Recentissime in tema di diritto fallimentare
Prima di passare in rassegna le novità introdotte dalla normativa emergenziale, si fa presente che il 20 novembre 2020 è entrato in vigore il D. Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. “Decreto correttivo”) contenente importanti disposizioni integrative al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.d. Codice della crisi e dell’insolvenza). Tra le principali novità si segnalano:
(i) la nuova definizione di crisi d’impresa, con l’eliminazione del riferimento alla “difficoltà economico-finanziaria” per attribuire invece rilievo allo “squilibrio economico-finanziario” idoneo a rendere probabile l’insolvenza del debitore. Tale squilibrio va evidenziato sulla base della non sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e dell’assenza di prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o nei sei mesi successivi se la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi. La nozione di crisi viene quindi espunta dal riferimento allo stato di “difficoltà economico-finanziaria” e ricollegata ad un concetto di squilibrio economico-finanziario, al fine di circoscrivere l’ambito di applicazione delle misure di allerta ad una effettiva e concreta situazione di crisi (reversibile), riducendo il rischio di segnalazioni in via eccessivamente anticipata, tenuto conto dei correlativi effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare sulla continuità aziendale del debitore, oggetto della segnalazione;
(ii) l’innalzamento delle soglie rilevanti ai fini dell’attivazione della c.d. allerta esterna da parte dell’Agenzia delle Entrate, richiedendo a tal fine un’IVA non versata per 100.000 euro per le imprese con un volume d’affari risultante dalla dichiarazione per l’anno precedente non superiore a 1 milione di euro, per 500.000 euro per le imprese con un volume d’affari fino a 10 milioni di euro e per 1 milione di euro per le imprese con un volume d’affari superiore a 10 milioni di euro ed introducendo un termine entro il quale tali obblighi devono essere adempiuti (entro e non oltre 60 giorni dal periodo di presentazione della dichiarazioni relative all’anno successivo);
(iii) la possibilità per il pubblico ministero di intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, e non più quindi una legittimazione esclusivamente finalizzata alla richiesta di apertura della liquidazione giudiziale;
(iv) l’estensione del regime della prededucibilità, oltre alle già previste ipotesi, anche nel caso di (a) crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore e la continuazione dell’esercizio dell’impresa, i crediti derivanti da attività non negoziali degli organi preposti, purché connesse alle loro funzioni, i crediti risarcitori derivanti da fatto colposo degli organi predetti, il loro compenso e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi e (b) finanziamenti, nell’ambito di procedure di concordato preventivo ovvero di accordi di ristrutturazione, funzionali alla presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti.
Il Decreto Correttivo interviene altresì sul diritto societario della crisi ed in particolare sugli artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies e 2475 del codice civile, prevedendo, quale elemento di novità, l’introduzione a tutte le suddette norme dell’inciso “l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086 cod. civ. spetta esclusivamente agli amministratori”. Si chiarisce così che agli amministratori delle società di persone e a responsabilità limitata è affidata in via esclusiva solamente l’istituzione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili – funzionali alla tempestiva emersione della crisi d’impresa e della perdita della continuità – e non già l’intera amministrazione societaria che potrà continuare ad essere oggetto di condivisione con i soci non amministratori. Si pone così rimedio all’equivoco sorto in merito al contenuto originario della disposizione di cui all’art. 377 della Codice della crisi.
Novità in tema di diritto concorsuale introdotte a seguito dell’emergenza COVID-19
Il diritto emergenziale scaturito dal diffondersi della pandemia, e in particolar modo il D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. “Decreto Liquidità” – convertito con legge 15 giugno 2020, n. 40), è intervenuto, inter alia, anche in tema di fallimento e procedure concorsuali. Si esamineranno brevemente qui di seguito gli effetti che la normativa d’urgenza ha avuto (e continua ad avere) nonché le criticità più rilevanti.
Rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
In primo luogo, il Decreto Liquidità (art. 5) ha rinviato al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, la cui entrata in vigore era originariamente prevista per agosto 2020. La disciplina del nuovo e tanto atteso Codice è stata definita eccessivamente «creditor-oriented» in uno scenario pandemico, ma non si può fare a meno di notare che questa riforma è figlia di un intervento volto a colmare una lacuna di tutela da più parti invocata. Il rinvio della sua entrata in vigore appare, dunque, un’ulteriore compressione dei diritti creditori già per troppo tempo scarsamente presidiati.
Improcedibilità della dichiarazione di fallimento
Per effetto dell’art. 10, co. 1 del Decreto Liquidità, le istanze di fallimento depositate nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 erano da dichiararsi improcedibili senza previa verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità previste dalla legge fallimentare. Due le eccezioni: il giudice non poteva dichiarare ex lege improcedibili (i) le richieste di “fallimento in proprio”, ove l’insolvenza non fosse giustificata dalla situazione emergenziale e (ii) le richieste di fallimento depositate dal solo P.M. contenenti richieste di provvedimenti cautelari o conservativi ex art 15, co. 8 L.F., a tutela del patrimonio o dell’impresa, con l’intento in quest’ultimo caso di prevenire condotte dissipative a rilevanza penale che rischiavano di essere sostanzialmente permesse in caso di generale improcedibilità delle domande di fallimento.
Attenta dottrina si è focalizzata sulla questione dell’improcedibilità. Stando alla relazione illustrativa, le rationes di questa previsione risiedevano nella necessità di (i) sottrarre il ceto imprenditoriale alla pressione crescente delle istanze di fallimento forse provenienti da fattori straordinari e (ii) limitare il flusso di istanze nei confronti di uffici giudiziari già in forti difficoltà. Secondo alcuni autori[1] era ragionevole escludere che l’art. 10, co. 1 del Decreto Liquidità potesse determinare la chiusura del procedimento imponendo la riproposizione della domanda dopo il 30 giugno 2020. Invero e assai probabilmente, la norma non ha inteso prevedere un’improcedibilità in stretto senso tecnico-processuale, essendo la dichiarazione d’improcedibilità un provvedimento notoriamente a carattere definitivo, in grado, quindi, di definire le sorti di un giudizio pendente. Per tali autori era più opportuno pensare a una “improcedibilità provvisoria” (rectius: una sospensione extra ordinem) dichiarata de plano dal Presidente del Tribunale o della Sezione competente. Ciò, non soltanto in ossequio al principio di economia processuale, ma anche a tutela anche dei creditori istanti – anch’essi verosimilmente danneggiati dalle conseguenze economiche della pandemia.
Di diverso avviso, invece, una circolare della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano[2], secondo cui: “le procedure successive al 9.3.2020 […]verranno d’ufficio enucleate dal giudice relatore che le porterà al primo collegio utile successivo alla Pasqua, 16.04.2020, ad esempio, per la declaratoria di improcedibilità da parte del collegio.” Tale impostazione induce a ritenere che le dichiarazioni di fallimento depositate nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 dovessero essere respinte per improcedibilità ed eventualmente riproposte successivamente a tale ultima data. In senso analogo si sono espressi anche il Tribunale di Firenze[3] e ancor di più il Tribunale di Novara. A giudizio di quest’ultimo: “Il legislatore, insomma, come si è poc’anzi ricordato, non vuole alcun rinvio, ma un’immediata eliminazione dei ricorsi di fallimento per il periodo andante dal 9 marzo al 30 giugno, e non è consentito sostituire al suo dictumuna soluzione diversa da lui non voluta.”.[4]
Proroga dei termini di adempimento delle procedure omologate
In tema di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, accordi di composizione della crisi e piani del consumatore già omologati, l’art. 9 del Decreto Liquidità ha disposto la proroga ex lege di sei mesi dei termini di adempimento aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020. Ciò con conseguente dilatazione delle procedure concorsuali, ancora una volta a svantaggio dei creditori.
Rimodulazione dei concordati e degli accordi di ristrutturazione
Ai sensi dell’art. 9, co. 2 del Decreto Liquidità, nei procedimenti per l’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020, il debitore era ed è legittimato a presentare, sino all’udienza fissata per l’omologa, apposita istanza per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell’art. 161 L.F. o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis L.F.
In particolare, per i procedimenti di omologazione pendenti al 23 febbraio 2020 – per i quali si è già provveduto al deposito del piano e/o dell’accordo di ristrutturazione – era ed è prevista la possibilità per il debitore di presentare sino all’udienza fissata per l’omologa:
- istanza per la fissazione di un nuovo termine – non superiore a 90 giorni, non prorogabile, a decorrere dal provvedimento che lo concede – per la presentazione di un “nuovo” piano e di una “nuova” proposta concordataria ovvero di un nuovo accordo di ristrutturazione, non necessariamente migliorativo per la soddisfazione dei creditori concorsuali; ovvero, laddove il debitore intenda modificare esclusivamente i termini di adempimento del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti,
- “memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini” di adempimento del concordato o dell’accordo di ristrutturazione, non superiore a “sei mesi rispetto alle scadenze originarie”, depositando altresì la documentazione comprovante la necessità della modifica dei termini. In caso di omologa, il Tribunale potrà recepire tali nuovi termini differiti di adempimento, senza possibilità per i creditori di poter eccepire nulla in merito.[5]
Anche questo intervento non è esente da profili critici e opacità. Non è chiaro, innanzitutto, in cosa consista la novità richiesta dal legislatore d’emergenza in relazione al piano e alla proposta di concordato, nonché all’accordo di ristrutturazione. Il dubbio interpretativo si declina nei termini che seguono: la novità degli atti summenzionati deve risiedere nell’impossibilità di attuazione di quelli precedenti a causa dell’emergenza pandemica oppure è da intendersi in senso formale, essendo sufficiente l’intenzione di presentare un piano, proposta o accordo, a prescindere dalle ragioni che ne determinerebbero la riproposizione?[6]
Il quesito non è mero esercizio teorico di marginale utilità pratica, anzi è di cruciale importanza per chi tali atti deve eseguirli. Se, ad esempio, per aversi un “nuovo” accordo di ristrutturazione basta presentare sic et simpliciter un nuovo accordo, allora la motivazione richiesta per tale atto sarà indubbiamente più scarna; per contro, nel caso in cui un “nuovo” accordo di ristrutturazione sia tale per impossibilità di attuazione del precedente, tale circostanza andrà debitamente indicata e motivata nella relativa istanza, pena il rigetto della medesima[7].
In dottrina[8] si è evidenziato che stabilire “quando una proposta o un piano siano “nuovi” e non contengano invece semplici modifiche non strutturali, è valutazione che dovrebbe compiersi secondo le regole generali, ma probabilmente non vi sarà modo e motivo per effettuare in concreto, se non ex post, visto che il Tribunale non può sapere, quando la domanda di proroga viene presentata, quale sarà il contenuto di quella che il debitore indica come futura nuova proposta o di quello che indica come futuro nuovo piano”. Inoltre, l’assenza di presupposti per la richiesta del termine lascerebbe intendere che la concessione dello stesso da parte del Tribunale sia quasi automatica.[9]
La norma poi non pone limiti alla modifica della proposta: il Tribunale si troverà quindi nella situazione di dover svolgere un nuovo giudizio di ammissibilità in una procedura già formalmente aperta con il decreto ex art. 163 L.F., sulla base di un piano e di una proposta originari non più attuali. In caso di esito negativo di tale giudizio, l’unico rimedio sembrerebbe essere quello della revoca dell’ammissione ex art. 173 L.F.[10]
Procedure che si trovano nel c.d. “periodo finestra”
Con specifico riguardo alle procedure che si trovano nel c.d. “periodo finestra” ex art. 161, co. 6, L.F. a seguito di deposito del c.d.“concordato in bianco”, è prevista la possibilità di poter ottenere una speciale e ulteriore proroga “fino a novanta giorni” del termine di deposito (“che sia stato già prorogato dal Tribunale” ex art. 161, co. 6, L.F.), sulla base delle documentate esigenze sorte per “fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica Covid-19” e ciò “anche nel caso in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento” (art. 9, co. 4, Decreto Liquidità)[11]. In questo caso, il legislatore d’emergenza è stato specifico, individuando le motivazioni che devono sorreggere una simile domanda di proroga.
Proroga del c.d. automatic stay
L’ultima misura prevista dall’art. 9 del Decreto Liquidità è la possibilità di richiedere una proroga fino a ulteriori novanta giorni del termine del c.d. automatic stay – ossia la sospensione delle azioni esecutive e cautelari individuali nel periodo delle trattative anteriore all’accordo di ristrutturazione già concretizzato ex art. 182-bis, co. 7, L.F. Anche in questo caso, la sospensione è consentita soltanto a condizione che la necessità di tale proroga si fondi sulla prova di fatti sopravvenuti per effetto della crisi COVID-19.
Ulteriori novità
Si segnalano infine due ulteriori novità, introdotte in sede di conversione del Decreto Liquidità, in tema di concordati preventivi e accordi di ristrutturazione dei debiti. Si tratta prima di tutto della possibilità, per l’imprenditore che entro il 31 dicembre 2021 abbia già ottenuto la concessione dei termini di cui agli artt. 161, co. 6, L.F. oppure all’art. 182 bis, co. 7, L.F., di rinunciare (entro i medesimi termini) alla relativa domanda, sostituendola con un piano di risanamento attestato ai sensi dell’art. 67, co.3, lett. d), L.F. che sia stato pubblicato nel registro delle imprese.
La seconda novità si sostanzia invece nella disapplicazione della previsione di cui all’art. 161, co. 10 L.F. alle domande di “concordato in bianco” evitando, pur in presenza di istanza di fallimento, la circoscrizione del periodo per completare il deposito della documentazione richiesta.
Nelle attuali circostanze, la normativa d’emergenza in tema di insolvenza ha posto l’accento su alcune questioni teoriche e pratiche. Appare ingiustificato l’eccessivo favor accordato ai debitori, atteso che tanto i creditori quanto i debitori sono e sono stati colpiti in ugual misura dall’ancora viva crisi economica. A ciò si sono aggiunte alcune incertezze ermeneutiche e conseguenti discrasie applicative, sfuggendo un’opportunità per ricalibrare alcuni disequilibri nel contesto della legislazione fallimentare e concorsuale.
[1] Costantino, Giustizia civile ed emergenza coronavirus – emergenza sanitaria e procedure concorsuali, in Giur. It., 2020, 8-9, 2044 (commento alla normativa); De Santis, La giustizia concorsuale ai tempi della pandemia, Fallimento, 2020, 5, 609 (commento alla normative); contra: Macagno, La legislazione d’emergenza e i processi fallimentari, Fallimento, 2020, 5, 697 (commento alla normativa) secondo cui: “il collegamento imposto tra la dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi e la sterilizzazione del periodo indicato ai fini dei termini exartt. 10 e 69 bis l. fall. ostacola quella che potrebbe essere un’interpretazione delle “improcedibilità” nel senso di una atipica sospensione”.
[2] Tribunale di Milano, “Circolare per periodo 16.04.2020/11.05.2020 e per c.d. fase B sino al 30 giugno 2020 – Linee guida per il comportamento”, p. 13.
[3] Tribunale di Firenze, Decreto n. 60/2020 – 30 aprile 2020, p. 4.
[4] Tribunale di Novara, Decreto n. 21/2020 – 14 aprile 2020, p. 24. Il Presidente aggiunge: “Non contano, perciò, essendo del tutto irrilevanti, nemmeno le eventuali concorrenti ragioni che potrebbero condurre a rigettare l’istanza de plano, neppure se esse emergano ex actisin modo evidente, dovendo e potendo provvedersi soltanto dando corso alla declaratoria di improcedibilità, stante il suo carattere processualmente e logicamente pregiudiziale, il quale per definizione esclude la possibilità di un esame nel merito.”
[5] Si segnala come in fattispecie relative alla richiesta di proroga dei termini di adempimento di accordi di ristrutturazione, alcuni Tribunali hanno preso atto della richiesta di modifica dei termini, rappresentando come la stessa fosse “in linea con le previsioni della legge 40 2020”, senza esprimersi in merito alla documentazione depositata a supporto della necessità di proroga dei termini – cfr. Tribunale di Lanciano, Decreto 2 ottobre 2020.
[6] Sia nella relazione illustrativa che nella relazione tecnica del Decreto Liquidità, il termine così concesso risulterebbe essere finalizzato alla presentazione ex novo di una proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione, così da poter consentire al debitore di “tenere conto dei fattori economici sopravvenuti per effetto della crisi epidemica”.
[7] Tribunale di Teramo, Decreto 3 giugno 2020; il Tribunale in tale fattispecie ha concesso il termine di 90 giorni per il deposito di un nuovo piano, una nuova proposta e nuove attestazioni, al fine di tenere in considerazione le “negative ripercussioni determinate dall’attuale situazione emergenziale che potrebbero inficiare il puntuale soddisfacimento dei creditori”.
[8] Lamanna, “Le misure temporanee previste dal Decreto Liquidità per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione”,www.fallimentarista.it, 2020.
[9] Ambrosini, “La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole”, in www.ilcaso.it, 2020: “Il meccanismo previsto nel predetto secondo comma, a differenza della proroga di cui al primo, presuppone un atto di impulso del debitore, ma non contempla alcuna valutazione da parte del tribunale, che è quindi tenuto a concedere il termine richiesto, salvo il caso, di cui si diceva, di inammissibilità dell’istanza“.
[10] Nardecchia, “Legislazione emergenziale: il concordato preventivo”, Fallimento, 2020, 7, 885 (commento alla normativa).
[11] Tribunale di Milano, Decreto 15 maggio 2020; Tribunale di Teramo, Decreto del 6 luglio 2020.In particolare, tale ultimo Tribunale ha ritenuto “sussistenti nel caso in esame concreti e giustificati motivi aventi specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 avendo la debitrice rappresentato che sono in corso di elaborazione, da parte dell’advisorfinanziario da essa incaricato, un piano e una proposta che tengano conto ‘del mutato scenario COVID-19’ (…)”.