosciuta in favore di enti e organismi internazionali (per una elencazione esemplificativa si rimanda al par. 2.1 della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/E del 2012), investitori istituzionali esteri costituiti in Paesi white list (ancorché privi di soggettività tributaria) e alle banche centrali che gestiscono anche le riserve ufficiali dello Stato. La predetta esenzione viene riconosciuta solamente se vengono rispettate alcune formalità come, ad esempio, il deposito dei titoli presso una banca residente.

[10] Ai fini fiscali, infatti, tutti i soggetti che in base al sistema tributario vigente in Italia conseguono redditi d’impresa (e, quindi, tutte le società di capitali) dovrebbero essere qualificati come “imprese” e, quindi, ricadere nell’art. 26, co. 5-bis, del DPR 600/1973.

[11] Cfr. art. 44, c. 2, lett. a) e c) del DPR n. 917 del 1986.

[12] Sempre che, beninteso, tale tipologia di differenziale non costituisca componente del reddito di impresa del soggetto finanziatore.

[13] La differenza sostanziale tra i titoli atipici e gli strumenti finanziari derivati viene individuata nel fatto che i primi genericamente prevedono una remunerazione periodica o a scadenza (garantita o meno e che può anche risultare pari a zero) derivante dall’impiego del capitale (come un titolo obbligazionario, da cui si distinguono per l’assenza di diritto al rimborso integrale del capitale investito), mentre gli strumenti finanziari derivati non prevedono un rendimento relativo al capitale impiegato ma solo la realizzazione di un reddito aleatorio poiché dipende dall’andamento dell’attività sottostante. La predetta interpretazione è stata avvallata in materia di Exchange Traded Commodities dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha chiarito che in linea generale, la nozione di strumenti finanziari derivati, ai fini fiscali, è in larga misura sovrapponibile a quella contenuta all’art. 1 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF).

[14] A tal proposito si veda “Cartolarizzazioni: le modifiche al quadro normativo europeo a sostegno della ripresa”, pubblicato su Diritto Bancario il 6 aprile 2021.

[15] Per un’analisi di questa nuova tecnica di cartolarizzazione, ci sia permesso rinviare a “Profili giuridici delle cartolarizzazioni immobiliari e di beni mobili registrati” di N. Pepe. F. Occhipinti e L. Vignocchi, su Diritto Bancario, Sez. Approfondimenti, giugno 2020.

[16] Con scarsa libertà di azione a favore della società di cartolarizzazione e dei suoi agenti. Cfr. “Le Frontiere mobili della cartolarizzazione” di E. R. Restelli, Banca Borsa e Titoli di Credito, Milano, Nuova serie v. 73, n. 6 (novembre-dicembre 2020), Parte prima, p. 926-949.

[17] Si tratta di una lettura evolutiva della legge sulla cartolarizzazione proposta da alcuni esponenti dell’avvocatura d’affari, secondo cui, se ben comprendiamo, a seguito delle numerose riforme intervenute in questi ultimi anni, l’istituto della cartolarizzazione avrebbe travalicato i limiti della normativa di settore per trasformarsi in un modello generale di separazione patrimoniale.

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