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Antiriciclaggio: il “Rapporto Interpol” sulle più recenti tendenze criminali nel mercato mondiale dei rifiuti di materie plastiche

21 Ottobre 2020

Giampaolo Estrafallaces, Consigliere senior, Banca d’Italia

Di cosa si parla in questo articolo
AML

Sommario[*]: 1. Premessa; 2. I fattori della negligenza e del doloso perseguimento del profitto; 3. La modifica della geografia dei Paesi importatori di rifiuti di sostanze plastiche; 3.1. Le rotte transregionali: alcuni esempi; 3.2. Le rotte regionali europee; 4. Una seconda tendenza criminale emergente; 5. Le raccomandazioni dell’Interpol per anticipare i rischi insiti nel settore del commercio e della lavorazione illegale dei rifiuti di materie plastiche: scelte di policy e di law enforcement; 6. Considerazioni conclusive.

 

1. Premessa

Secondo fonti autorevoli[1], l’incremento su scala globale del consumo pro capite di plastica ha avuto come diretta conseguenza l’aumento, a partire dal 2010, della massa di rifiuti di tale materiale a un ritmo annuo di circa 10 milioni di tonnellate, fino a raggiungere quasi 360 milioni di tonnellate prodotte nel 2018.

Nel contempo, si è sviluppato un mercato internazionale della plastica da riciclare considerato high value market”in relazione alle opportunità di guadagni che riesce a offrire[2] sia nel campo energetico mediante l’incenerimento dei rifiuti, sia in quello del recupero di materie prime attraverso specifici trattamenti cui sono sottoposti i rifiuti della specie.

In tale contesto è di recente intervenuto un mutamento di rilievo in quanto la Cina, che per decenni aveva acquistato quasi la metà dei rifiuti di materie plastiche del mondo[3], ha deciso di limitarne le importazioni a far data da gennaio 2018, determinando negli esportatori di tale tipo di rifiuti l’esigenza di individuare destinazioni alternative.

A parere dell’Interpol, la ricerca di nuovi siti di stoccaggio e lavorazione di rifiuti plastici potrebbe aver stimolato pratiche illegali, cioè l’offerta da parte della criminalità di soluzioni che violano le norme destinate a disciplinare il commercio o che regolano la lavorazione di tale tipo di merce.

Per contribuire a comprendere ed arginare tali pratiche e il riciclaggio dei relativi proventi, l’Interpol ha condotto un’analisi[4] i cui risultati sono stati compendiati in un Rapporto (d’ora innanzi “Rapporto Interpol”) pubblicato alla fine di agosto del 2020[5], nel quale sono illustrate le più recenti tendenze criminali rilevate in tale ambito e sono state delineate raccomandazioni idonee ad affrontare questo tipo di minaccia in termini di law enforcement e di policy[6].

A tal fine, l’Interpol individua sei distinte fasi che rappresentano la c.d. “Value chain of plastic waste processing” composta dalla raccolta dei rifiuti, dal loro trasporto (ivi inclusi i trasferimenti transfrontalieri), dal processo per la differenziazione delle diverse tipologie di rifiuti, da quello di smaltimento (incenerimento o allocazione in discarica), dal procedimento per ottenere materiale da riciclare dai rifiuti e dal controllo degli stessi.

2. I fattori della negligenza e del doloso perseguimento del profitto

In ognuna delle fasi menzionate possono annidarsi opportunità per la criminalità imputabili a due distinti fattori: A. la negligenza; B. la violazione dolosa delle norme al fine di aumentare illecitamente i livelli di profitto.

A. Con riferimento al fattore della negligenza, essa si sostanzia nella violazione involontaria della normativa nazionale per lo più a causa della scarsa comprensibilità della stessa da parte degli operatori, agevolata dai repentini mutamenti delle politiche di importazione[7].

Pertanto, per mitigare questo rischio, è importante, a parere dell’Interpol, che le modifiche delle legislazioni nazionali di settore siano rese pubbliche mediante la trasmissione degli atti normativi al World Trade Organizationnonché agli organismi internazionali che si occupano della materia come il Segretariato della Convenzione di Basilea[8].

B. Quanto al secondo dei predetti fattori (violazione dolosa), va considerato che, sia la lavorazione che il commercio dei rifiuti plastici comportano, nelle loro diverse fasi, una serie di costi come, ad esempio, quelli per la realizzazione di infrastrutture compliant con le disposizioni di legge, quelli per la remunerazione del lavoro e il pagamento di imposte e tasse che la criminalità cerca di aggirare o ridurre illecitamente anche avvalendosi di approfondite conoscenze della normativa di settore[9].

I. Con riferimento ai processi di lavorazione, l’Interpol individua tre distinte tipologie di violazioni:

i.utilizzo illegale di siti di smaltimento[10]: l’illecito in questi casi si consuma sia nelle ipotesi in cui i siti siano privi delle prescritte autorizzazioni a causa del mancato rispetto delle normative ambientali, sia nei casi in cui, pur sussistendo l’autorizzazione prescritta, nel sito vengano trattati rifiuti il cui smaltimento non è consentito. In queste fattispecie, al profitto proveniente dal prezzo pagato da chi abbia necessità di smaltire rifiuti di materie plastiche si aggiungono i risparmi derivanti dal mancato versamento dei tributi quali, ad esempio, le tasse sui rifiuti a carico dei residenti il più delle volte a favore degli enti locali, quelle sul collocamento in discarica in favore del governo centrale, le tasse imposte ai soggetti che gestiscono la discarica ivi inclusa quella per il rilascio della licenza;

ii. incenerimento (inteso anche come trattamento dei rifiuti ad alta temperatura per ridurli in cenere e/o trarne energia) non consentito in quanto avviene in un sito non autorizzato o perché ha ad oggetto rifiuti non adatti a un trattamento termico. La finalità perseguita in tali casi consiste nel maggior profitto attraverso l’evasione delle imposte, come nel punto precedente, o mediante la generazione di energia che viene prodotta attraverso il trattamento termico di rifiuti inadatti a tale scopo;

iii. riciclaggio illegale, inteso come attività di ricezione di rifiuti riciclabili e la rivendita di materiale riciclato prodotto da parte di una struttura priva di apposita licenza o munita di licenza acquisita in modo fraudolento. Rientra in questa fattispecie anche il superamento della quota di importazione, nonché l’attività di trattamento dei rifiuti anche dopo la scadenza della licenza[11]. Come segnala l’Interpol, il riciclaggio illegale ha luogo principalmente nei paesi con economie in via di sviluppo e consente di generare maggiori profitti mediante il taglio dei costi legati al rilascio della licenza e a quelli che sarebbero sostenuti se fossero rispettate le norme a garanzia di una gestione ecologicamente corretta dei rifiuti come quelle sul controllo delle emissioni atmosferiche, degli scarichi e dello stoccaggio in sicurezza.

II. Riguardo alle pratiche illegali riconducibili al commercio di sostanze plastiche da riciclare, esse come detto, comprendono anche operazioni di trasferimento transfrontaliero non conformi alle normative sulle esportazioni fissate dal Paese di origine o sulle importazioni del Paese di destinazione.

Un elemento sul quale l’Interpol insiste è il ruolo che nel commercio illegale di rifiuti di materie plastiche possono giocare società terze (cioè diverse da quella di spedizione e ricezione dei rifiuti) nei paesi di transito, spesso caratterizzati dall’esistenza di free trade zone”e come tali da ritenersi – a causa della presunzione di minori controlli[12] – a maggior rischio di “reindirizzamento” della spedizione verso un Paese differente da quello originariamente dichiarato[13].

Anche nel commercio illegale di rifiuti plastici gli esportatori illegali evitano i costi di riciclaggio previsti dalla loro normativa e sfruttano i costi di manodopera (inferiori), le normative ambientali (meno raffinate) e la minore capacità di assicurare il rispetto della legge nei paesi di importazione.

Per converso, gli importatori illegali traggono profitto da rifiuti riciclabili a basso costo per produrre beni riciclati, evitando di sostenere i costi di licenza e quelli legati al rispetto delle normative ambientali.

In tale quadro si colloca quanto rilevato dall’Interpol in ordine alla circostanza che il traffico illecito di tale tipo di rifiuti avverrebbe frequentemente mediante l’utilizzo di documenti e dichiarazioni fraudolente.

In particolare, il “Rapporto Interpol” di agosto 2020 evidenzia che i rifiuti di materie plastiche sono, talora, esportati in violazione ai dettami della Convenzione di Basilea del 1989 in quanto nella documentazione accompagnatoria essi sarebbero classificati come materie prime o rifiuti destinati al recupero e, quindi, alla stregua di sostanze non pericolose, mentre in concreto si presenterebbero mescolati ad altre sostanze, cioè a quelle individuate negli allegati II[14] e VIII[15] della già citata “Convenzione”, ad esempio scorie di metallo. In altri casi, invece, i rifiuti plastici contaminati viaggerebbero occultati dietro contenitori classificati nei documenti di spedizione come “clean plastic waste”[16].

In altri casi ancora i documenti riporterebbero una destinazione diversa da quella reale[17].

Infine, le pratiche di commercio illegale potrebbero comprendere l’utilizzo di fatture false dalle quali si desumerebbe l’invio dei rifiuti a un impianto di riciclaggio regolarmente autorizzato, mentre in realtà il loro smaltimento viene di fatto realizzato irregolarmente dallo stesso soggetto incaricato del trasporto.

3. La modifica della geografia dei Paesi importatori di rifiuti di sostanze plastiche

Come accennato in premessa, il mercato dei rifiuti di materie plastiche è stato per lungo tempo dipendente dalla filiera cinese che si occupava del trattamento con finalità di recupero di materiali da riciclare. Questo spiegherebbe perché, in concomitanza con le restrizioni all’importazione di rifiuti disposte dalla Cina a partire dal 2018, si è registrato un impatto rilevante sul mercato mondiale di tale tipo di rifiuti con conseguenti aggiustamenti commerciali e nuove regole in molti altri Paesi.

Ad esempio, in Europa, prima dell’attuazione delle restrizioni cinesi, quasi 3 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica venivano ogni anno esportati in Asia: di questi, circa 2,6 milioni erano destinati al mercato cinese[18].

Ciò significa che la Cina assorbiva circa l’85 per cento di tutte le esportazioni di rifiuti di plastica dall’Europa[19].

Allo stesso modo, si calcola che nel solo 2016 gli Stati Uniti abbiano inviato in Cina 16,2 milioni di tonnellate di plastica da riciclare.

Pertanto, l’effetto immediato delle restrizioni stabilite dalla Cina è stato, almeno all’apparenza, un calo generalizzato delle esportazioni di rifiuti di plastica: in Europa, la quota di rifiuti di plastica inviati per il riciclaggio all’estero è diminuita, dopo gennaio 2018, complessivamente del 40 per cento circa (da 3,1 milioni di tonnellate nel 2016 a 1,8 milioni di tonnellate nel 2018)[20] e le esportazioni degli Stati Uniti verso la Cina sono diminuite del 20,8 per cento[21].

L’incapacità dei paesi tradizionalmente esportatori dei rifiuti in discorso di reinternalizzare il trattamento degli stessi ha determinato la ricerca di destinazioni alternative rispetto al mercato cinese, individuate prevalentemente nei paesi delSud e del Sud-est asiatico.

In generale, secondo l’elaborazione dei dati forniti dai 40 Paesi che hanno collaborato alla redazione del “Rapporto Interpol”, i rifiuti di materie plastiche si muoverebbero su 257 “trade route”, cioè su percorsi commerciali più o meno standardizzati che coinvolgono 64 Stati importatori e 57 esportatori.

A loro volta tali rotte sono state divise in regionali (125), cioè sostanzialmente intercorrenti fra Paesi del medesimo continente, e transregionali (132).

3.1 Le rotte transregionali: alcuni esempi

Secondo le ricostruzioni operate dall’Interpol, l’Asia sarebbe il punto di arrivo di ben 95 rotte transregionali, quasi tutte interessate da un aumento dei volumi.

In particolare, dalla documentazione raccolta dall’Interpol è emerso che l’Europa e il Nord America abbiano dirottato la maggior parte delle loro esportazioni originariamente dirette in Cina, in Cambogia, India, Indonesia, Malaysia, Pakistan, Vietnam, Thailandia e Turchia.

Sempre secondo i dati in possesso dell’Interpol, una parte della plastica nordamericana sarebbe stata esportata verso l’America Latina e la Corea del Sud, mentre Australia e Nuova Zelanda hanno aumentato le loro esportazioni di rifiuti in altri Paesi asiatici come la Malaysia; il Giappone ha incrementato le sue esportazioni di rifiuti in Thailandia.

L’aumento delle esportazioni di rifiuti verso gli Sati citati ha, per contro, stimolato l’adozione da parte di questi ultimi di normative più severe[22] e il rafforzamento dei controlli delle frontiere.

In tale contesto, caratterizzato da recenti aggiornamenti delle normative di settore, si colloca il rischio che singoli o organizzazioni criminali possano approfittare o abbiano già approfittato – anche a causa dell’assenza di un sistema di tracciamento di tale tipo di rifiuti – di scappatoie legali e di carenze dei meccanismi di scambio di informazioni fra le autorità incaricate di contrastare tali fenomeni di criminalità, nonché dal conseguente sviluppo di nuove rotte commerciali nel mercato dei rifiuti di materie plastiche ancora non adeguatamente monitorate.

Ebbene, dalle informazioni fornite dai 40 Paesi che hanno collaborato con l’Interpol è emerso che a partire da gennaio 2018, 52 delle 257 rotte commerciali, sono state interessate da casi di spedizioni illegali di rifiuti di materie plastiche, con il coinvolgimento di 41 paesi, 24 importatori e 17 esportatori: l’Asia si conferma l’epicentro del commercio illegale, dato che 13 dei 24 paesi importatori interessati dalle spedizioni illegali erano asiatici[23].

Più in dettaglio sarebbero la Malaysia e la Thailandia i paesi in cui si è verificato il maggiore aumento delle importazioni illegali dal 2018.

Quanto alle politiche reattive poste in essere, si segnala che la Malaysia ha cominciato ad adottare politiche restrittive giungendo anche a sospendere, temporaneamente, il rilascio dei permessi di importazione per i rifiuti di materie plastiche da luglio a ottobre 2018, ciò anche in conseguenza di proteste da parte dell’opinione pubblica che lamentava la scarsa qualità dell’aria a causa dell’incenerimento illegale dei rifiuti.

Di conseguenza, il volume di rifiuti di plastica spediti in Malaysia è diminuito nella seconda metà del 2018, mentre è aumentato il rilevamento di spedizioni illegali che hanno determinato nel 2019 numerose richieste di rimpatrio dei carichi illegali verso il Paese esportatore[24], il cui successo, tuttavia, dipende da alcuni fondamentali elementi fra i quali l’esatta identificazione del soggetto importatore e di quello esportatore, cosa che non sempre avviene con conseguenze ulteriormente dannose per l’ambiente in quanto i contenitori di plastica da riciclare restano bloccati e abbandonati nei porti di arrivo in Malaysia, comunque, alla mercé di organizzazioni criminali.

In ogni caso, l’Interpol sottolinea come il novero dei Paesi importatori possa mutare in relazione alla eventuale futura introduzione in tali giurisdizioni di regole più severe al punto da indurre la criminalità a cercare nuove destinazioni in altre giurisdizioni più vulnerabili, ad esempio in America Latina e in Africa, quest’ultima già interessata dal traffico dei “rifiuti elettronici”[25].

3.2 Le rotte regionali europee

I dati acquisiti dall’Interpol evidenziano anche un aumento di circa il 33 per cento dei volumi di rifiuti di materie plastiche sulle rotte intraeuropee a partire dal 2018.

I Paesi europei di destinazione con crescenti importazioni di rifiuti di plastica sono per lo più situati nell’Europa orientale tradizionalmente caratterizzata da prezzi e tasse più bassi rispetto ad altri paesi europei.

In particolare, la Repubblica Ceca e la Romania sarebbero le giurisdizioni maggiormente interessate da spedizioni di rifiuti di materie plastiche fraudolentemente qualificate come “da riciclare” ma che, in realtà, finiscono per essere poste in discarica o bruciate una volta entrate nel Paese.

Infine, quanto alle rotte transregionali europee va, altresì, tenuto presente che i principali paesi europei importatori di rifiuti sono anche i primi esportatori di rifiuti di plastica a livello mondiale confermandosi, quindi, anche come paesi di transito delle spedizioni di tale tipo di rifiuti, circostanza che ne indebolirebbe la tracciabilità a vantaggio del commercio illegale[26].

4. Una seconda tendenza criminale emergente

Oltre alla modifica delle rotte, l’improvviso calo delle importazioni da parte della Cina ha evidenziato un’ulteriore novità.

Infatti, la capacità di assorbimento dei nuovi Paesi importatori non si è, comunque, dimostrata in grado di compensare in maniera lecita i volumi già trattati nel mercato cinese.

Conseguentemente è emersa una seconda tendenza criminale rappresentata da un’ondata di attività illecite di stoccaggio e lavorazione di rifiuti di materie plastiche sia nei Paesi di esportazione che di importazione.

In tal senso quasi la metà (40 per cento) degli Stati che hanno fornito dati all’Interpol sull’evoluzione del trattamento illegale dei rifiuti, ha segnalato un aumento di tali attività illegali nei loro territori dal 2018: fra questi Australia, Cile, Repubblica Ceca, Francia, Irlanda, Italia, Malawi, Malaysia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Thailandia.

Queste pratiche illegali comprendono l’attivazione di discariche e di impianti di riciclaggio illegali e l’incenerimento in siti non autorizzati.

Riguardo quest’ultimo aspetto l’Interpol cita a titolo di esempio la “rotta rumena” dei rifiuti italiani originariamente stoccati in impianti sospettati di essere gestiti da gruppi mafiosi e destinati ad essere inceneriti in impianti di produzione di cemento in Romania.

Gli incendi che hanno riguardato grandi masse di rifiuti sono stati segnalati in Italia, Malaysia, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Tailandia e Turchia. Solitamente vengono qualificati come accidentali sebbene sussista il sospetto del dolo.

Un caso eclatante ha interessato, all’inizio del 2018, la Polonia.

Più in dettaglio, era emerso che nel primo trimestre del 2018 la Polonia era stata interessata da un considerevole numero di incendi (circa 80 a fronte dei 10 rilevati in media negli anni precedenti) avvenuti in discariche, circostanza che ha attirato l’attenzione delle autorità polacche. La collaborazione con le autorità britanniche ha consentito di individuare importazioni di materie plastiche per circa 2.600 tonnellate dal Regno Unito, tutte destinate, in Polonia, ad un’unica discarica illegale che, a maggio 2018, veniva tra l’altro, incendiata al fine di distruggere le prove del traffico illecito: è stato, infatti, accertato che si trattava di rifiuti fraudolentemente descritti come plastica riciclabile ma, in realtà, composti da plastica non adeguatamente differenziata.

Elemento di maggior rilievo emerso dall’indagine in discorso è stata l’estrema articolazione del processo di importazione illegale che avrebbe coinvolto i membri di cinque gruppi criminali polacchi[27] e gli elevati proventi collegati a tali attività: a titolo di esempio il “Rapporto Interpol” evidenzia che i proprietari di una discarica a Zgierz, nella Polonia centrale, sarebbero stati pagati da 1,4 a 2,8 milioni di euro per incendiare i rifiuti smaltiti illegalmente, con costi che si sono riverberati sulla collettività statale sia in termini di salute pubblica per le emissioni tossiche rilasciate nell’atmosfera a causa degli incendi illegali, sia per le enormi spese per garantire il servizio dei vigili del fuoco per lo spegnimento di tali incendi

Varie sono state le politiche di reazione dei diversi Stati, ma è in particolare da evidenziare quello che è avvenuto in Olanda dove le autorità hanno collaborato con le compagnie di assicurazione nelle indagini su diversi incendi di rifiuti. In seguito ai risultati di tali indagini le compagnie di assicurazione nei Paesi Bassi hanno cambiato recentemente le loro scelte commerciali decidendo di non coprire più gli incendi che avvengono nei siti di stoccaggio all’aperto.

Come risultato le autorità olandesi hanno osservato un netto calo del numero di incendi apparentemente qualificati come accidentali negli impianti di riciclaggio da gennaio a marzo 2020, circostanza che dimostrerebbe che una parte dell’aumento del numero degli incendi di rifiuti era quasi certamente dovuto ad atti deliberati.

5. Le raccomandazioni dell’Interpol per anticipare i rischi insiti nel settore del commercio e della lavorazione illegale dei rifiuti di materie plastiche: scelte di policy law enforcement

Una raccomandazione chiave contenuta nel “Rapporto Interpol” è quella secondo cui i paesi dovrebbero passare, in questo contesto, da un approccio reattivo a un approccio proattivo.

Infatti, gli interventi normativi più restrittivi realizzati da alcuni paesi importatori come India[28] e Thailandia, quale reazione all’aumento delle importazioni illegali, potrebbero sortire l’effetto di reindirizzare questo commercio verso nuovi Paesi più vulnerabili: ad esempio, sono già state segnalate spedizioni illegali verso destinazioni alternative del sud-est asiatico come Laos e Myanmar; in Africa, le rotte già esistenti per il commercio illegale di rifiuti elettronici potrebbero essere utilizzate per le spedizioni di rifiuti di materie plastiche, poiché alcuni paesi della regione già ricevono grandi quantità di tale tipo di rifiuti incorporati in quelli elettronici importati illegalmente.

Tra l’altro, qualora la nuova e più restrittiva regolamentazione dettata nei paesi importatori non venisse adeguatamente pubblicizzata, ad esempio, come già detto (cfr. supra paragrafo 2, lett. a), attraverso il World Trade Organization, il Segretariato della Convenzione di Basilea e l’UE, permarrebbe il rischio della loro mancata applicazione da parte dei paesi esportatori[29].

Il passaggio a un approccio proattivo postulato dall’Interpol richiede interventi nel medio e nel lungo termine.

I. Nel medio termine la mitigazione del rischio potrebbe avvenire attraverso l’elaborazione di strumenti di intelligence finanziaria e dilaw enforcement come alcuni indicatori di rischio che consentano di anticipare l’azione delle forze dell’ordine per renderla effettivamente preventiva rispetto alla realizzazione del crimine, così consentendo di evitare, già nei punti di partenza, che avvengano o proseguano le spedizioni illegali.

A tal fine occorrerebbe una maggiore integrazione fra le autorità di intelligence finanziaria (Financial intelligence unit), le forze dell’ordine (law enforcement) e le agenzie nazionali che si occupano dei reati ambientali che raramente hanno una formazione adeguata a condurre indagini finanziarie: ciò consentirebbe di concentrare le indagini sulla rete criminale piuttosto che sulla scena del crimine, come una discarica illegale o un singolo evento criminale. In sostanza, a parere dell’Interpol “Il passaggio da un’attenzione tradizionale ai siti di rifiuti a un approccio più olistico che affronti le reti criminali e i beni illeciti è …la chiave per individuare e indagare sui reati relativi ai rifiuti”[30].

Inoltre, le autorità deputate ai controlli sui luoghi di esportazione o importazione dovrebbero essere costantemente aggiornate sul rilascio o sulla carenza delle licenze al fine di verificare se il soggetto coinvolto sia autorizzato o meno a ricevere o spedire i rifiuti di materie plastiche. A tal fine, le informazioni sulle licenze dovrebbero essere raccolte, aggiornate e gestite da una specifica autorità con l’ausilio di in una banca dati nazionale dalla quale possano desumersi i tipi di rifiuti che ogni struttura è autorizzata a gestire o a importare/esportare[31], informazioni che aiuterebbero enormemente le forze dell’ordine a determinare se la spedizione è legale o meno[32].

A tutto ciò dovrebbe affiancarsi, specie nei Paesi importatori emergenti, il potenziamento delle risorse umane assegnate al controllo delle spedizioni dei rifiuti sotto il profilo della numerosità e della formazione e il miglioramento delle tecniche e delle regole che assicurino la tracciabilità internazionale dei rifiuti attraverso la condivisione tra i diversi paesi delle informazioni sulle importazioni e esportazioni per poter smantellare le reti che trafficano questo tipo di merce a livello transnazionale[33].

Riguardo tale ultimo aspetto, l’Interpol segnala che a alcuni casi di rimpatri di rifiuti illegali di plastica non sono seguite azioni tali da poter individuare e punire i trasgressori nello Stato di esportazione proprio a causa della mancata condivisione delle informazioni (bilateral consultation) da parte delle autorità dello Stato importatore con quella del paese esportatore[34].

Corrispondentemente, l’Interpol raccomanda di migliorare i flussi informativi da parte dell’autorità del paese esportatore verso quella del Paese importatore, in merito a eventuali container relativi a rifiuti di plastica ispezionati dalle autorità nel punto di partenza in quanto sospetti: ciò potrebbe agevolare le verifiche anche nel Paese di destinazione evitando una duplicazione di controlli o sottoponendo la spedizione sospetta a un’ulteriore verifica (c.d. four eyes).

Cosa non trascurabile al fine di agevolare i rimpatri di rifiuti di plastica esportati illegalmente, le autorità dello Stato importatore dovrebbero rispettare i requisiti di rimpatrio imposti da quello esportatore, il che implica che gli ispettori dei container sappiano come gestire i rifiuti e procedere all’ispezione, raccogliendo le prove, specie nel caso in cui l’ispezione abbia comportato lo scarico o lo spostamento dei rifiuti.

Infatti, la mancanza di chiari requisiti per il rimpatrio ha portato interlocuzioni di lunga durata tra i paesi di importazione ed esportazione, ostacolando il processo di restituzione e generando tensioni diplomatiche.

Pertanto, i Paesi importatori, pressoché all’unanimità, hanno espresso la necessità di un elenco chiaro e condiviso di documenti necessari per rimpatriare in modo efficiente i container illegali.

Al riguardo, è in corso di predisposizione un manuale di “best practices” sul rimpatrio di spedizioni illegali di rifiuti dall’Asia all’Europa, che potrebbe contribuire a fare chiarezza sui requisiti di rimpatrio[35].

II. Una strategia a più lungo termine richiede, invece, l’obiettivo di ridurre i volumi dei rifiuti di plastica prodotti ed esportati e, quindi, favorire gli investimenti in infrastrutture di riciclaggio all’interno delle regioni di esportazione.

In tale direzione si colloca il c.d. “Emendamento sulla plastica”[36] apportato recentemente alla Convenzione di Basilea, il cui fine è quello di aumentare la regolamentazione delle spedizioni di rifiuti di plastica attraverso controlli doganali standardizzati.

L’emendamento include il principio della proximity between the production and the recycling site of waste” ovvero la vicinanza tra la produzione e il sito di riciclaggio dei rifiuti tramite l’implementazione dei livelli di autosufficienza da parte di ciascun Paese attraverso, ad esempio, politiche che limitino l’utilizzo di plastica monouso e l’eliminazione degli incentivi agli impianti di riciclaggio che lavorano rifiuti di plastica importati invece che quelli di origine domestica.

Infine, l’Interpol sottolinea fra gli obiettivi di lungo periodo, lo sviluppo di una piattaforma elettronica per la registrazione della movimentazione dei rifiuti a cui tutte le autorità competenti potrebbero accedere a livello globale, consentendo uno scambio fluido di informazioni tra Stati importatori ed Stati esportatori e facilitare indagini congiunte e la condivisione di situazioni di “red flag”.

6. Considerazioni conclusive

Recenti episodi di violenza associati a casi di smaltimento illegale di rifiuti sono rivelatori dell’entità della minaccia rappresentata dalla criminalità in questo settore: in Francia, ad esempio, il sindaco della città di Signes è stato assassinato nell’agosto 2019 per aver tentato di impedire lo scarico illegale di rifiuti.

La stessa Direzione Investigativa Antimafia (d’ora innanzi DIA), come risulta dalla Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento con riferimento all’attività svolta nel primo semestre del 2019, ha indicato la necessità di non sottovalutare quale avvisatore della criticità della situazione la numerosità degli incendi di grandi masse di rifiuti verificatesi recentemente in alcune zone di questo Paese, cui non sarebbe estranea la chiusura del mercato cinese.

Tale circostanza, a parere della DIA, ha comportato il riversarsi sul mercato interno di enormi quantitativi di rifiuti e l’aumento degli incendi cd. “liberatori” dei siti di stoccaggio, autorizzati o abusivi.

Le indagini condotte hanno portato a scoprire che diverse tipologie di rifiuti, ma in prevalenza plastica e gomma, prima destinate alla filiera cinese, sarebbero state dirottate nei Paesi Baltici e in Ucraina dal porto di Ancona, e nei paesi del Maghreb e dell’Africa centrale dai porti di Livorno e Genova.

L’interesse delle organizzazioni criminali nel comparto dei rifiuti di materie plastiche è stato confermato dalla recente operazione denominata “Plastic free”, eseguita a Ragusa e Catania il 24 ottobre 2019 nei confronti di soggetti vicini al clan Dominante-Carbonaro, ritenuti responsabili di traffico illecito di rifiuti nonché di estorsione, danneggiamento seguito da incendio e ricettazione.

Da quanto emerso gli indagati avevano cercato, mediante la sistematica intimidazioni degli operatori del settore, di “…acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche legate alla raccolta ed al riciclaggio della plastica dismessa dalle serre insistenti in Vittoria e nella provincia ragusana”[37]Nel corso dell’operazione è stato eseguito anche il sequestro preventivo del totale delle quote societarie e dei beni mobili ed immobili riconducibili agli “amministratori di fatto” delle imprese attive nell’illecita gestione dei materiali plastici.

In tale contesto vanno considerate anche le norme adottate dalla Banca d’Italia quale Autorità di vigilanza di settore in materia di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, rispettivamente il 30 luglio 2019 e il 4 febbraio 2020, in ordine agli adempimenti di adeguata verifica da porre in essere da parte, rispettivamente, degli intermediari finanziari e degli operatori non finanziari di cui all’articolo 3, comma 5 lett.f d.lgs. 231/2007.

Come noto, infatti, l’articolo 24 del decreto citato stabilisce al comma 2 che I soggetti obbligati in presenza di un elevato rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo applicano misure rafforzate di adeguata verifica della clientela” indicando anche una serie di fattori di rischio che i soggetti obbligati devono prendere in considerazione per individuare, nell’ambito della loro policy aziendale, situazioni connotate dal tale livello di rischio (ad esempio, società partecipate da fiduciari)[38].

Inoltre, il comma 4 dell’articolo 24 prevede che “Le autorità di vigilanza di settore, nell’esercizio delle attribuzioni di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a) possono individuare ulteriori fattori di rischio da prendere in considerazione al fine di integrare o modificare l’elenco di cui al comma 2”.

In base a tale potere la Banca d’Italia, nei Provvedimenti sopra citati, ha individuato fra gli ulteriori fattori indicativi di contesti caratterizzati da un elevato rischio la circostanza che il cliente, l’esecutore o il titolare effettivo operino nel settore della raccolta e smaltimento di rifiuti.

Quanto alle modalità mediante le quali, in tale ambito, va declinato il rafforzamento, soccorre in primo luogo il disposto dell’articolo 25 del d.lgs. 231/2007, comma 1, in ordine alla previsione che il rafforzamento sostanzia, oltre che nell’acquisizione di informazioni aggiuntive sul cliente e sul titolare effettivo, sull’approfondimento delle valutazioni in merito allo scopo del rapporto, cioè in sostanza sulla congruenza fra quanto dichiarato al momento dell’avvio della relazione e quanto riscontrato nel prosieguo della stessa, nonché nella intensificazione dell’attività nella quale si sostanzia il controllo costante.

Più in concreto, in base a quanto finora emerso, l’adeguata verifica nei confronti di tale tipo di aziende dovrebbe prendere avvio dall’acquisizione di copia della licenza e proseguire con la valutazione della composizione del board e della base sociale al fine di riscontrare la presenza di eventuali “amministratori di fatto”, cioè di soggetti che, indipendentemente dall’attribuzione di qualifiche formali in ambito societario, svolgano in concreto e in maniera sistematica attività di gestione, per quanto ovvio non meramente esecutive (cfr. articolo 2639 c.c.).

Inoltre dovrebbe essere oggetto di approfondimenti, accompagnati da riscontri documentali, l’eventuale operatività con paesi che dal “Rapporto Interpol” risultino interessati da episodi di importazione illecita di materie plastiche, come Malaysia, India e Thailandia[39].

Nonostante l’Interpol si sia limitata a evidenziare ancora in nuce il trend di operatività criminale con il Laos e Myanmar/Birmania, i soggetti obbligati dovrebbero ritenere i rapporti fra le imprese clienti operanti nel comparto dello smaltimento dei rifiuti e i paesi citati come ragione sufficiente a motivare l’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica[40].

Sebbene improbabile, l’eventuale ricezione di fondi dai Paesi citati dovrebbe condurre i soggetti obbligati a chiedere spiegazioni documentate alla propria clientela che operi nel comparto del trattamento dei rifiuti.

Tuttavia, si deve ritenere che, al fine di occultare i traffici illeciti, i fondi possano affluire da Paesi del tutto diversi da quelli in cui la plastica da riciclare sia illegalmente destinata. In questi casi ai fini della individuazione dell’operazione sospetta, occorre che – in sede di accensione dei rapporti con le imprese che si occupano dello smaltimento di tale tipo di rifiuti e anche per quelle destinate al loro trasporto – siano acquisite precise informazioni sulle strategie aziendali e sul portafoglio di clientela, al fine di cogliere eventuali incoerenze fra il bacino di utenza servita e le modalità/entità/origine dei fondi eventualmente pervenuti.

Nei casi di richieste di finanziamento da parte di imprese che si occupano del trattamento di rifiuti di materie plastiche, occorre verificare, anche mediante accessi in loco, l’idoneità dei siti rispetto alle prospettive rappresentate dal richiedente e la presenza di macchinari (ad esempio compattatori), la cui carenza dovrebbe suscitare il sospetto di un’attività fittizia.

 


[*] Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto di appartenenza.

[1] M. Garside, “Production of plastics worldwide from 1950 to 2018 (in million metric tons)” Statista, 2019.

[2] Secondo i dati diffusi dall’Interpol il solo mercato globale della plastica riciclata, valutato nel 2016 in circa 34,80 miliardi di dollari statunitensi, potrebbe raggiungere il valore di 50,36 miliardi di dollari statunitensi entro il 2022., senza contare i ricavi derivanti dall’trattamento termico (incenerimento) e quelli legati all’uso delle discariche.

[3] Secondo A. Brooks, S. Wang and J. Jambeck, “The Chinese import ban and its impact on global plastic waste trade” in Science Advances, 2018, dal 1992 al 2018, la Cina avrebbe importato complessivamente il 45 per cento dei rifiuti di plastica del mondo.

[4] L’analisi è stata condotta da Interpol anche mediante la collaborazione, in termini di informazioni e attività di intelligence, con i seguenti quaranta paesi: Argentina, Australia, Bangladesh, Brasile, Cambogia, Canada, Cile, Cina, Repubblica Ceca, Repubblica Democratica del Congo, Regno Unito, Francia, Germania, Ghana, Guatemala, Ungheria, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Giordania, Lettonia, Lussemburgo, Malawi, Malaysia, Malta, Messico, Paesi Bassi, Palestina, Filippine, Portogallo, Romania, Russia, Arabia Saudita, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Thailandia, Turchia.

[5] Di tale “Rapporto” esiste anche una versione riservata specificamente dedicata alle forze dell’ordine.

[6] “This report aims to answer the two following questions: What criminal trends and threats are emerging in the plastic waste market since January 2018?; What law enforcement and policy responses are needed to tackle these threats?”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal trends in the global plastic waste market since January 2018, p. 8.

[7] “…sudden reforms in countries’ import policies…”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 13. Oltre a ciò, tuttavia, Interpol evidenzia come la criminalità dedita al traffico dei rifiuti tragga vantaggio dai cambiamenti nelle normative di settore per sfruttare (in questo caso dolosamente o approfittando della negligenza altrui) le potenziali lacune nell’applicazione della normativa nella fase iniziale dell’attuazione.

[8] “Basel Convention on the control of transboundary movements of hazardous wastes and their disposal”. La “Convenzione sul controllo dei movimenti di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione”, meglio nota come “Convenzione di Basilea”, è un trattato sottoscritto il 22 marzo 1989, entrato in vigore il 5 maggio 1992. Essa rappresenta il principale trattato internazionale per la regolamentazione dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi ed altri rifiuti con l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente.
L’elemento basilare della Convenzione è un sistema di controllo per l’esportazione, l’importazione e il transito di taluni rifiuti. Le esportazioni di rifiuti oggetto della convenzione devono essere notificate in anticipo alle autorità competenti degli Stati membri di importazione e di transito.
Più in particolare, il sistema di controllo previsto dalla Convenzione si applica ai rifiuti pericolosi definiti all’articolo 1 ed elencati nell’allegato VIII della Convenzione e ad altri rifiuti figuranti nell’elenco dell’allegato II.
La Convenzione fornisce nell’allegato IX anche un elenco di rifiuti che non rientrano nel suo ambito di applicazione e sistema di controllo, a meno che non contengano sostanze appartenenti a una categoria di cui all’allegato I in concentrazioni tali da presentare una delle caratteristiche pericolose di cui all’allegato III.

[9] “Such infiltration in legitimate businesses also reveals a certain level of sophistication of the criminal enterprise and professional competencies among offenders”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 6.

[10] Rientrano in queste ipotesi gli episodi, anche se marginali a parere dell’Interpol, di smaltimento in aree marine. Esistono, tuttavia, degli studi secondo i quali ogni anno finirebbero negli oceani dai 4 a 12 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. In tal senso J. R. Jambeck, R. Geyer, C. Wilcox, T. R. Siegler, M. Perryman, A. Andrady, R. Narayan and K. L. Law, “Plastic waste inputs from land into the ocean,” Science, vol. 347, no. 6223, pp. 768-771, 2015.

[11] “When legitimate recycling businesses exhaust their import quota or have not renewed their licenses, continuing their business become illegal…”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 36.

[12] In generale le free-trade zone sono caratterizzate da agevolazioni burocratichee fiscali, procedure di approvazione degli investimenti più agevoli e dazi doganali più contenuti. Ad esempio in Cina, Tianjin, Guangdong,Fujian, Sichuan, Henan, Zhejiang,Hubei, Liaoning, Chongqing, Shaanxi: in Ucraina, Odessa, in Spagna, Gran canaria, Vigo, Cadiz, etc.

[13]“…during transportation and storage activities, by the shipping line or third party firm in the transit country (often in a free trade zone) which may re-route the waste shipment”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 15.

[14]Annex II, “Categories of wastes requiring special consideration”

[15] Annex VIII, che contiene l’elenco di rifiuti considerati pericolosi (“hazardous”) ai sensi dell’articolo 1, comma 1 lett. a) della “Convenzione”.

[16] Si tratta cioè di rifiuti di plastica non pericolosi, descritti nell’allegato allegato IX della “Convenzione”, come tali non soggetti a sistemi di controllo.

[17] “Misdeclaration of the final destination of plastic waste shipments, using a transit country in a free trade zone”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal cit., p. 6. In questi casi, come detto, è frequente il coinvolgimento di paesi di transito caratterizzati dalla presenza di zone che assicurano agevolazioni nei controlli doganali.

[18] “Un an après l’arrêt des importations de déchets par la Chine, de nombreux pays sont poussés à réformer leurs mesures de recyclage”in Centre d’Informations Internet de Chine, 28 June 2018.

[19] L’Irlanda, ad esempio, con la più alta produzione pro capite di rifiuti di plastica nell’UE, dipendeva dalla Cina per il 95 per cento dei suoi rifiuti di plastica. In tal senso, K. Bielenberg, “Down in the dumps: Our growing waste pile” in Independent, Irish News, 11 February 2018.

[20] In talsenso, PlasticsEurope, “Plastics – the Facts 2019, An analysis of European plasticsproduction, demand and waste data”

[21] In al senso, D. Braden, “US exports decline — even before China tariff impact,” in JOC, 17 April 2018.

[22] Queste nuove politiche vanno da misure di tipo fiscale alla fissazione di limiti sui permessi di importazione dei rifiuti, ai divieti alle importazioni di rifiuti di plastica, in qualche modo replicando le restrizioni cinesi sull’importazione di rifiuti.

[23] In tal senso, INTERPOL STRATEGIC ANALYSISREPORT: Emerging criminal, cit., p. 22.Tra l’altro il commercio illegale di rifiuti di plastica verso la Cina persiste sebbene ridimensionato nei volumi: al riguardo, infatti, il China Customs Anti-Smuggling Bureau ha reso noto di aver sequestrato nel 2019, 40.500 tonnellate di rifiuti rispetto a quasi 231.700 tonnellate nel 2018. In Italia, l’operazione denominata “Green Tuscany,” condotta a maggio 2019 dal Corpo Forestale dello Stato in collaborazione con le forze dell’ordine slovene, ha messo in luce un traffico illecito di rifiuti di materie plastiche che si serviva della Slovenia come paese di transito dei rifiuti verso la Cina. Il traffico avveniva grazie a una rete criminale i cui membri erano sia di origine italiana (anche due rappresentanti affiliati alla camorra) che cinese.

[24] Secondo dati forniti all’Interpol dal Dipartimento per l’ambiente della Malaysia (uno dei quaranta paesi che hanno contribuito alla elaborazione del “Rapporto”)recentemente, il paese ha avviato un processo di rimpatrio di 150 container con 3.737 tonnellate di rifiuti di plastica importati illegalmente indirizzati in 13 diversi paesi di origine, inclusi 43 container in Francia, 42 nel Regno Unito, 17 negli Stati Uniti e 11 in Canada. Inoltre, le autorità malesi hanno annunciato un piano per rispedire altri 110 container entro la metà del 2020, di cui 60 negli Stati Uniti.

[25] “In Africa, the existing routes for electronic waste trafficking could be used for plastic waste shipments”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 6.

[26] “…this situation also weakens waste traceability, which benefits illegal trade”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 31.

[27] In generale, un terzo dei paesi che hanno contribuito al “Rapporto Interpol” ha raccolto prove del coinvolgimento di gruppi di criminalità organizzata sia nel commercio illegale che nel trattamento dei rifiuti di plastica.

I dati raccolti dall’Interpol hanno consentito di accertare che l’infiltrazione di gruppi criminali organizzati nel settore dei rifiuti di solito avviene attraverso attività legittime caratterizzate da un certo livello di sofisticazione dell’impresa criminale e di competenze professionali tra i criminali, essenziali in questo settore per dissimulare l’attività criminale attraverso la manipolazione di documenti all’apparenza pienamente legali.

L’Interpol rimarca come l’illecito riciclaggio di materie plastiche abbia come naturale risvolto aspetti finanziari rappresentati dalla produzione di provvista, derivante dalla violazione di norme fiscali, che a sua volta alimenta il ciclo del riciclaggio di denaro sporco indirizzando i profitti illeciti in attività e proprietà legittime.

Anche la corruzione è stata riscontrata comunemente correlata al traffico illecito di rifiuti di materie plastiche: il “Rapporto Interpol” qualifica questi tipi di reati come white collar crime”, nel senso della necessaria partecipazione alla filiera criminale di professionisti del settore e di funzionari governativi.

[28] A seguito del forte aumento delle importazioni di plastica nel 2018, il governo indiano ha emendato la normativa di settore stabilendo, a partire da marzo 2019, il divieto di importazione di ogni tipo di rottami di plastica. Una misura analoga è in fase di discussione da parte del governo della Thailandia.

[29] In base all’articolo 3 della Convenzione di Basilea, quando uno Sato modifica le proprie normative sull’importazione di rifiuti, deve informare ufficialmente il Segretariato della Convenzione di Basilea che procedere alla pubblicazione del nuovo testo sul suo sito web e informerà le Parti della Convenzione di Basilea. Tuttavia, poiché le nuove normative sulle importazioni di rifiuti vengono spesso comunicate nella lingua del Paese di importazione, le autorità competenti dei paesi esportatori hanno segnalato difficoltà nel verificare la conformità delle spedizioni di rifiuti esportati con le normative del paese di importazione, circostanza che ostacolerebbe le indagini.

A livello UE è stata istituita una procedura (Regolamento UE 1418/2007) per informare tutti gli Stati membri: è, infatti, previsto che la Commissione Europea rilasci periodicamente un questionario a tutti i Paesi non OCSE per permettere a questi ultimi di comunicare ai membri UE gli eventuali aggiornamenti normativi sull’importazione di rifiuti (compresi i rifiuti di plastica riciclabili) intervenuti nella loro giurisdizione.

Inoltre, la Commissione europea sta attualmente rivedendo questo processo di informazione per consentire ai Paesi non OCSE di fornire aggiornamenti non più periodicamente ma in tempo reale.

[30] “The shift from a traditional focus on waste sites to a more holistic approach tackling criminal networks and illicit assets, has been identified as key to detect and investigate waste offences”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 47.(Trad. dell’a.).

[31] In Italia è stato istituito l’”Albo Nazionale Gestori Ambientali” nel quale sono elencate le aziende di rifiuti registrate, con informazioni aggiornate sulle spedizioni autorizzate. Le aziende hanno l’obbligo di fornire queste informazioni al Ministero dell’Ambiente, inclusi la quantità e le tipologie di rifiuti gestiti dall’azienda, la loro origine e la loro destinazione se spediti, e il relativo codice dei rifiuti (codice della Convenzione di Basilea). Questo database consente alle autorità italiane individuare eventuali esportazioni illegali.

Tuttavia questo database è utilizzato esclusivamente dalle autorità italiane mentre dovrebbe essere posto a disposizione anche delle autorità dei paesi importatori per verificare l’origine di una spedizione di rifiuti dall’Italia.

[32] “Such information greatly helps enforcers at the export point to determine whether the shipment is legal or not”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 49. In proposito va, altresì, tenuto presente che, ai sensi della Convenzione di Basilea, i singoli Paesi dovrebbero comunicare le informazioni sui loro impianti di smaltimento e riciclaggio al Segretariato della Convenzione, ma solo metà dei Paesi adempie a tale obbligo informativo che consentirebbe di realizzare una base dati transnazionale.

[33] A questo proposito, l’Interpol già pone a disposizione una piattaforma per lo scambio di informazioni per le forze dell’ordine e le autorità doganali.

[34] “A number of repatriations of illegal plastic waste were not followed by prosecution because offenders could not be identified in the export country, or because the information received on the offence was not sufficient to prosecute it”, INTERPOL STRATEGIC ANALYSIS REPORT: Emerging criminal, cit., p. 48.

[35] Il progetto di tale manuale, noto come WasteForce39, è finanziato dall’Unione Europea e realizzato da un consorzio di organizzazioni guidato dalla “Rete dell’Unione Europea per l’implementazione e l’applicazione del diritto ambientale” (European Union Network for the Implementation and Enforcement of Environmental Law, IMPEL).

Più in particolare, la “Rete dell’Unione Europea per l’implementazione e l’applicazione del diritto ambientale” (IMPEL) è un’associazione internazionale senza scopo di lucro con sede legale a Bruxelles e, attualmente, conta 55 membri provenienti da 36 paesi, inclusi tutti gli Stati membri dell’UE, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia, Islanda, Kosovo, Albania, Svizzera e Norvegia.

[36] Si tratta di un emendamento proposto a ottobre 2018 dalla Norvegia e che entrerà in vigore a gennaio 2021 con cui vengono modificati gli allegati II, VIII e IX della Convenzione, facendo in modo che la maggior parte dei rifiuti in plastica siano considerati come pericolosi o difficili da riciclare e come tali soggetti aconsenso preventivo scritto da parte dello Stato importatore.

[37] Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento, Attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, Gennaio – Giugno 2019, p.688. Per inciso, va riferito che risulta assente nelle “Casistiche” pubblicate dalla Uif qualsiasi riferimento a ipotesi di traffici illeciti connessi al riciclaggio di materie plastiche o, più in generale a quelli di rifiuti, sebbene in diversi rapporti annuali si rimarchi la rischiosità connessa al settore dello “smaltimento rifiuti”. Cfr. per tutti il “Rapporto Annuale dell’Unità di Informazione Finanziaria”, maggio 2014, p. 32.

[38] È d’uopo precisare che i fattori in parola concorrono alle valutazioni del soggetto obbligato ma non lo obbligano a classificare automaticamente il cliente come connotato da “un elevato rischio”. Al contrario, il comma 5 dell’articolo 24 indica una serie di circostanze al cui ricorrere il soggetto obbligato è tenuto, senza alcuna deroga o valutazione di carattere personale, a porre in essere adempimenti rafforzati. Tanto si desume, infatti dal dato testuale del comma citato che stabilisce “I soggetti obbligati applicano sempre misure di adeguata verifica rafforzata della clientela in caso di…”.
[39] Si tratta in ogni caso di paesi non compresi fra quelli individuati dal Regolamento delegato Ue 2020/855 del 7 maggio 2020, entrato in vigore il 1° ottobre 2020, come paesi terzi ad alto rischio, ma comunque connotati da un elevato livello di permeabilità alle attività criminose legate al traffico di rifiuti di materie plastiche, come attestato dall’Interpol, qualificabile come fonte “autorevole e indipendente” ai fini dell’applicabilità dell’articolo 24, comma 2, lett. c d.lgs.231/2007, in ordine al ricorrere di fattori di rischio geografici.

[40] Al riguardo, tra l’altro, se il Regolamento delegato UE 2020/855 ha sancito il depennamento della Repubblica democratica popolare del Laos dal novero dei Paesi qualificati “ad alto rischio” a causa di carenze strategiche nei rispettivi regimi nazionali antiriciclaggio e di contrasto del finanziamento del terrorismo, va tenuto presente che a far data dal 1° ottobre 2020 il medesimo Regolamento vi ha incluso Myanmar/Birmania. Trova pertanto applicazione nei confronti di imprese con rapporti con tale paese il disposto dell’articolo 24, comma 5 che impone in questi casi “sempre” l’adozione di misure di adeguata verifica rafforzata.

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