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La riforma delle procedure concorsuali: arriva il decreto correttivo

22 Ottobre 2020

Luciano Panzani, già Presidente Corte d’Appello di Roma e membro della Commissione Rordorf per la riforma delle procedure concorsuali

Di cosa si parla in questo articolo

Il Consiglio dei Ministri del 18 ottobre ha approvato il testo definitivo del decreto correttivo del codice della crisi e dell’insolvenza, dopo che le Commissioni parlamentari di Camera e Senato ed il Consiglio di Stato avevano dato parere favorevole suggerendo peraltro diverse modifiche, che sono state accolte dal Governo soltanto in minima parte. Il decreto correttivo viene emanato dopo che l’entrata in vigore del Codice è stata rinviata, com’è noto, al 1 settembre 2021 dal d.l. 23/2020 ( decreto liquidità). Il provvedimento viene emanato in attuazione della legge delega 8 marzo 2019, n. 20 che concedeva al governo due anni dall’entrata in vigore del CCII per apportare le necessarie correzioni al nuovo codice.

Diamo qui conto delle modifiche più rilevanti al Codice della crisi, con l’avvertenza che nel momento in cui scriviamo ancora il testo non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Le modifiche si sono rese necessarie sia per porre rimedio ai numerosi refusi e difetti di coordinamento tra norme che molti, studiosi e pratici, avevano segnalato al Ministero, sia per modificare alcune delle soluzioni adottate dal legislatore della riforma. Chi peraltro pensava a sostanziali cambiamenti di rotta è rimasto deluso sia perché il Ministero della Giustizia era vincolato ai principi espressi dalla legge delega ( legge 155/2017) sia perché il Ministero non ha ritenuto di accogliere se non in minima parte le richieste che erano state formulate dai rappresentanti del mondo delle imprese e delle professioni, in particolare da Confindustria e dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti. Va poi aggiunto che il Governo non ha ritenuto con il correttivo di intervenire per coordinare il Codice con la Direttiva UE 1023/2020 sui quadri di ristrutturazione preventiva. Una messa a punto in questo senso si renderà peraltro necessaria ed è auspicabile che essa intervenga prima che il nuovo Codice entri in vigore. Va poi aggiunto che ulteriori adattamenti potrebbero essere resi necessari dall’evolversi della crisi pandemica. Taluni si sono peraltro espressi per un rinvio sine die del Codice, ipotesi questa su cui è certamente prematuro pronunciarsi.

Vediamo dunque le principali novità, ricordando che sono già in vigore le disposizioni elencate nell’art. 389, co. 2, del Codice e quindi l’attribuzione della competenza alle sezioni specializzate dell’impresa per le procedure di amministrazione straordinaria, parte delle norme relative all’albo dei soggetti incaricati delle funzioni di gestione e controllo delle procedure, le norme relative agli assetti organizzativi dell’impresa ( art. 2086 c.c.) e delle società ( artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies, 2475 c.c.), alla responsabilità degli amministratori e alla nomina degli organi di controllo ( artt. 2476 e 2477 c.c.).

Il Ministero è anzitutto intervenuto su questa nuova disciplina degli assetti delle società e delle imprese collettive che devono essere idonei a rilevare tempestivamente i primi segnali della situazione di crisi, soprattutto finanziaria.

Il Codice della crisi ha modificato l’art. 2086 c.c. prevedendo l’obbligo delle società e delle imprese collettive di munirsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili “adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”. Il Codice ha anche adeguato la disciplina di tutti i tipi di società, sia di persone che di capitali, affermando il principio che la competenza e la responsabilità dell’adeguamento gravano esclusivamente sugli amministratori. Ma nell’affermare che l’amministrazione spettava esclusivamente agli amministratori il legislatore non si è accorto che la parola “amministrazione” ha una duplice valenza riguardando gli assetti organizzativi, ma anche e soprattutto l’attività di gestione della società. Tale previsione ha generato delle incertezze interpretative, poiché, sovrapponendo il piano dell’organizzazione con quello gestorio, contraddice le numerose disposizioni del codice civile che, al contrario, consentono di affidare ai soci competenze tipicamente gestorie (così, ad esempio, l’art. 2479 c.c. per la s.r.l.) o particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società (così l’art. 2468, comma terzo, del codice civile, sempre per la s.r.l.).

Era stato quindi segnalato che il nuovo testo degli artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies e 2475 affermando non soltanto che la gestione dell’impresa si doveva svolgere nel rispetto dell’art. 2086, ma che essa spettava esclusivamente agli amministratori, modificava sensibilmente la governance delle società di persone e della s.r.l. senza che questa fosse stata l’intenzione del legislatore e senza che tale modifica rientrasse nella previsione della delega. L’art. 40 del Correttivo modifica direttamente le norme del codice civile ( gli artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies, 2475) mantenendo il testo vigente prima della riforma e aggiungendo l’inciso “l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086 c.c. spetta esclusivamente agli amministratori”. Si è quindi posto rimedio ad una evidente svista.

Rimane invece inascoltato il desiderio di modificare la norma, già in vigore, che impone alle società che prima non superavano i requisiti dimensionali di adeguarsi alla nuova disciplina e di munirsi dell’organo di controllo o del revisore. Va ricordato, a questo proposito, che i limiti dimensionali indicati dall’art. 2477 c.c. erano stati originariamente portati dal Codice della crisi a far tempo dal 16 marzo 2019 a 2 milioni di euro di attivo dello stato patrimoniale; a 2 milioni di euro di ricavi delle vendite e delle prestazioni; a 10 unità di dipendenti occupati in media durante l’esercizio. Il d.l. 24 giugno 2014, n. 91, ha poi innalzato al doppio questi limiti, recependo il diffuso disagio delle piccole imprese a dotarsi dell’organo di controllo per via dei maggiori costi che ne sarebbero derivati. Il decreto correttivo non interviene più su questo punto, sì che pare che le soglie oltre le quali è obbligatoria la presenza del sindaco o del revisore non verranno ulteriormente modificate.

Va invece segnalato che il Correttivo modifica la definizione di crisi di cui all’art. 2 del Codice. Il testo originario definiva la crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Il testo attuale sostituisce le parole “difficoltà economico-finanziaria” con l’espressione “squilibrio economico-finanziario”, avvicinando la nozione di crisi a quella d’insolvenza. In tal modo le segnalazioni della situazione di crisi previste dalla disciplina dell’allerta potrebbero scattare in un momento leggermente successivo, con ciò venendo incontro ai timori di chi, nel mondo delle imprese ha visto la nuova disciplina come un problema. In realtà la modifica avrà scarsa incidenza perché l’identificazione della situazione di crisi dipende pur sempre dal requisito aziendalistico previsto nella seconda parte della definizione, che si traduce poi negli indicatori ed indici che debbono essere elaborati dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ai sensi dell’art. 13 del Codice. A questo proposito l’art. 3 del decreto correttivo interviene sulla rubrica del predetto art. 13 che ora si intitola «Indicatori e indici della crisi», chiarendo così la differenza tra i vari elementi che denotano l’emersione della situazione di squilibrio dell’impresa che devono individuare la «non sostenibilità» dei debiti per almeno sei mesi successivi e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore ai sei mesi, nei sei mesi successivi.

Com’era già noto, il Correttivo modifica l’art. 15 del Codice per quanto concerne le soglie oltre le quali sorge l’obbligo di segnalazione relativo all’allerta esterna per quanto riguarda l’Agenzia delle Entrate. Le soglie, che riguardano l’Iva non versata, sono di 100.000 euro per un volume d’affari risultante dalla dichiarazione per l’anno precedente non superiore a 1 milione di euro, 500.000 per un volume d’affari fino a 10 milioni, 1 milione per un volume d’affari superiore. Si stabilisce inoltre in modo più preciso il termine entro il quale l’Agenzia deve effettuare la comunicazione.

Ancora in tema di allerta viene modificato l’art. 17 del Codice prevedendo che il referente presso la Camera di commercio dia notizia della segnalazione ricevuta dall’organo di controllo o dai creditori istituzionali ( ovvero anche dell’istanza del debitore in proprio) non soltanto all’organo di controllo della società, ma anche al revisore contabile o alla società di revisione. Si prevede inoltre che uno dei tre esperti del collegio dell’OCRI avanti al quale comparirà l’imprenditore sia designato dall’associazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore, scegliendo tra tre nominativi indicati da quest’ultimo. Si vuole in questo modo fare in modo che il Collegio OCRI sia composto anche da un soggetto “amico” dell’imprenditore, in modo da rendere più agevole il rapporto tra quest’ultimo ed il collegio. Ancora va segnalato che, modificando il terzo comma dell’art. 19, si prevede che il collegio possa attestare la veridicità dei dati aziendali su presentazione della domanda di concordato preventivo o di omologa degli accordi di ristrutturazione da parte del debitore, soltanto quando almeno uno dei componenti del collegio abbia i requisiti di legge per svolgere le funzioni di esperto attestatore.

Va poi sottolineato che la prima popolazione dell’Albo dal quale dovranno essere tratti gli esperti che compongono il collegio dell’OCRI sarà effettuata con coloro che oggi hanno svolto almeno due incarichi di curatore fallimentare, commissario giudiziale o liquidatore (non più quattro – art. 356 CCII come modificato). A regime potranno essere iscritti gli avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro e coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione direzione e controllo in società di capitali o cooperative ai sensi dell’art. 358 del codice e che abbiano adempiuto agli obblighi di formazione previsti dall’art. 4 del DM 24 settembre 2014, n. 202, relativo agli OCC nelle procedure di sovraindebitamento. Condizione per il mantenimento dell’iscrizione è la frequenza ai corsi di aggiornamento biennale organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura.

Con la modifica dell’art. 38 del Codice il Correttivo rafforza i poteri del P.M. precisando che questi può intervenire in tutti i procedimenti diretti all’apertura di una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza. In questo modo il ruolo del P.M. è sempre più scisso dall’esercizio dell’azione penale per assumere la funzione di tutore dell’integrità del sistema economico.

Il correttivo rivede i requisiti del piano che costituisce il presupposto comune di tutte le procedure di ristrutturazione dell’impresa in crisi ( piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo). Si stabilisce infatti che al piano deve essere allegato il piano industriale e debbono essere indicati i suoi effetti sul piano finanziario. In tal modo i creditori e, occorrendo, il tribunale sono messi in grado di meglio controllare il progetto presentato dal debitore per la ristrutturazione. Nel caso del piano attestato e degli accordi di ristrutturazione, inoltre, il piano deve comprendere l’elenco dei creditori estranei e l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla scadenza. Si tratta di indicazioni che rientravano già tra le buone prassi seguite dai professionisti della ristrutturazione, ma che ora, diventando obbligatorie contribuiranno ad impedire la presentazione di piani poco fondati, redatti al solo scopo di guadagnare tempo.

Ancora in materia di accordi di ristrutturazione va segnalata la previsione, inserita nel testo dell’art. 44 del Codice che riguarda la disciplina del concordato o dell’accordo di ristrutturazione con riserva, che il tribunale possa sempre, a sua discrezione, nominare il commissario giudiziale. Il Codice aveva previsto l’obbligatorietà della nomina nel caso in cui la domanda di omologazione dell’accordo fosse presentata in pendenza di istanze di liquidazione giudiziale. Ora anche al di fuori di queste ipotesi il tribunale può valutare l’opportunità della nomina a tutela dei creditori ed a garanzia della serietà della proposta. Va sottolineato che questa ed altre norme, alcune delle quali già inserite nel testo originario del Codice, vanno nella direzione di ridurre le caratteristiche originarie degli accordi di ristrutturazione, che erano stati inizialmente concepiti nel 2005, quando erano stati introdotti nella nostra legislazione, come una procedura con caratteristiche pressoché esclusivamente negoziali, fondata sull’accordo tra i creditori ed il debitore sul quale il tribunale interveniva soltanto nel caso di opposizione dei creditori, in particolare dei creditori estranei all’accordo. Ora la procedura assume sempre di più carattere obbligatorio e vincolante per tutti i creditori, come risulta dal fatto che i creditori estranei vedono differito il tempo di pagamento dei loro crediti ( 120 giorni dall’omologazione o dalla scadenza se successiva), possono essere disposte misure protettive di sospensione delle azioni esecutive dei creditori, l’accordo, negli accordi ad efficacia estesa, può essere vincolante anche per i creditori titolari di crediti omogenei appartenenti alla medesima categoria di quelli che aderiscono (purché le adesioni raggiungano il 75%), salva l’opposizione davanti al tribunale.

Il Correttivo ha mantenuto con qualche cambiamento di lessico anche la previsione dell’art. 48 che gli accordi possano essere omologati in difetto di adesione dell’Amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali quando la proposta sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. La norma si riferisce ora espressamente anche al concordato preventivo.

Anche il regime dei crediti in prededuzione per gli accordi è analogo a quello del concordato ed esso è stato esteso ai finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di concordato o di omologazione degli accordi, a condizione che essi siano previsti dal piano e che il tribunale espressamente disponga in tal senso. La nomina del commissario giudiziale con i suoi poteri di controllo sull’operato del debitore va nella medesima direzione. Più in generale la nozione di crediti in prededuzione dettata dall’art. 6 del Codice è stata arricchita con la previsione dei crediti derivanti da attività non negoziali degli organi preposti purchè connesse alle loro funzioni e dei crediti risarcitori derivanti da fatto colposo degli organi predetti.

A proposito degli accordi di ristrutturazione va sottolineato che negli accordi ad efficacia estesa, quelli potenzialmente vincolanti anche per i creditori estranei cui si è accennato, è stato mantenuto il requisito che l’accordo non abbia carattere liquidatorio e preveda la continuazione dell’attività d’impresa ( tranne che nel caso di accordi conclusi con le banche e gli intermediari finanziari), ma è stato soppresso l’ulteriore requisito, previsto dal Codice della crisi, che richiedeva che i creditori venissero soddisfatti in misura significativa e prevalente dal ricavato della continuità aziendale. Tale requisito, infatti, non previsto dalla legge delega (che invece richiede la prevalenza per il concordato preventivo), rendeva inutilmente più difficoltoso l’accesso alla procedura.

Sia per gli accordi che per il concordato preventivo il Correttivo interviene, dopo che il codice della crisi aveva già previsto il potere del giudice di sindacare la fattibilità economica del piano, sulla nota formula, inaugurata dalle Sezioni Unite della Cassazione, “fattibilità giuridica ed economica”. Si sostituisce fattibilità giuridica con la più esatta espressione “ammissibilità” , riservando il termine fattibilità alla sola fattibilità economica.

Il correttivo incide anche sulla durata delle misure protettive, essenzialmente la sospensione delle azioni esecutive e la sospensione degli obblighi relativi all’integrità del capitale sociale in caso di perdite, che possono essere chieste dall’imprenditore nel corso della procedura di composizione assistita della crisi e poi presentando domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione o di concordato preventivo. Si migliora la disciplina del procedimento per la concessione o la conferma della misura, precisando che essa non può aver durata superiore ai quattro mesi, come previsto dalla già citata Direttiva 20 giugno 2019 dell’UE. Non si dice nulla però sulle modalità con cui potrà essere concessa la proroga della misura sino al massimo di dodici mesi, come previsto dalla Direttiva ed anche dall’art. 8 del Codice. Si tratta di una lacuna che andrebbe colmata.

Il Correttivo ha riscritto gli artt. 54 e 55 del Codice che regolano il procedimento per la concessione e la conferma delle misure protettive e cautelari, migliorando notevolmente il testo originario.

La disciplina della continuità diretta ed indiretta nel concordato preventivo rimane immutata, salvo una miglior formulazione del testo legislativo e la soppressione dell’inciso, ai fini della determinazione del requisito della prevalenza del ricavato della continuità rispetto all’attività liquidatoria, che permetteva di computare nel provento della continuità anche la cessione del magazzino. Dalla relazione illustrativa sembra ricavarsi peraltro che tale requisito possa considerarsi implicito.

Si precisa invece, sciogliendo un punto che era rimasto incerto, che nel caso di pagamento differito dei crediti ipotecari, pignoratizi e privilegiati su beni utilizzati per la prosecuzione dell’impresa, la moratoria prevista dall’art. 86 del codice non può andare oltre i due anni.

E’ ovviamente impossibile dar conto di tutte le modifiche nello spazio a disposizione. Qui ci siamo concentrati su allerta e procedure conservative dell’impresa. Meritano tuttavia di essere citate, tra le tante, le norme che migliorano la disciplina del sovraindebitamento, in particolare la revisione del potere dei creditori di chiedere l’apertura della liquidazione controllata del debitore sovraindebitato, vale a dire dell’imprenditore sotto soglia, dell’imprenditore non commerciale e del debitore civile. Per queste ipotesi il testo originario del Codice della crisi, prima delle modifiche introdotte su richiesta delle Commissioni parlamentari, non prevedeva poteri di iniziativa dei creditori. La liquidazione controllata era lasciata alla mera iniziativa del debitore. I creditori avrebbero dovuto tutelarsi con le sole azioni esecutive individuali. Il Codice della crisi ha previsto invece il potere di iniziativa dei creditori con l’ovvia conseguenza che sui tribunali si sarebbe abbattuta una valanga di domande proposte dai creditori non al fine di aprire la procedura, ma, come avveniva in passato prima della riforma del 2005 della legge fallimentare, di premere sul debitore per essere pagati. Ora il Correttivo corre ai ripari, modifica l’art. 268 e prevede che il creditore possa proporre la domanda, ma che non si faccia luogo all’apertura della procedura se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è inferiore ad euro 20.000. Inoltre quando la domanda del creditore è proposta nei confronti di un debitore persona fisica non si fa luogo alla liquidazione controllata se l’OCC, su richiesta del debitore, attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie.

 

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