Mediante la sentenza de qua la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un’agenzia pubblicitaria avverso le pronunce di merito che, sia in primo grado che in sede di gravame, hanno respinto la domanda volta alla condanna di una società alla cessazione dell’attività di concorrenza sleale. In particolare, la ricorrente ha lamentato l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici di merito laddove hanno ritenuto che la condotta contestata, consistente nell’aver la resistente pubblicato sul sito internet aziendale i nomi di numerosi clienti che erano, di contro, di competenza dell’agenzia, non avrebbe integrato il presupposto di cui all’art. 2598, comma 1, n. 2, c.c. in quanto tale elenco di clienti non avrebbe rappresentato un “pregio” dell’attività della ricorrente, bensì un mero elemento storico del livello imprenditoriale raggiunto, come tale irrilevante sotti il profilo della concorrenza sleale.
Al riguardo, la Suprema Corte ha innanzitutto richiamato il proprio consolidato orientamento, il quale definisce la fattispecie di concorrenza sleale per “appropriazione di pregi” come la condotta dell’imprenditore che “attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori” (v. Cass. 7 gennaio 2016, n. 100). In altri termini – ha chiarito la Corte – l’imprenditore integra la fattispecie di cui all’art. 2598, comma 1, n. 2, c.c. “in quanto operi, dunque, in una comunicazione destinata a terzi, una c.d. autoattribuzione di qualità, peculiarità o caratteristiche riconosciute all’altrui impresa. In tal modo, invero, egli riferisce a sé, mediante il mezzo pubblicitario, caratteri di prodotti, di servizi o dell’impresa altrui, ma come se si trattasse di prodotti, servizi o caratteri già facenti parte della propria attività di impresa, così appropriandosi dell’attività di un terzo e cagionando nella potenziale clientela un indebito accreditamento, rispetto ad attività, servizi o prodotti non corrispondenti all’effettiva attività realizzativa svolta in quel momento”.
Sulla base di tali principi, in riforma delle decisioni di merito la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta dell’imprenditore che vanti sul proprio sito internet un carnet di clienti afferenti all’imprenditore concorrente, lasciando intendere di aver curato per essi le campagne pubblicitarie de quibus, è idonea ad integrare la fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. A questo fine – ha poi precisato la Corte – non assume rilievo la circostanza per cui i suddetti clienti sarebbero stati indicati sul sito internet della resistente in ragione dell’ingresso nella compagine sociale della persona fisica che (i) in passato, aveva concretamente contribuito alla realizzazione delle relative campagne pubblicitarie e (ii) in futuro, avrebbe esplicato tali attività nell’ambito dell’organizzazione imprenditoriale della resistente medesima. Ciò, in quanto: nel primo caso, i clienti di cui trattasi erano riferiti non alla persona fisica, ma all’agenzia pubblicitaria; nel secondo caso, l’attività verosimilmente prevista per il futuro non è idonea a destituire di decettività l’informazione pubblicitaria nel momento attuale.
In forza dei predetti argomenti, la Suprema Corte ha quindi espresso il seguente principio di diritto: “la condotta di «appropriazione di pregi», contemplata dall’art. 2598, comma 2, n. 2, c.c., è integrata dal vanto operato da un imprenditore circa le caratteristiche della propria impresa, mutuate da quelle di un altro imprenditore, tutte le volte in cui detto vanto abbia l’attitudine di fare indebitamente acquisire al primo meriti non posseduti, realizzando una concorrenza sleale per c.d. agganciamento,quale atto illecito di mero pericolo: tale situazione si verifica allorché un’agenzia pubblicitaria, con la quale pur abbia iniziato a collaborare un soggetto che aveva realizzato campagne pubblicitarie per un’altra impresa, vanti sul proprio sito internet il carnet di clienti di quest’ultima, lasciando intendere di avere curato essa stessa le precedenti campagne pubblicitarie”.