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Approfondimenti

Brexit: il nuovo quadro regolamentare tra dubbi interpretativi e lacune dispositive

11 Settembre 2020

Domenico Gaudiello, Partner, Mauro Iovino, Counsel, CMS

Di cosa si parla in questo articolo

Con un accordo di recesso (withdrawal agreement), ratificato il 30 gennaio 2020, il Regno Unito e l’Unione Europea hanno sancito che dall’1 febbraio 2020 la Gran Bretagna non è più uno stato membro dell’Unione Europea e non è più rappresentato nelle istituzioni europee, ed hanno stabilito le modalità con cui avverrà il recesso stesso.

Lo stesso accordo di recesso ha infatti previsto un periodo transitorio che resterà in vigore fino al 31 dicembre 2020 e durante tale periodo la normativa europea continuerà ad essere applicata come se il Regno Unito fosse ancora uno stato membro dell’Unione Europea.

Questo comporta che, per quanto riguarda gli operatori finanziari del Regno Unito, che svolgono la loro attività all’interno dell’Unione Europea e quindi anche in Italia, durante il periodo di transizione, a norma dell’accordo di recesso, continuerà ad operare (come in effetti sta operando) il regime di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni e del sistema di vigilanza (c.d. regime di passaporto).

Allo scoccare del 31 dicembre 2020, salvo accordi diversi tra le parti per cercare nuove intese nel settore dei servizi finanziari finalizzate al libero scambio, agli operatori del Regno Unito che svolgono la loro attività all’interno dell’Unione Europea, quindi anche in Italia, si applicherà la normativa relativa ai soggetti di paesi terzi (extra UE).

Quindi, come conseguenza del no deal, al temine del periodo transitorio, gli intermediari finanziari con sede in Gran Bretagna perderanno (i) la libertà di poter inserire sul nostro territorio una sede stabile senza necessità di essere autorizzati dallo stato Italiano; (ii) la possibilità di operare sul nostro territorio senza dover obbligatoriamente avere una sede stabile sul territorio italiano. Ovviamente, tali implicazioni riguarderanno anche banche, imprese assicurative ed intermediari finanziari italiani che oggi operano in Gran Bretagna.

I chiarimenti forniti dalle Autorità di vigilanza italiana

In questa situazione di incertezza ed essendo vicina la deadline del 31 dicembre, appare legittimo cogliere qualche preoccupazione da parte degli operatori di settore (non solo banche ed intermediari, ma anche compagnie assicurative) che saranno interessati direttamente dalle possibili implicazioni derivanti da un mancato accordo tra le parti.

Fortunatamente, le autorità di settore hanno già da tempo pubblicato lettere e richiami di attenzione per fare in modo che gli operatori non si trovino impreparati allo scenario più estremo (che tra l’altro non sembra nemmeno essere così remoto) e cioè quello di un mancato accordo, anche nel campo dei servizi finanziari ed assicurativi.

Ma andiamo a vedere nel dettaglio.

Richiamo di attenzione della Consob

Per le imprese di investimento, il 26 marzo 2020, la Consob ha pubblicato un richiamo di attenzione (seguito poi dalla Comunicazione n. 8/20 del 23 luglio 2020, di cui si parlerà più avanti) specificando che, allo scadere del periodo transitorio, in caso di mancato accordo sulla reciproca equivalenza dei regimi di regolamentazione e di vigilanza, la modalità di accesso al mercato UE da parte degli intermediari extra UE dipenderà dal tipo di clientela a cui sarà prestato il servizio di investimento(retail/professionali su richiesta o professionali di diritto/controparti qualificate), in pieno rispetto della normativa MiFID II/MiFIR.

Pertanto, proprio in virtù di quanto disciplinato dagli articoli 46 e 47 del Regolamento MiFIR, le imprese di investimento extra UE, sempre e solo se autorizzate nel paese di origine, potranno operare in regime di libera prestazioni di servizi solo nei confronti di clienti professionali di diritto o controparti qualificati ma solo se (i) la Commissione Europea avrà emesso un giudizio di equivalenza in merito ai requisiti vigenti nel paese extra UE e (ii) solo in caso di idonei accordi di cooperazione con l’autorità del paese extra UE.

E nel caso che la Commissione Europea non emetta alcun giudizio di equivalenza per i requisiti vigenti nel Regno Unito?

In questo caso, è rimesso alla discrezionalità di ogni singolo paese dell’Unione Europea la decisione sul fatto se permettere o meno all’impresa UK di operare sul proprio territorio, senza stabilimento di succursali.

L’Italia ha optato per questa scelta. Pertanto, le imprese di investimento diverse dalle Banche possono operare sul territorio italiano in regime di libera prestazione di servizi, previa autorizzazione della Consob, sentita Banca d’Italia, ma solo nei confronti di clienti professionali di diritto e di controparti qualificate (ex art. 28 del TUF). Per i clienti al dettaglio o professionali su richiesta è invece necessario che l’impresa stabilisca una succursale in Italia (l’Italia con questa scelta ha esercitato l’opzione prevista dall’art. 39 della MiFID II), sempre previa autorizzazione di Consob dopo aver sentito Banca d’Italia (sempre ex art. 28 del TUF).

Sintetizzando al massimo: cosa accade quindi alla fine del periodo di transizione?

A) Se la Commissione Europea rilascerà, prima del 31 dicembre 2020, la decisione di equivalenza:

  • gli intermediari del Regno Unito che operano con clienti professionali di diritto o con controparti qualificate dovranno essere iscritti nel registro ESMA, ricorrendo determinate condizioni ed opereranno in tutto il territorio dell’UE (quindi anche in Italia);
  • gli intermediari del Regno Unito che operano, invece, con clienti al dettaglio o professionali su richiesta dovranno stabilire una succursale in Italia, previa autorizzazione della Consob sentita Banca d’Italia.

B) Se la Comunità Europa non rilascerà, prima del 31 dicembre 2020, la decisione di equivalenza:

  • gli intermediari del Regno Unito (compresi quelli che operano in libera prestazione di servizi), a prescindere dalla qualifica della clientela con cui opereranno, dovranno rispettare la disciplina dei paesi UE in cui operano e, quindi, in Italia dovranno richiedere alla Consob una specifica autorizzazione, in assenza della quale le imprese di investimento UK non potranno operare più nel nostro paese a partire dall’1 gennaio 2021.

Il richiamo di attenzione della Consob aveva come obiettivo proprio quello di esortare le imprese britanniche ad attivarsi per tempo per ottenere le dovute autorizzazioni ed avvisare i propri clienti sui possibili scenari post periodo di transizione.

Quali sono nella pratica le attività da porre in essere per non restare impreparati da uno scenario di mancato accordo?

La norma a cui far riferimento è il Decreto Ministeriale del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 2 aprile 2015 n. 53, che disciplina l’esercizio nel territorio italiano delle attività indicate nell’art. 106 TUB, da parte dei soggetti aventi sede legale all’estero.

Tale decreto chiarisce che gli intermediari finanziari extracomunitari possono esercitare l’attività di concessione di finanziamenti, nonché attività connesse e strumentali, mediante la costituzione di società in Italia, autorizzate della Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 107 del TUB, ed iscritte all’albo previsto dall’articolo 106 del TUB: l’autorizzazione è subordinata al possesso dei requisiti previsti dall’articolo 107, comma 1, TUB.

Appare evidente quindi che non si può più attendere un eventuale accordo, visto il poco tempo a disposizione e visto che, come preciseremo di seguito, l’accordo di recesso prevedeva che eventuali proroghe del periodo di transizione dovessero essere decise entro il 30 giugno 2020, per non rischiare conseguenze irrimediabili sui contratti in essere. In realtà, viste le tempistiche di autorizzazioni la richiesta dovrebbe essere già stata attivata.

A tale proposito risulta chiara l’ultima Comunicazione emanata da Consob il 23 luglio scorso (la n. 8/20) con la quale l’autorità italiana ha fornito le istruzioni operative per le imprese di investimento del Regno Unito che prestano servizi ed attività di investimento in Italia.

In sostanza, la Consob ha voluto ricordare che a partire dall’1 gennaio 2021, alle imprese di investimento UK che prestano servizi e attività di investimento in Italia si applicherà la disciplina dettata dall’art. 28 del TUF e dagli artt. 25-31 del Regolamento Consob n. 20307/2018.

La data di emanazione della Comunicazione 8/20 non è ovviamente casuale, ma rappresenta evidentemente l’ultimo alert che l’autorità amministrativa ha rivolto alle le imprese britanniche (che saranno considerate imprese di paesi terzi a partire dal prossimo 1 gennaio), diverse dalle banche, che intendono operare in Italia anche dopo il periodo transitorio. Ed infatti non a caso la Consob ha ricordato che l’accertamento della ricorrenza delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione avviene entro 120 giorni dal deposito della domanda di autorizzazione, ma bisogna tener conto che si possono verificare casi di sospensione o interruzione.

Appare evidente quindi che, alla luce del termine del periodo transitorio e delle tempistiche burocratiche per ottenere l’autorizzazione, l’impresa britannica che non ha già da qualche mese depositato domanda di autorizzazione alla Consob per operare come impresa di paese terzo o per costituire una SIM a cui trasferire la propria attività, oggi non è più in tempo e le resterebbe solo la possibilità di trasferire le proprie posizioni ad un’impresa con sede nell’Unione Europea (salvo eventuali nuovi accordi dell’ultima ora, tra le istituzione governative).

Chiarimenti di Banca d’Italia

In data 29 aprile 2020, anche la Banca d’Italia ha fornito dei chiarimenti in merito al regime applicabile al termine del periodo transitorio per gli intermediari finanziari sui cui la Banca d’Italia ha competenza di vigilanza e controllo.

Anche in questo caso, l’obiettivo della Banca d’Italia è stato quello di esortare le imprese britanniche ad attivarsi per tempo per ottenere le dovute autorizzazioni ed avvisare i propri clienti sui possibili scenari post periodo di transizione.

La disciplina applicabile dipende dalla tipologia di intermediario e dall’attività svolta.

Le banche

Le banche del Regno Unito che vorranno continuare ad operare in Italia, così come negli altri paesi della Comunità Europea, anche dopo lo scadere del periodo transitorio, devono tassativamente, prima del termine del periodo transitorio, ottenere l’autorizzazione dalla Banca d’Italia ad operare come banca extracomunitaria.

Specifiche attività. I servizi di investimento

Le banche del Regno Unito, dopo il periodo transitorio e previo ottenimento delle necessarie autorizzazioni, potranno prestare anche servizi di investimento, ma:

1. nei confronti di clienti professionali e controparti qualificate, in regime di libera prestazione di servizi;

2. nei confronti di clienti al dettaglio o professionali su richiesta, solo stabilendo una succursale in Italia o in un altro paese UE in cui intendono operare.

Istituti di moneta elettronica

Agli istituti di moneta elettronica del Regno Unito che attualmente operano nel nostro paese attraverso una succursale si applica la stessa disciplina riportata sopra con riferimento alle banche.

Quelli invece attualmente operanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi, al termine del periodo transitorio, dovranno cessare la propria attività. Tali soggetti, per non interrompere l’attività attualmente svolta, possono trasferire le proprie attività ad altri intermediari, italiani o Comunitari autorizzati ad operare in Italia

Istituti di pagamento

Allo scadere del periodo transitorio non potranno più operare in Italia e quindi dovranno cessare l’attività. Tali soggetti possono trasferire le proprie attività ad altri intermediari, italiani o Comunitari autorizzati ad operare in Italia, salvaguardando così la continuità dell’attività attualmente svolta.

Società di gestione

Allo scadere del periodo transitorio non potranno più operare in Italia e quindi dovranno cessare l’attività. Anche per tali soggetti la Banca d’Italia ha chiarito che possono trasferire le proprie attività ad altri intermediari, italiani o UE autorizzati ad operare in Italia, per non perdere la continuità dell’attività attualmente svolta.

L’iter autorizzativo che devono seguire le banche con sede nel Regno Unito (in caso di no-deal).

L’accesso al mercato in Italia è disciplinato dal D. Lgs. N. 385/1993 (testo Unico Bancario) e della Circolare 285/2013 della Banca d’Italia.

L’autorizzazione a stabilire una nuova succursale nel nostro paese da parte di una Banca extracomunitaria (abbiamo già chiarito che le banche UK saranno così considerate dall’1 gennaio 2021) è rilasciata dalla Banca d’Italia sentito il Ministero degli Affari Esteri e tenuto conto delle condizioni di reciprocità esistenti tra il paese della casa madre e l’Italia. In questo caso, il procedimento autorizzativo delle banche extracomunitarie segue lo stesso iter e le stesse regole di chi vuole costituire una nuova banca di diritto italiano.

Nella pratica, dopo che una Banca extracomunitaria deposita un’istanza di autorizzazione allo stabilimento di una prima succursale sul nostro territorio, la Banca d’Italia apre un’istruttoria (che viene condotta in accordo con la Banca Centrale Europea) volta a verificare (i) l’esistenza del fondo di dotazione (che per una banca extracomunitaria deve essere pari ad almeno dieci milioni di euro), (ii) il programma di attività, (iii) il possesso dei requisiti previsti dalla normativa in capo ai partecipanti qualificati e ai soggetti responsabili della succursale.

L’istanza deve contenere il consenso preventivo dell’autorità di vigilanza dello Stato d’origine all’apertura della succursale in Italia, considerate l’adeguatezza patrimoniale e della struttura organizzativa.

Tra le ulteriori verifiche svolte dalla Banca d’Italia vi è quella sull’insussistenza di impedimenti a un esercizio efficace delle funzioni di vigilanza in relazione al gruppo di appartenenza dell’intermediario, all’adeguatezza del sistema di vigilanza dello Stato d’origine e all’esistenza di accordi per lo scambio di informazioni con l’autorità dello Stato d’origine

Anche quando la prestazione di servizi avviene senza una stabile organizzazione,la banca extracomunitaria dovrà ottenere l’autorizzazione dalla Banca d’Italia, dopodiché potrà operare con i limiti sopra richiamati ed anche in questo caso è la stessa Banca d’Italia a chiarire il ventaglio delle analisi da essa stesse condotte.

In particolare, oltre a quanto già specificato per il caso dello stabilimento di una nuova succursale, è sempre necessario che l’istanza sia supportata dalla preventiva autorizzazione da parte delle autorità competenti del paese di origine alla prestazione dei servizi in Italia e che le attività che verranno prestate in Italia siano già prestate nel paese di origine.

La Banca d’Italia può autorizzare anche la prestazione di servizi di investimento, ma in questo caso dovrà prima sentire il parere della Consob.

Chiarimenti forniti dall’IVASS

Per quanto riguarda le imprese assicurative con sede nel Regno Unito operanti in Italia, l’Ivass ha avuto modo di chiarire che al termine del periodo transitorio le imprese di assicurazione e gli intermediari assicurativi con sede legale nel Regno Unito perderanno la libertà di stabilimento, cioè la possibilità di insediare in Italia una sede stabile senza autorizzazione da parte dello Stato Italiano e la libertà di prestazione di servizi, cioè la possibilità di svolgere l’attività assicurativa in Italia senza avere una sede stabile.

In sostanza, in caso di uscita senza accordo, queste imprese saranno considerate a tutti gli effetti come imprese che non appartengono all’Unione Europea e di conseguenza non potranno svolgere l’attività assicurativa nel nostro Paese senza prima avervi costituito una sede stabile e avere ottenuto la relativa autorizzazione.

L’Ivass ha tuttavia chiarito che i contratti assicurativi già stipulati resterebbero validi.

Infine, così come le altre Autorità per i settori finanziari, anche l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni il 3 ottobre 2018 ha indirizzato una lettera alle imprese assicurative del Regno Unito operanti nel nostro paese, evidenziando la necessità di procedere tempestivamente (i) ad informare adeguatamente edindividualmente i propri assicurati sugli impatti della Brexit, secondo le linee rilasciate dall’EIOPA, (ii) a pubblicare contemporaneamente un’informativa sul proprio sito internet, (iii) a trasmettere appropriate istruzioni alle proprie reti distributive sulle informazioni da fornire agli assicurati attuali e potenziali.

La Consob ha trattato questa problematica nel richiamo di attenzione, facendo specifico riferimento anche all’operatività in derivati Over the Counter (OTC) in essere tra imprese UK e controparti italiane, specificando che, in caso di mancato ottenimento delle autorizzazioni alle fine del periodo transitorio, alcune attività di amministrazione dei derivati OTC (c.d. servicing) potrebbero essere caratterizzate come prestazione abusiva di servizi di investimento, compromettendo le sorti dei contratti in essere, in particolare in termini di risoluzione anticipata.

Ricordiamo infatti che il regolamento EMIR (Regolamento (UE) N. 648/2012), per i derivati OTC, ha previsto che le controparti, finanziarie e non finanziarie debbano compensare presso una controparte centrale (CCP) i contratti derivati OTC conclusi e appartenenti alle categorie soggette a tale obbligo.

In particolare, l’obbligo di compensazione si applica alle controparti non finanziarie quando queste assumono posizioni in contratti derivati OTC che superano le soglie di compensazione stabilite dall’art. 11 del Regolamento delegato 149/2013 della Commissione Europea.

In sintesi, il regolamento EMIR ha introdotto l’obbligo di ricorrere a “controparti centrali” (c.d. CCP) per la compensazione dei derivati OTC (la CCP ha il compito di interporsi tra le due controparti del contratto al fine di verificare il buon esito delle transazioni), oltre a quello di mitigazione dei rischi e di segnalazione dei contratti derivati

In sostanza, in mancanza di accordi tra Regno Unito ed Unione Europea, innanzitutto ci sarebbe il rischio della mancata applicazione del Regolamento EMIR che non regolerebbe più i contratti derivati OTC e quindi verrebbe meno l’obbligo di compensazione.

Una mancata compensazione potrebbe far sorgere diversi rischi per il sistema finanziario perché la parte con valore positivo del derivato, non avrebbe più le garanzie che gli venivano fornite dall’obbligo di compensazione e quindi avrebbe un rischio di controparte nettamente maggiore.

Inoltre, per i derivati denominati in Euro potremo assistere ad un aumento dei requisiti di capitale prudenziale per le banche che avranno CCP di diritto inglese, queste risulteranno non più qualificate per l’ESMA. Separatamente, il possibile trasferimento delle posizioni in derivati dalle filiali di Londra a quelle europee avrebbe la conseguenza di aumentare i controlli su dette posizioni da parte dei supervisionai europei.

Ma non è tutto. Tornando alla risoluzione anticipata, non è chiaro se le conseguenze di detta risoluzione debbano essere sopportate anche dalla controparte europea del contratto derivato o comunque dal cliente finale dell’operatore UK.

Questione di particolare rilevanza se si pone mente a tutti i contratti il cui valore di risoluzione anticipata è positivo per l’operatore UK. Quid iuris per il cliente italiano? Soggiace alle conseguenze della risoluzione anticipata (con conseguente obbligo di pagamento del valore negativo di chiusura a suo carico) pur non avendone causato l’insorgenza?

E’ evidente che su questo tema occorrerà una intesa prima di tutto politica, da tradurre successivamente in specifiche disposizioni. In mancanza, e’ prevedibile un contenzioso di particolare entità, tra le parti contrattuali interessate, che vedrà entrare in gioco tanto l’applicazione di principi di ordine pubblico economico europeo quanto la ridefinizione delle stesse prerogative della sovranità nazionale.

Non potendo indugiare oltre in questa sede sul punto, basti qui concludere dicendo che la successiva implementazione della Brexit non potrà tradursi in un vantaggio finanziario diretto per gli operatori UK a scapito delle controparti e dei clienti europei.

Scenari futuri

Come sopra specificato, un prolungamento del periodo transitorio avrebbe dovuto essere negoziato entro la fine di giugno 2020. O meglio, entro tale periodo, secondo la dichiarazione politica che ha accompagnato la sottoscrizione del withdrawal agreement, le parti avrebbero dovuto valutare la reciproca equivalenza dei regimi di regolamentazione e vigilanza. A causa della situazione economica e politica causata dalla pandemia in atto, che in concreto ha tolto ogni possibilità di dialogo tra il governo inglese e le istituzioni europee, non è stato possibile trovare specifici accordi.

Tuttavia, con un comunicato pubblicato il 17 luglio 2020, la Financial Conduct Authority (FCA), che è l’organo che regola i mercati finanziari nel Regno Unito, ha chiarito che resteranno pienamente validi, anche al termine del periodo transitorio in caso di no-deal, i memorandum di intesa (Memoranda of Understanding o anche MoUs) conclusi lo scorso primo febbraio 2019 con l’European Securities and Markets Authority (ESMA) e volti ad assicurare cooperazione e scambio di informazioni tra la FCA, l’ESMA e le autorità dei singoli stati membri.

Resta ferma la necessità per le imprese di settore di continuare ad informare i propri clienti sui possibili scenari ed attivarsi (avrebbero già dovuto farlo) per evitare di trovarsi nella condizione di non poter operare sul nostro territorio e su quello degli altri stati membri dell’Unione Europea, con evidenti conseguenze sui contratti in essere per tutte le ragioni sopra esposte.

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