Non è sempre facile discutere in modo razionale nei dibattiti politici. Ancor di più quando l’argomento è per sua natura complesso, di tipo tecnico e con un impatto immediato sul portafoglio di ognuno di noi: le commissioni sulle carte di pagamento.
Tuttavia, in un momento in cui a Bruxelles l’Unione Europea sta esaminando le possibili misure per tenere sotto controllo le reti di pagamento tramite carte, ritengo che il dibattito sia in certo qual modo incompleto, disinformato e, probabilmente, guidato da interessi in conflitto a causa di potenti (per quanto legittime) lobby di grandi aziende.
Alla fine di settembre, il Parlamento Europeo ha mandato un segnale politico invocando una legislazione a livello di Unione Europea sui pagamenti (tramite carte) e in particolare sulla riduzione dei costi di pagamento. Anche la Commissione europea a fine ottobre sarà chiamata a esprimere le proprie intenzioni in merito a questa legislazione.
Lo sfondo su cui hanno avuto luogo queste mosse è un anno di schermaglie legali tra le banche, i sistemi di pagamento e i commercianti, di richieste più o meno populiste da parte dei politici per l’abbassamento del costo dei pagamenti e di numerosi Paesi che hanno preso l’iniziativa e imposto limiti obbligatori alle commissioni sui pagamenti. Nella maggior parte dei casi, l’attenzione si è focalizzata sulle cosiddette “interchange fee”.
L’interchange fee è una piccola commissione pagata dalla banca di un esercente (acquirer) alla banca del titolare della carta (issuer) nell’ambito di una transazione tramite carte di pagamento. Generalmente, è pensata per bilanciare i costi e i benefici dei pagamenti elettronici e assicura che ogni partecipante contribuisca in modo equo ai costi associati all’elaborazione e alla protezione delle transazioni tramite carte di pagamento.
L’interchange fee è inclusa nella commissione che un esercente deve versare alla propria banca (acquirer). Per questo motivo, alcuni esercenti sono contrari alla sua applicazione e vorrebbero che venisse sottoposta a un massimale, limitata o perfino vietata. Molti politici hanno inoltre sostenuto che se questo dovesse avvenire, anche i consumatori ne trarrebbero vantaggio, ad esempio grazie a una riduzione dei prezzi per le merci che acquistano. La realtà dovrebbe tuttavia essere analizzata con maggior precisione e adottando un punto di vista completo.
Uno dei paesi che hanno spinto per un abbassamento dell’interchange fee è il mio: la Spagna. L’impatto di queste riduzioni sul mercato è stato esaminato da un recente studio condotto da economisti spagnoli dell’Università Rey Juan Carlos, dell’Università Autonoma di Madrid e dell’Università UNED.
Nel periodo di cinque anni che va dal 2006 al 2010, le interchange fee sono state ridotte di oltre il 57%. Tuttavia, secondo le conclusioni dello studio, i consumatori del mio paese non hanno ottenuto alcun beneficio da questa riduzione. I commercianti, invece, senza dubbio lo hanno fatto. Questa riduzione ha permesso loro di risparmiare 2,75 miliardi di euro in cinque anni.
Cosa ancora più sorprendente, i costi per i consumatori, dovuti principalmente alle commissioni annuali sulle carte che versano alla propria banca, sono aumentati di uno sbalorditivo 50% nello stesso periodo. Questo si traduce in un carico aggiuntivo di 2,35 miliardi di euro che i consumatori hanno dovuto sostenere, solo per l’utilizzo delle proprie carte di pagamento. E non finisce qui.
Anche altre commissioni sono state aumentate, come quelle addebitate ai consumatori per gli scoperti. Inoltre, i premi e le promozioni solitamente associati alle carte di pagamento sono stati ridotti o perfino eliminati.
Il motivo di questo aumento dei costi è facile da spiegare. A causa dell’interchange fee più bassa, le banche emittenti delle carte hanno ottenuto entrate significativamente inferiori, mentre i costi per la fornitura dei servizi per le carte sono rimasti gli stessi, o sono perfino aumentati. Questo calo delle entrate dovuto all’interchange fee doveva in qualche modo essere compensato per continuare a far funzionare il sistema. Di conseguenza, il consumatore ha finito per pagare per i risparmi dei commercianti.
Ma non solo: lo studio non ha trovato alcuna prova, in Spagna, del fatto che questi risparmi siano stati trasferiti ai consumatori nella forma di una riduzione dei prezzi per le merci e i servizi, una posizione spesso sostenuta da chi è a favore dell’abbassamento dell’interchange fee per giustificare un intervento regolamentare. Questo suggerisce che i commercianti abbiano semplicemente utilizzato il denaro per incrementare i propri margini.
Sulla base di questa esperienza nel mio paese, credo che i membri del Parlamento Europeo dovrebbero fare un profondo respiro ed esaminare attentamente l’impatto della possibile legislazione sui pagamenti su tutte le parti in causa e in tutti i Paesi prima di prendere la propria decisione finale nella riunione plenaria di questo mese sul fatto che una riduzione obbligatoria dell’interchange fee sia realmente necessaria.
Dovrebbero a mio parere valutare onestamente il problema, esaminando con attenzione le esperienze passate, come ad esempio in Spagna, e considerando tutti i costi, nascosti o meno, dei sistemi di pagamento, in particolare per i consumatori. Non sarebbe la prima volta che si verificano conseguenze impreviste a spese del consumatore.
Il mercato dei pagamenti europeo certamente non è perfetto, ma non è nemmeno tanto compromesso da giustificare un intervento di regolamentazione sui prezzi senza aver compreso appieno tutte le conseguenze per tutte le parti in causa e aver predisposto le misure complementari appropriate. Alcune azioni devono senza dubbio essere evitate, altre possono essere messe a punto per assicurare che il mercato continui a operare nell’interesse di tutti gli attori e altre ancora, forse, devono essere introdotte a vantaggio dei consumatori.
Dovremmo apprendere dall’esperienza, come nel caso della Spagna, ed evitare di adottare misure inefficienti, incomplete e inique che creerebbero più danni che benefici per i consumatori finali.
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