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Il diritto tributario “pandemico”

19 Giugno 2020

Eugenio della Valle, Professore Ordinario di Diritto Tributario, “Sapienza” Università di Roma

Di cosa si parla in questo articolo

Le crisi e la risposta tributaria

La crisi economico-finanziaria innescata dalla pandemia da Covid-19 costituisce un’interessante occasione per alcune riflessioni sul sistema tributario “emergenziale” e, più in generale, sul diritto tributario in tempo di crisi, una crisi che non è esagerato definire “senza precedenti” o “epocale”[1].

Il tema è in particolare quello degli strumenti che l’ordinamento tributario mette a disposizione per affrontare non solo il periodo della strettissima emergenza, nel caso della pandemia da Covid-19, legato al c.d. lockdown di intere filiere produttive ed ai protocolli limitativi dell’esercizio delle attività economiche, ma anche quello successivo, di durata variabile, in cui si manifesteranno concretamente gli effetti economico-finanziari della crisi.

Ciò muovendo dalla constatazione per cui le crisi non sono tutte uguali sotto il profilo della loro genesi e del loro sviluppo.

Basti qui considerare che, ad esempio, il fattore tributario ha addirittura concorso a determinare la crisi del 2008: si pensi, in tal senso, alle misure agevolative dedicate alle stock option ed agli strumenti di cartolarizzazione che hanno favorito l’assunzione di rischi di breve termine. Vi sono dunque crisi che possono essere generate proprio da misure fiscali.

La crisi innescata dal nuovo Coronavirus, come noto, deriva dalla quarantena e dai sopra ricordati protocolli limitativi dell’esercizio delle attività economiche determinanti una contrazione della capacità produttiva, dell’offerta di lavoro e dei consumi; gli effetti sono la carenza di liquidità e la difficoltà di accesso al credito con ripercussioni negative sui piani di investimento e sui livelli occupazionali. Non mancano, peraltro, filiere produttive che dalla crisi pandemica si sono avvantaggiate e continueranno ad esserlo almeno per qualche tempo ancora: si pensi alla grande distribuzione, al commercio on line, al settore della fornitura di energia elettrica e di prodotti legati alla sanificazione degli ambienti.

La durata degli effetti della odierna crisi dipende ovviamente da una serie di fattori tra cui la natura dell’impresa colpita e dalle sue dimensioni: la perdita di fatturato causata dal lockdown e dai suddetti protocolli può essere temporanea o, più raramente, definitiva.

Quali dunque le misure fiscali idonee a fronteggiare una crisi avente le caratteristiche di cui sopra ?

L’emergenza e le crisi nell’ordinamento tributario

Preliminarmente occorre constatare come il diritto tributario in tempo di crisi non vada confuso con il diritto dell’emergenza[2]; il primo, a ben vedere, è un contenitore che racchiude il secondo o al limite lo segue in una prospettiva diacronica.

Il diritto tributario emergenziale in particolare è un diritto, per così dire, prevalentemente sospensivo, caratterizzato, cioè, da norme che postpongono attività, adempimenti ed obblighi, sostanziali o meno (dichiarativi, di versamento etc.). Un terremoto, una guerra, un’epidemia impediscono la normale gestione di un’attività se non anche il normale fluire della vita onde l’intervento del legislatore tributario è innanzi tutto volto ad impedire che il contribuente, ma anche l’Amministrazione finanziaria, vengano travolti da scadenze e termini che non è possibile o estremamente difficile rispettare.

Un plastico esempio di diritto tributario emergenziale lo si rinviene, ad esempio, nel caso della crisi epidemiologica da Covid-19 e del lockdown dalla stessa derivato nel c.d. decreto Cura Italia (il d.l. n. 18/2020) ed in quello c.d. liquidità in cui numerose sono le norme tributarie di tipo sospensivo (quanto al primo v., ad esempio, il titolo IV e, quanto al secondo, l’art. 18).

Una conferma della natura sospensiva del diritto tributario emergenziale la si rinviene anche sul piano internazionale. Ed invero, nel Report dell’OCSE del 15 aprile di quest’anno dedicato alle risposte di natura fiscale necessarie per far fronte alla crisi pandemica troviamo alcuni esempi di misure sospensive.

In particolare nell’Executive Summary delReport è menzionato, tra l’altro, il differimento di adempimenti fiscali (proroga dei termini di scadenza per la trasmissione delle dichiarazioni e per i pagamenti delle imposte; sospensione dell’applicazione di sanzioni ed interessi; accesso facilitato a piani di rateazione; sospensione dell’attività di riscossione), la sospensione temporanea di accertamenti, verifiche e processi[3].

Ovviamente anche nel diritto tributario emergenziale non mancano norme diverse da quelle sospensive, di natura lato sensu di vantaggio e tra queste, alcune le troviamo ancora nel decreto “Cura Italia”: si pensi a quelle che prevedono il riconoscimento di crediti d’imposta (es. per botteghe e negozi e per la sanificazione degli ambienti di lavoro), detrazioni e deduzioni correlate ad erogazioni liberali finalizzate al contrasto all’emergenza epidemiologica.

Il sopra citato Report dell’OCSE fa riferimento anche al rimborso accelerato di crediti d’imposta e ad una teorica fiscalità impositiva (non di vantaggio dunque) da utilizzare con gradualità temporale consistente in «solidarity levies», «carbon taxes», web tax etc.

Considerato che, come si è detto, della crisi pandemica da Covid-19 alcune filiere produttive hanno tratto vantaggio in termini di incremento del fatturato, teoricamente vi sarebbe spazio anche per una fiscalità di prelievo; senonchè, onde valutarne la praticabilità, quanto meno a breve termine, di una fiscalità di tal fatta, come vedremo, occorre tener conto degli effetti più generali della crisi sulle imprese dalla stessa colpite.

L’ “emergenza tributaria” nella Costituzione

Interessante traguardare l’”emergenza tributaria” e la crisi economico-finanziaria conseguente all’interno dei principi costituzionali. E ciò tenuto conto che il fenomeno non riguarda solo il profilo della gestione del rapporto tributario[4] o, comunque, degli effetti indiretti provocati sul rapporto[5], bensì anche quello dei confini del potere di normare nella materia in oggetto, in particolare quando l’oggetto del normare attiene alla disciplina sostanziale di un tributo.

Orbene, una prima considerazione che può farsi al riguardo è che la nostra Costituzione non si occupa espressamente del rapporto tra tributo ed emergenza. Non vi è traccia, infatti, nelle norme costituzionali specificamente dedicate al tributo di alcun riferimento esplicito all’emergenza ovvero a situazioni emergenziali.

Eventi “eccezionali”, secondo quanto prevede l’art. 81, comma 2, Cost., possono però giustificare il ricorso all’indebitamento (solo) per considerare “gli effetti del ciclo economico” e previa autorizzazione delle Camere data a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti; ed avvalendosi di tale procedura si è, appunto, mosso il Governo con l’art. 126 del d.l. n. 18/2020.

La normazione in materia tributaria in situazioni di emergenza è dunque tradizionalmente affidata al decreto legge al quale è dedicata anche una disposizione di legge ordinaria quale l’art. 4 della l. n. 212/2000. Al ricorso al decreto legge, i cui generali presupposti sono rappresentati, come noto, da casi straordinari di necessità e d’urgenza, indiscutibili in presenza di una crisi epocale come quella scatenata da Covid-19, la predetta disposizione pone degli argini onde non si può disporre con decreto legge “l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti”. Ivi si limita, in altri termini, il potere governativo di sfruttare la maggiore celerità dello strumento in oggetto, affidando al Parlamento le decisioni relative all’introduzione del prelievo tributario di nuova fattura ovvero il suo potenziamento soggettivo.

Ma la tenuta di tale limitazione è discutibile posto che essa finisce con il circoscrivere l’ambito applicativo di una norma costituzionale ossia l’art. 77 Cost. senza averne la forza sul piano della gerarchia delle fonti[6].

Quali gli effetti dell’emergenza economica sul contenuto del decreto legge che si rivolga alla disciplina sostanziale del tributo ?

Orbene, la potestà normativa del Governo si può in teoria esplicare secondo l’alternativa teorica agevolazione/imposizione e cioè le misure tributarie in tempo di crisi possono conseguire a norme agevolative (qui da considerare in senso ampio ossia non implicanti prelievi aggiuntivi) ovvero, all’opposto, impositive[7].

Si può da un lato riservare un trattamento tributario di particolare favore (potremmo anche dire “sottrattivo”) ad atti ed attività che contribuiscono a superare la crisi e, dall’altro, far gravare maggiormente il peso dell’imposizione sulle attività che della crisi si avvantaggiano realizzando sovraprofitti.

Nella prima direzione si è mosso finora il Governo posto che nei decreti legge emanati per far fronte all’emergenza Covid-19 larghissimo spazio è dedicato allo strumentario fiscale agevolativo o “sottrattivo” all’interno del quale, troviamo distribuiti non sempre razionalmente (avvantaggiandosene talvolta anche imprese non colpite dalla crisi), tra l’altro, il temporaneo alleggerimento dell’IRAP, della Tosap/Cosap e della nuova IMU, il credito d’imposta relativo a talune spese, la detrazione e le deduzioni correlate ad erogazioni aventi particolari finalità.

La normativa dell’Unione Europea sugli aiuti di stato del resto prevede la compatibilità degli aiuti qualora si debba “ovviare ai danni provocati da calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali” (art. 107, par. 2, lett. b), del TFUE)[8].

La seconda direzione è la più delicata nella misura in cui l’introduzione di nuove forme impositive per fronteggiare la crisi innescata dalla emergenza pandemica porterebbe a drenare la già scarsissima liquidità in circolazione.

L’alternativa teorica agevolazione/imposizione

L’alternativa agevolazione/imposizione che si prospetta dinanzi al legislatore tributario in una situazione di crisi emergenziale coinvolge evidentemente, quanto ai tributi non para-commutativi, il principio di capacità contributiva traguardato nella prospettiva dell’uguaglianza.

Un punto fermo al riguardo è che detto principio non è affatto incompatibile con una norma agevolativa giacchè deve escludersi che l’esenzione dal pagamento dell’imposta debba sempre equivalere a un riconoscimento dell’insussistenza di capacità contributiva[9], ed è dunque possibile esentare dall’imposta anche soggetti forniti di capacità contributiva, purché tale scelta non presenti profili di irragionevolezza o di irrazionalità[10].

Secondo la Corte costituzionale, in particolare, “l’agevolazione dovrebbe poter trovare sostegno e giustificazione in valori componibili con il principio di capacità contributiva”[11] ed “il soggetto che gode del regime di favore fruisce della agevolazione perché l’ordinamento ritiene prevalenti le ragioni del sostegno e dell’incentivo verso una determinata attività rispetto alle ragioni del prelievo omogeneo”[12].

Peraltro, in una situazione di crisi epocale cambiano i profili qualitativi mercè i quali valutare la capacità contributiva e ciò nel senso che essa (la crisi) può determinare massivi spostamenti di ricchezza da settori dell’economia ad altri con conseguente diverso apprezzamento degli stessi sotto il profilo, appunto, della capacità contributiva. Tanto è vero che non manca in dottrina chi, muovendo dal principio di capacità contributiva come razionale criterio di riparto delle pubbliche spese, coglie finanche l’esistenza di ampi spazi per valorizzare il principio del beneficio nella configurazione della politica fiscale italiana[13].

E ciò, si afferma, senza alcuna necessità di spostare il baricentro del sistema di finanziamento delle pubbliche spese a favore di tributi commutativi, sul modello delle tasse, che più direttamente rispondono al principio del beneficio.

Anche in una dinamica propriamente impositiva fondata sull’art. 53, comma 1, Cost., infatti, il principio del beneficio può essere valorizzato, per la dottrina in questione, non soltanto conferendo rilievo al contributo in natura che le varie formazioni sociali mettono a disposizione per venire incontro alle esigenze della comunità, ma anche ricorrendo ad istituti che consentano al contribuente di avere un ruolo diretto nella destinazione del gettito dei propri tributi. Il riferimento è a strumenti di contribuzione a destinazione vincolata del tipo l’otto per mille dell’IRPEF. Ampliare l’ambito applicativo di istituti siffatti genererebbe un maggior “coinvolgimento” nella dinamica del prelievo degli amministrati e, correlativamente, una maggiore motivazione a concorrervi contestualmente consentendo una maggiore responsabilizzazione di governanti ed amministratori.

Fermo quanto precede, comunque discriminare i contribuenti sotto il profilo impositivo, specialmente in una situazione emergenziale si può ed è questione che va sindacata utilizzando il prisma della non irragionevolezza e della non arbitrarietà.

E’ insegnamento costante della giurisprudenza costituzionale, ad esempio, quello per cui la previsione di aliquote differenziate per settori produttivi e per tipologie di soggetti passivi rientra “pienamente nella discrezionalità del legislatore, se sorretta da non irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva”[14].

Cosicchè in teoria nulla osta finanche in un momento di crisi epocale alla previsione di prelievi più gravosi a carico di determinate categorie di imprese che dalla crisi potrebbero trarre particolare vantaggi.

L’ “emergenza impositiva”

Nell’attuale drammatico momento che attraversa il nostro Paese sarebbe pertanto astrattamente possibile giustificare l’introduzione di forme di prelievo tributario ad hoc ovvero l’aggravamento di prelievi già esistenti a carico di quelle pochissime filiere che, come detto, durante il lockdown non solo hanno continuato a produrre, ma forse hanno incrementato i propri guadagni.

Ed invero non mancano nella giurisprudenza costituzionale casi di tributi straordinari una tantum[15] o comunque giustificati da situazioni di crisi.

L’astratta ammissibilità di siffatti prelievi non significa ovviamente che debbano essere introdotti o che sia opportuno farlo. Del resto drenare oggi liquidità, considerata la natura della crisi da Covid-19 ed i suoi effetti (contrazione del fatturato per moltissime filiere produttive), non avrebbe senso.

Così come non pare il momento adatto per l’introduzione di una patrimoniale straordinaria come quella che nel 1992 salvò l’Italia dal tracollo finanziario, ovvero di un “prestito forzoso” (redimibile) sui depositi bancari e i conti correnti aperti in Italia o accesi all’estero da cittadini e imprese italiane ancorchè con previsione, ovviamente necessaria, di un importo minimo di giacenze complessive pro-capite al di sotto del quale nessun prelievo o prestito dovrebbe essere applicato.

La patrimoniale introdotta dal Governo Amato nel 1992 fu sì salvata dalla Corte costituzionale con argomenti nient’affatto convincenti[16], ma allo stato un simile prelievo applicato in modo generalizzato, finirebbe per apprendere le risorse finanziarie che oggi sono indispensabili per la sopravvivenza di famiglie ed imprese, in numero imponente, di fatto o di diritto, forzate al fermo dell’attività lavorativa ed in attesa dell’intervento finanziario di fonte pubblica[17].

Come sostenuto da attenta dottrina[18], sarebbe certamente meno traumatica e percepita come maggiormente giustificata l’ipotesi di una “imposta patrimoniale straordinaria” o di un “prestito forzoso” di carattere selettivo, che colpisca soltanto i grandi patrimoni (si ipotizza al riguardo la soglia del milione di euro) in tale secondo caso prevedendosi piani di ammortamento predeterminati, con certezza in ordine alle date di rimborso (ad esempio, attraverso forme di garanzia); il prestito forzoso potendosi attuare anche sotto forma di blocco e rinvio delle scadenze previste per il rimborso dei titoli del debito pubblico già detenute dagli investitori.

In entrambi i casi dovendosi ragionare sull’individuazione di un’aliquota del prelievo che non venga percepita come “espropriativa” (nel secondo caso invero solo temporaneamente), andando a incidere su una ricchezza, il patrimonio, che scaturisce da redditi già assoggettati al prelievo e che comunque viene sottratta all’impiego privato.

Senonchè, lo si ribadisce, ragionare in termini di fiscalità impositiva quando gli effetti dell’emergenza non si sono ancora esauriti ed i fatturati non tornano ai livelli pre crisi costituisce rimedio peggiore del male.

Conclusioni

Allo stato non resta dunque che affidarsi, almeno in una prospettiva di breve-medio periodo, alla fiscalità di vantaggio che non solo alleggerisca ove possibile alcuni prelievi, ma anche che, da un lato, favorisca la dotazione di liquidità e, dall’altro, migliori il regime delle perdite di periodo (destinate a coinvolgere un maggior numero di imprese rispetto al passato).

Centrale è in questa prospettiva il regime fiscale del capitale proprio e di quello di rischio. Con il decreto c.d. “Rilancio” n. 34 del 2020 qualcosa è stato fatto con riferimento al tema della fiscalità della capitalizzazione, lasciando sì inalterata la disciplina dell’ACE, ma prevedendo per talune imprese appositi crediti d’imposta e detrazioni (v., ad esempio, l’art. 26 del predetto decreto). Nulla invece i decreti legge “emergenziali” hanno previsto in punto di miglioramento del regime di deducibilità degli interessi passivi nella determinazione del reddito d’impresa.

Nella rosa delle misure fiscali incentivanti meritano attenta considerazione nella suddetta prospettiva una riduzione delle aliquote IRES per le neo-quotate ed il potenziamento dei PIR. A tale ultimo riguardo va salutata con favore l’introduzione da parte del decreto “Rilancio” (v. art. 136) dei PIR c.d. alternativi con l’obiettivo di convogliare il risparmio privato verso il mondo delle società non quotate.

Quanto al regime fiscale delle perdite di periodo, diversi sono i fronti in relazione ai quali si potrebbe in teoria intervenire, a partire dall’estensione della loro utilizzabilità ai fini IRAP.

Si pensi alle limitazioni quantitative al riporto in avanti, alla assenza di un meccanismo di carry back, che quand’anche non comportasse necessariamente il rimborso dell’imposta già corrisposta potrebbe avere una sua indubbia utilità, alla trasformazione delle imposte anticipate in crediti d’imposta (v. art. 55 del decreto “Cura Italia”), al regime delle società non operative che coinvolge anche quelle in perdita c.d. sistematica od ancora alla normativa relativa alle perdite su crediti (perdite che contribuiscono alla emersione di risultati economici di periodo negativi).

E ciò per limitare l’orizzonte della fiscalità della crisi solo ad alcune aree.

Il tema è in effetti molto complesso in quanto coinvolge diacronicamente una notevole varietà di discipline oltrechè soluzioni la cui funzionalità dipende dallo sviluppo della crisi.

Si spiega così il perché nel rapporto della task force presieduta da Vittorio Colao (istituita con DPCM del 10 aprile 2020) la fiscalità del rilancio, sovrapponibile per lunghi tratti a quella della crisi, viene scientemente trascurata per limitarsi ad alcuni spunti di sistema.

Ivi si suggerisce, tra l’altro, la predisposizione di un Codice tributario, l’istituzione di giudici professionali tributari e la previsione di tempi certi per la trattazione delle liti tributarie, la rimodulazione degli obiettivi attribuiti all’Amministrazione finanziaria ed il garantire al nostro Paese un presidio adeguato nell’ambito delle istituzioni preposte alla formulazione di proposte di riforma dei principi di fiscalità internazionale.

Per quanto si tratti di aree, queste tratteggiate nel rapporto, di notevole importanza strategica, chi scrive non crede tuttavia che attraverso molte di esse passi la strada per il superamento della crisi.

Certamente non dal Codice tributario, il quale, come dimostra il mezzo secolo trascorso dalla riforma dei primi anni ‘70, potrebbe dirsi una contraddizione in termini in un contesto di cronica instabilità ordinamentale; non dalla magistratura tributaria togata, se è questo che si intende con l’istituzione di giudici professionali tributari, posto che essa non assicura affatto la competenza (che oggi dovrebbe spaziare dalla disciplina catastale agli standard contabili IAS/IFRS); non dalla previsione di tempi certi per la trattazione delle liti tributarie se è vero, come è vero, che il processo tributario, almeno nei gradi di merito, non ha una durata eccessiva, specie se parametrata a quella dei giudizi civili e penali; non dal contributo del nostro Paese alla riforma della fiscalità internazionale giacchè è la fiscalità interna quella avvertita, come ostile, dalla maggioranza dei consociati.

 


[1] Ai fini delle misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese, l’epidemia da Covid-19 è definita dall’art. 56, comma 1, del d.l. n. 18/2020 come “evento eccezionale e di grave turbamento dell’economia” ai sensi dell’art. 107 del TFUE.

[2] Nel senso che l’emergenza costituisca uno specifico istituto giuridico del quale il diritto positivo, al di là delle sue determinazioni teorico-generali, definisce presupposti (artt. 1 e 7 del Codice della protezione civile di cui al d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1), conseguenze giuridiche (in particolare artt. 24 e 25 del predetto Codice) e limiti temporali (comma 3 del citato art. 24), da ultimo v. M. LUCIANI, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Rivista AIC n. 2/2020, 117.

[3] Dell’OCSE v. altresì il documento in data 16 marzo 2020 elaborato dal Forum on Tax Administration, dal titolo Tax Administration Responses to Covid-19: support for taxpayers.

[4] Per alcuni profili in tal senso v. A. CARINCI, Dilazione del pagamento per i debiti da autodichiarazione: una possibile via per superare la crisi, in il fisco, 2020, 1517 ss..

[5] Si pensi alle diverse aree di criticità che conseguono al lockdown quasi planetario relative al diritto tributario convenzionale (si pensi ai temi della residenza fiscale, della stabile organizzazione, e dei cross-border workers), criticità oggetto del Report dell’OCSE del 3 aprile 2020 intitolato OECD Secretariat Analysis of Tax Treaties and the Impact of the COVID-19 Crisis.

[6] Secondo Cass., ord. 6 febbraio 2019, n. 3440, “le disposizioni dello statuto del contribuente, che costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse” (conf. Cass., ord. 6 settembre 2017, n. 20812); per una valorizzazione delle clausole rafforzative di cui al c.d. Statuto dei diritti del contribuente per superare la veste formale di legge ordinaria, v., tra gli altri, G. MARONGIU, Lo Statuto del contribuente e i vincoli al legislatore, in il fisco, 2008, 8271 ss.

[7] Cfr. G. MARINI, Fisco ed emergenza coronavirus – Quali soluzioni per superare la crisi ?, in Taxnews, 17.4.2020

[8] L’applicabilità di tale disposizione nel contesto dell’evento pandemico è stata espressamente riconosciuta dalla Commissione Europea nella Comunicazione C(2020) 1863 final del 19 marzo 2020

[9] Così Corte cost., sent. 6 maggio 1985, n. 159.

[10] Cfr. Corte cost., sent. 24 marzo 1999, n. 119.

[11] Così Corte cost., ord. 6 dicembre 2006, n. 428.

[12] Così Corte cost., sent. n. 159/1985 e n. 119/1999 cit.

[13] V. A. CONTRINO-F. FARRI, Emergenza coronavirus e finanziamento della spesa pubblica: è possibile trarre indicazioni per la futura politica fiscale italiana ?, in supplemento on line della Riv. Dir. Trib. del 28 marzo 2020.

[14] Corte cost., sent. 11 gennaio 2005, n. 21.

[15] Cfr. Corte cost., ord. 12 luglio 2000, n. 341, relativa al c.d. contributo straordinario per l’Europa di cui all’art. 3, commi da 193 a 203 della l. n. 662/1996.

[16] Trattasi della storica sentenza 4 maggio 1995, n. 143; tra i più critici annotatori della sentenza nella dottrina di settore G. Falsitta, Lo scippo del governo Amato salvato dalla Consulta, in Riv.dir.trib., 1995, II, 476 ss.

[17] Concordo in ciò con A. CONTRINO-F. FARRI, op. e loc. cit.

[18] V. ancora A. CONTRINO-F. FARRI, op. e loc. cit.

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