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Giurisprudenza

Legittima la cessione del credito IVA al consolidato in presenza di violazioni dichiarative formali

6 Luglio 2021

Matteo Mancini, Avvocato

Cassazione Civile, Sez. V, 7 maggio 2021, n. 12136 – Pres. Bruschetta, Rel. Succio

Di cosa si parla in questo articolo

L’art. 8 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. “Statuto dei diritti del Contribuente”) consente l’assolvimento dell’obbligazione tributaria (anche) attraverso l’istituto della compensazione, annoverando tale fattispecie tra le modalità “generali” di estinzione del debito fiscale, come tale utilizzabile anche in relazione a fattispecie diverse da quelle espressamente disciplinate dal Legislatore, fermi tuttavia restando gli espressi divieti e limiti previstiex lege.

In altri termini, dunque, stante, peraltro, l’assenza di puntuali indicazioni in merito alla citata disposizione statutaria, tale modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria “si affianca” alle singole discipline specifiche dettate in materia di compensazione, dovendosi pertanto ritenere che il Legislatore – con l’art. 8 citato – abbia voluto riferirsi all’istituto della compensazione legale, come disciplinato dal codice civile, affermandone dunque il pieno utilizzo in materia tributaria, nel rispetto dei requisiti anzidetti ed in assenza di espressi divieti.

Tale assunto è stato recentemente espresso dalla Corte di Cassazione nell’ambito di un giudizio in cui – attraverso l’ordinanza in oggetto – è stata riconosciuta l’efficacia della compensazione operata fra il credito relativo all’Imposta sul Valore Aggiunto maturato in capo ad una società consolidata e l’Imposta sul Reddito delle Società dovuta dalla consolidante, pur in assenza dell’assolvimento delle formalità previste ai sensi dell’art. 43-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 nel testo pro tempore vigente (post modifiche apportate dall’art. 11 del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542), antecedente alla modifica intervenuta con il d.l. 2 marzo 2012 n. 16, che ha espressamente riconosciuto la portata non costitutiva, ai fini della cessione, delle menzionate formalità.

Richiamando brevemente i fatti di causa, la società contribuente, raggiunta da una cartella di pagamento relativa all’IVA, otteneva, in un primo momento, la declaratoria di illegittimità di quest’ultima dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, risultando, tuttavia, soccombente dinanzi alla competente Commissione Tributaria Regionale a seguito dell’accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio decidendo, infine, di ricorrere per Cassazione al fine di far valere le proprie ragioni.

In tale ultima sede, in particolare, la società contribuente lamentava la violazione e falsa applicazione, ad opera della CTR, del citato art. 43-ter del d.P.R. 602/1973, oltre che dell’articolo 17, d.lgs. 9 luglio 1997 n. 241, degli articoli da 117 a 128 del TUIR e dell’articolo 7 del d.M. 9 giugno 2004, avendo, nello specifico, i giudici di appello considerato illegittima la relativa compensazione con l’IRES dovuta dalla consolidante stante il mancato rispetto delle formalità prescritte dal citato art. 43-ter – giudicate avere, peraltro, efficacia costitutiva – in sede di redazione della dichiarazione, nella specie l’indicazione del cessionario e dell’importo ceduto da parte della cedente.

Nell’esaminare il ricorso, i giudici ermellini hanno preliminarmente avuto modo di chiarire comel’istituto della compensazione rivesta fondamentale importanza nell’ambito del consolidato nazionale, essendo quest’ultimo un regime opzionale di imposizione del reddito d’impresa caratterizzato da un ampio favor per il contribuente e finalizzato ad incentivare le imprese ad aumentare la loro dimensione ed a favorire la costituzione di gruppi societari.

In particolare, infatti, le operazioni di cessione di crediti finalizzate alla compensazione infragruppo costituiscono “la conseguenza naturale del consolidato nazionale”, la cui funzione individuata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 consiste nel porre in relazione con l’Amministrazione finanziaria una singola fiscal unit e non le ulteriori e pur sempre possibili operazioni di cessione di cui al citato art. 43-ter che costituiscono res alia rispetto al regime del consolidato.

Posto quanto sopra, dunque, l’attenzione della Suprema Corte si è focalizzata sulla ricerca della ratio della disposizione contenuta nel citato art. 43-ter, come richiamato in particolare dell’art. 118, secondo comma del TUIR secondo cui le eccedenze d’imposta riportate a nuovo e relative agli stessi esercizi possono essere utilizzate alternativamente dalle società cui competono ovvero dalla consolidante, ferma tuttavia restando “l’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 43-terdel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.

In particolare, sulla scorta anche dell’art. 7, lett. b)del Decreto Ministeriale 9 giugno 2004, che statuisce il principio generale secondo ciascun partecipante al consolidato ha la possibilità di cedere, ai fini della compensazione con l’IRES dovuta dalla consolidante:

  1. i crediti utilizzabili in compensazione ai sensi dell’art. 17 D.lgs. 241/1997 per il solo importo non utilizzato dal medesimo soggetto e nel rispetto del limite previsto dall’art. 25 del medesimo D.lgs. n. 241, nonché
  2. le eccedenze di imposta ricevute ai sensi del citato art. 43-ter,

la Suprema Corte ha specificato come il rimando operato dall’articolo 118 TUIR all’art. 43-ter miri a coordinare la disciplina delle società rientranti nel perimetro del consolidato nazionale con quella delle società che, pur legate da rapporti partecipativi di controllo, rimangano fuori dalla fiscal unit.

Il termine “ricevute” di cui al citato art. 7, lett. b) sarebbe dunque da intendersi come “trasferite” all’interno del consolidato e provenienti da società al di fuori dalla fiscal unit di modo che quest’ultime possano legittimamente trasferire le proprie posizioni creditorie derivanti da eccedenze di imposta alla loro controllante, la quale – per le società all’interno del perimetro della fiscal unit – assumerà la veste di consolidante.

Il menzionato impianto normativo è stato ritenuto dalla Corte in linea con il principio generale espresso dall’art. 8 dello Statuto, secondo cui “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione” essendo l’utilizzo di tale istituto di estinzione del debito, ammesso in tutti i casi in cui non sia espressamente precluso dalla Legge tra cui – sottolineano i giudici ermellini – rientra il caso di specie in cui l’eccedenza di imposta generatrice del credito riguarda l’IVA, tributo caratterizzato dal relativo meccanismo applicativo improntato sul principio di neutralità.

Tali conclusioni, peraltro, sono conformi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di diritto al rimborso dell’eccedenza IVA, secondo cui le modalità attraverso cui avviene il predetto rimborso non devono ledere il citato principio di neutralità del tributo, dovendosi peraltro garantire al soggetto passivo l’espletamento della relativa procedura entro un termine ragionevole (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenze 24 ottobre 2013, C-431/12 e 6 luglio 2017, C-254/16).

La Corte, infine, ha analizzato l’efficacia temporale del comma 2-bis del citato art. 43-ter(introdottodall’art. 2, comma 3 del d.l. 16/2012)), il quale prevede che la mancata indicazione nella dichiarazione del consolidato degli estremi del soggetto cessionario e dell’importo ceduto non determini ex se l’inefficacia della cessione dell’eccedenza di imposta ma soltanto l’applicazione, in tal caso, della sanzione di cui all’art. 8, comma 1, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 nella misura massima stabilita.

Tale novella è ritenuta confermativa delle argomentazioni sviluppate, poiché dalla lettura della Relazione Illustrativa del citato decreto si può evincere come il legislatore, ancor prima della riforma, avesse contezza di opzioni interpretative favorevoli ad escludere la portata costitutiva delle prescrizioni dichiarative, opzioni fatte espressamente proprie nel 2012.

La Suprema Corte ha quindi superato l’interpretazione “iperrigorosa” fornita in una sua precedente pronuncia (cfr. Cass. 21 novembre 2018, n. 30014) affermando la portata retroattiva della menzionata disposizione e stabilendo, in estrema sintesi, come, in tema di credito IVA, gli effetti della mancata indicazione del cessionario del credito e del suo ammontare nella dichiarazione non appaiano in grado, di per sé, di produrre l’illegittimità della cessione del credito.

Il collegio, nel cassare la pronuncia impugnata, ha accolto l’originario ricorso avanzato dal contribuente decidendo nel merito.

 

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