Con l’Ordinanza n. 11276 del 29.4.2021 la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in merito ai riflessi in tema di imposta di registro dell’enunciazione di un finanziamento soci nell’ambito di una delibera assembleare di rinuncia finalizzata al ripianamento delle perdite e alla ricostituzione del capitale sociale. La pronuncia si inserisce nel solco di un orientamento oramai consolidato della giurisprudenza di legittimità, che individua in una simile circostanza il presupposto per l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale nella misura del 3%.
La norma invocata a tal fine è l’art. 22 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (“Enunciazione di atti non registrati”), che prevede che “Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate”.
La vicenda esaminata trae origine dalla notifica ad un notaio da parte dell’Agenzia delle Entrate di un avviso di liquidazione mediante il quale veniva contestato il mancato versamento di imposta di registro a seguito della redazione di verbale di assemblea straordinaria che aveva disposto l’aumento del capitale sociale mediante rinuncia a finanziamento soci. Nell’ambito dell’avviso de quo, l’Amministrazione identificava il notaio quale “soggetto passivo e responsabile dell’imposta” ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. b) del citato D.P.R. 131/1986 e per tale ragione la contestazione veniva mossa direttamente nei confronti di quest’ultimo anziché verso le parti coinvolte nel finanziamento (la società e i soci).
Dalla notifica di tale avviso scaturiva dunque, su impulso del notaio destinatario dello stesso, un contenzioso che vedeva quest’ultimo vittorioso sia dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano sia, a seguito di impugnazione ad opera dell’Agenzia delle Entrate della sentenza di accoglimento emessa dal giudice di prime cure, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. Quest’ultima, in particolare, rigettava l’appello dell’Ufficio adducendo, a sostegno della propria decisione, da un lato l’assenza di responsabilità solidale in capo al notaio in quanto quest’ultimo non aveva ricevuto l’atto di finanziamento soci e, dall’altro, la circostanza che il verbale assembleare si limitasse a menzionare l’esistenza del finanziamento senza, al contempo, riportarne gli elementi essenziali.
Tali argomenti non sono stati tuttavia condivisi dalla Suprema Corte, che ha ribadito il principio, già conclamato in precedenti pronunce, per il quale “va assoggettato ad imposta di registro il finanziamento soci, già inserito tra le poste passive del bilancio, enunciato in un atto di ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai predetti finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società”; inoltre, prosegue la Corte di legittimità, la fattispecie di cui all’art. 22 del D.P.R. 131/1986 si configura “a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo”.
L’Ordinanza in commento si pone in continuità con un indirizzo oramai consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità che è oggetto di aspra critica da parte della dottrina maggioritaria. A ben vedere, infatti, l’art. 22 cit. richiede che tra l’atto enunciante e l’atto enunciato vi sia una identità di parti che non sembrerebbe riscontrabile nell’ipotesi della rinuncia al finanziamento soci resa nota nell’ambito di un verbale di delibera assembleare di ripianamento delle perdite. Ed invero, se il concetto di “parti” appare compatibile con il contratto di finanziamento soci, ove le stesse sono rappresentate dai soci finanziatori da un lato e dalla società finanziata dall’altro, la stessa nozione risulta più difficilmente adattabile al verbale assembleare, che per propria natura, costituendo un semplice resoconto degli accadimenti assembleari, è un atto “auto-riferito” e dunque senza parti. D’altro canto, in favore di tale interpretazione dovrebbe soccorrere la stessa ratio sottesa alla norma in oggetto, di natura antielusiva, che è quella di evitare che le parti coinvolte dapprima stipulino un contratto secondo modalità che non ne richiedano la registrazione ed in un secondo momento ne riconoscano in un atto distinto, ex post, l’esistenza.
L’Ordinanza non pare neppure curarsi della necessità, ai fini della tassazione, che l’enunciazione non si limiti ad una generica menzione dell’atto sottostante, sebbene sia necessario che nell’atto enunciante vengano richiamati gli elementi essenziali per identificare con precisione il rapporto enunciato. A tali fini non dovrebbe pertanto essere sufficiente, diversamente da quanto asserito dai Supremi giudici, un mero riferimento alle posizioni creditorie dei soci, peraltro desumibili dall’osservazione del passivo di bilancio della società finanziata.
Per di più, la norma in commento esclude, al secondo comma, che l’enunciazione dia luogo a tassazione nel caso in cui gli effetti delle disposizioni enunciate siano già cessati antecedentemente o cessino contestualmente all’enunciazione medesima. Ebbene, è evidente che il verbale assembleare, proprio in virtù della propria natura di resoconto delle vicende sociali, non faccia che dare atto di una circostanza fattuale oramai perfezionatasi alla data della delibera sociale, ossia la rinuncia al finanziamento da parte dei soci. In definitiva, l’inapplicabilità dell’imposta di registro trova conforto non solo nel mancato ricorrere dei requisiti di cui al primo comma dell’art. 22, ma anche nell’avvenuta integrazione del presupposto di cui al secondo comma, in forza del quale non si dà luogo a tassazione ove risultino cessati gli effetti delle disposizioni enunciate.
Da ultimo, il Collegio di legittimità, pur concludendo pacificamente per la debenza dell’imposta di registro, manifesta tuttavia dei dubbi circa la corretta identificazione del soggetto destinatario dell’avviso di liquidazione ed in relazione a tale specifico aspetto rimette la decisione alla sezione Quinta (ordinaria). Va infatti osservato come l’atto di finanziamento soci non sia mai pervenuto nella disponibilità del notaio, il cui unico compito è stato redigere il verbale di assemblea straordinaria di ripianamento delle perdite e aumento del capitale sociale. Il punto merita senz’altro un approfondimento, atteso che il notaio, ai sensi dell’art. 57, secondo comma, del D.P.R. 131/1986, può essere ritenuto responsabile per la sola imposta principale (in giurisprudenza, vedasi Cass. sent. 12257 del 17.5.2017).
Non del tutto incontroversa risulta essere infatti la natura dell’imposta di registro da applicarsi sull’atto enunciato. Il dato letterale del menzionato art. 22 lascerebbe intendere che la stessa sia dovuta secondo gli stessi termini previsti per l’imposta gravante sull’atto enunciante, in quanto il presupposto per l’imposizione scaturirebbe dall’avvenuta registrazione di quest’ultimo; si tratterebbe dunque di “imposta principale”. Cionondimeno, non mancano precedenti giurisprudenziali – soprattutto di merito – in contrasto con tale interpretazione. Così, ad esempio, la sentenza n. 13 del 21.2.2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia ha avuto modo di affermare che, in ipotesi di rinuncia al finanziamento soci menzionato nel verbale assembleare di aumento del capitale sociale, “il notaio che redige l’atto enunciante non è responsabile dell’imposta eventualmente dovuta per l’enunciazione essendo obbligato a richiedere la registrazione solo per gli atti da lui redatti ricevuti o autenticati”.
Ciò posto, come prospettato da dottrina autorevole (precisamente, il Consiglio Nazionale del Notariato mediante lo Studio n. 208-2010/T), una soluzione per prevenire eventuali contestazioni potrebbe essere quella di formalizzare la rinuncia al finanziamento in atti estranei al verbale notarile ed in generale al di fuori di atti soggetti a registrazione in termine fisso, ad esempio procedendo dapprima ad una restituzione del finanziamento e successivamente, mediante apposita delibera, ad un nuovo conferimento in denaro.