La Newsletter professionale DB
Giornaliera e personalizzabile
www.dirittobancario.it
Approfondimenti

Il regime speciale per i lavoratori “impatriati”: disamina e principali profili applicativi di rilievo

27 Aprile 2020

Roberta Moscaroli, Partner, Dentons

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Negli anni più recenti, il sistema fiscale italiano, al fine di favorire lo sviluppo economico, scientifico e culturale del Paese, ha introdotto una serie di misure agevolative, dirette ad attirare risorse umane in Italia.

Tali misure sono state potenziate soprattutto a decorrere dal 2015:

  1. dapprima con il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (cosiddetto «Decreto Internazionalizzazione»)[1], il cui articolo 16[2] ha introdotto un regime fiscale di favore per laureati, manager e lavoratori con alta qualificazione che trasferissero la loro residenza in Italia (c.d. “Impatriati”);
  2. successivamente, con la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. «Legge di bilancio 2017»), che ha potenziato l’efficacia delle norme previgenti ed introdotto l’articolo 24-bis[3] nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 («Testo Unico delle imposte sui redditi», di seguito “TUIR”), recante la disciplina dei “Neo-residenti”;
  3. in ultimo, con gli interventi normativi del 2019 – in particolare, con il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (cosiddetto «Decreto Crescita»)[4] –, che hanno inteso ampliare ed intensificare le misure agevolative sugli Impatriati già recate dall’articolo 16 del Decreto Internazionalizzazione.

Ne deriva, oggi, un contesto normativo di misure finalizzate a favorire i trasferimenti di residenza in Italia, articolato in:

  1. misure (principalmente, quella sugli “Impatriati”) volte ad agevolare le persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia per svolgervi un’attività lavorativa, a favore delle quali è previsto un regime fiscale agevolato dei redditi prodotti in Italia, e
  2. disposizioni (quali quelle sui “Neo-Residenti”) volte ad agevolare le persone fisiche che si trasferiscono in Italia a prescindere dallo svolgimento di una particolare attività lavorativa, a favore delle quali è prevista una tassazione agevolata dei redditi prodotti all’estero.

Scopo del presente contributo è quello di fornire una disamina approfondita sul regime sugli Impatriati, dapprima richiamando brevemente l’evoluzione nel tempo della relativa disciplina (§ 2), quindi analizzando le previsioni attuali (§ 3) ed infine soffermandoci sul requisito del trasferimento della residenza (§ 4) e su taluni ulteriori profili applicativi di particolare rilievo (§ 5).

2. Evoluzione normativa della disciplina in commento (cenni)

Come indicato in premessa, l’articolo 16 del Decreto Internazionalizzazione, più volte modificato, ha inteso disciplinare compiutamente la materia del rientro dei lavoratori dall’estero, in particolare concedendo un’agevolazione fiscale temporanea ai lavoratori che, non essendo stati residenti in Italia per un periodo minimo precedente il rientro (cfr. più in dettaglio infra) ed impegnandosi a permanere in Italia per almeno due anni, trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato (già definiti come “Impatriati”).

Nella sua formulazione in vigore dal 1° gennaio 2017, l’articolo in commento disponeva che «I redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al cinquanta per cento del suo ammontare (…)».

La formulazione in commento derivava dalle modifiche – apportate dall’articolo 1, comma 150, lettera a), nn. 1 e 2, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 –, al testo vigente per l’anno di imposta 2016, che riservava il beneficio fiscale ai soli redditi di lavoro dipendente, i quali, sempre, concorrevano alla formazione del reddito complessivo nella misura del 70 per cento.

Sia il testo vigente per l’anno di imposta 2016 che quello in vigore dal 1° gennaio 2017, poi, richiedevano che l’attività lavorativa del dipendente fosse prestata prevalentemente nel territorio italiano (condizione, che, come si vedrà, è stata mantenuta ed è quindi tuttora vigente) e fosse svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società dello stesso gruppo. Detti lavoratori, inoltre, avrebbero dovuto rivestire ruoli direttivi ovvero essere in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Per i lavoratori autonomi, invece (come specificato, ammessi al regime di favore dal 1° gennaio 2017), non era richiesto alcun un rapporto di lavoro con un’impresa residente, né lo svolgimento di ruoli direttivi o il possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

È con il Decreto Crescita, tuttavia, che la disciplina in commento è stata nuovamente modificata, al fine di ampliarne la portata e l’ambito applicativo e di semplificare i requisiti richiesti ex lege per l’accesso ai benefici fiscali, per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal 2020.

Più in dettaglio, infatti, i commi da 1 a 5 dell’articolo 5 del Decreto Crescita sono intervenuti sulle agevolazioni in favore dei lavoratori impatriati (oltre che dei docenti e ricercatori che rientrano in Italia), al fine di ampliarne l’ambito applicativo e di chiarire l’operatività dei requisiti richiesti ex lege per l’attribuzione dei relativi benefici fiscali.

In particolare, per quanto riguarda gli impatriati, con riferimento ai soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal 2020:

  • è stata incrementata dal 50 al 70 per cento la riduzione dell’imponibile;
  • sono state semplificate le condizioni per accedere al regime fiscale di favore;
  • è stato esteso il regime di favore anche ai lavoratori che avviano un’attività d’impresa a partire dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2020;
  • sono state introdotte maggiori agevolazioni fiscali per ulteriori cinque periodi d’imposta in presenza di specifiche condizioni (numero di figli minorenni, acquisto dell’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, trasferimento della residenza in regioni del Mezzogiorno).

L’agevolazione in commento, peraltro, è accompagnata da una previsione sul «de minimis» (secondo cui l’importo complessivo degli aiuti concessi da uno Stato membro ad un’impresa non può superare euro 200.000 nell’arco di tre esercizi finanziari[5]), che costituisce un punto di attenzione.

Con riferimento alla decorrenza, infine, vale segnalare che il decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (cosiddetto «Collegato Fiscale»), convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, ha anticipato l’applicabilità delle maggiori agevolazioni disposte dal Decreto Crescita anche ai lavoratori rientrati in Italia a partire dal 30 aprile 2019, purché questi già risultassero beneficiari del regime previsto per i lavoratori impatriati.

3. Disciplina attualmente vigente.

Passando alla disamina delle disposizioni che si applicano dal 2020 (o dal 2019, ricorrendone le condizioni), il riformulato testo dell’articolo 16 prevede dunque che i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo[6] prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del TUIR[7] (i.e., la residenza fiscale: cfr. infra) concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del relativo ammontare[8] (10 per cento del relativo ammontare se la residenza è traferita nelle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia[9]), al verificarsi dei seguenti presupposti (comma 1):

  • che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento[10] e si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni[11];
  • che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.

Alle medesime condizioni soggettive, detto regime di (parziale) esenzione si applica anche ai redditi d’impresa relativi ad attività avviate in Italia a decorrere dal 2020 (comma 1-bis).

Rispetto al passato, pertanto, sono modificate (in melius) le condizioni alle quali si applica il regime di favore: ai sensi del riformulato articolo, infatti, è sufficiente che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento, che si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni e che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano, mentre sono eliminate le ulteriori condizioni prima previste[12]. Ne deriva, in particolare, che secondo la nuova formulazione, all’applicazione del regime in commento non osta il fatto che il rapporto di lavoro sia instaurato o mantenuto con una società di diritto estero – circostanza, questa, che, evidentemente, agevola l’accesso al regime e ne amplia enormemente la portata pratica –.

Rispetto alla previgente versione, inoltre, il novellato testo menziona espressamente[13] i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, recependo in proposito l’orientamento già accolto in via interpretativa dall’Agenzia delle entrate (da ultimo con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017)[14].

Come nel precedente regime, il regime agevolativo in commento opera dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi successivi, i.e., per totali cinque anni (comma 3).

Rispetto al previgente testo, tuttavia, il riformulato articolo 16 amplia la portata temporale dell’agevolazione, disponendo che la detassazione dei redditi di lavoro è prorogata di ulteriori cinque periodi di imposta[15], ancorché nel limite del 50 per cento, al ricorrere di talune condizioni e cioè nei casi di: (i) lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico e/o (ii) lavoratori che acquistino un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento[16] (comma 3-bis, prima parte). Inoltre, per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, i redditi di cui al comma 1, negli ulteriori cinque periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 10 per cento del loro ammontare (comma 3-bis, seconda parte)[17].

Così descritto in termini generali il regime agevolativo in commento, appare utile ora soffermarsi su taluni profili specifici, quali il concetto di “trasferimento della residenza” ed altre questioni interpretative di maggiore frequenza e/o rilievo pratico.

4. Trasferimento della residenza fiscale

La prima questione su cui soffermarsi attiene alla corretta comprensione del presupposto del trasferimento della residenza nel territorio dello Stato italiano da parte del lavoratore[18], richiesto dalla norma in commento.

Il concetto di “trasferimento di residenza” a tal fine rilevante è quello recato dall’articolo 2 del TUIR, essendo quindi un concetto “valido” ai fini fiscali (reddituali)[19].

Al riguardo, si ricorda che il citato articolo 2, al comma 2, considera residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta – e cioè, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile) – sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Ancora, si ricorda che le nozioni di residenza e domicilio contenute nell’articolo 2, comma 2, del TUIR sono mutuate dalla disciplina civilistica, che definisce la prima come il luogo di dimora abituale e il secondo come la sede principale dei propri affari e interessi (cfr. articolo 43 del codice civile).

Ne deriva, pertanto, che l’articolo 2, comma 2, del TUIR indica – in sintesi – i seguenti tre criteri alternativi di collegamento territoriale, determinanti per stabilire la residenza fiscale:

  1. iscrizione, per la maggior parte del periodo d’imposta, nelle anagrafi della popolazione residente;
  2. domicilio (i.e., luogo della dimora abituale), per la maggior parte del periodo d’imposta, nel territorio dello Stato;
  3. residenza (i.e., sede principale dei propri affari e interessi), per la maggior parte del periodo d’imposta, nel territorio dello Stato.

Le condizioni appena indicate, come specificato, sono tra loro alternative, di talché la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, come soggetto residente in Italia.

Ora, poiché per le persone fisiche il periodo d’imposta coincide con l’anno solare, quanto sopra comporta che:

  • un soggetto che si trasferisce in Italia[20] entro il 2 luglio di un determinato anno (1° luglio nel caso di anno bisestile) potrà essere considerato fiscalmente residente nell’anno stesso del trasferimento[21];
  • viceversa, un soggetto che si trasferisce in Italia[22] dopo il 2 luglio (1° luglio nel caso di anno bisestile) potrà essere considerato fiscalmente residente solo a decorrere dall’anno successivo al trasferimento[23] (in quanto l’integrazione dei requisiti di radicamento della residenza sarà sempre per un tempo inferiore alla maggior parte del periodo d’imposta).

Tornando alla disamina del regime sugli Impatriati, dunque, si è già specificato come l’incentivo si applichi a decorrere dal periodo di imposta in cui il soggetto diviene fiscalmente residente in Italia. Ne consegue, pertanto, che, per il corrente 2020 (anno bisestile), chi si iscriverà nell’anagrafe della popolazione residente a partire dal 2 luglio non potrà accedere al regime degli Impatriati per l’anno in corso (dovendo aspettare il 2021), a meno che non abbia effettivamente trasferito il domicilio o la residenza prima di tale data.

Relativamente al requisito del trasferimento della residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, infine, il legislatore e l’Agenzia delle entrate, rispettivamente, hanno inteso intervenire su due importanti profili applicativi, concernenti:

  1. la situazione, non infrequente, dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero senza, tuttavia, cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente ed iscriversi all’AIRE (Anagrafe dei Residenti all’Estero) e
  2. la fattispecie degli Impatriati provenienti dai “Paradisi Fiscali”.

Con riferimento alla fattispecie delineata sub “a)”, si osserva che, prima delle modifiche recate dal Decreto Crescita, il requisito del trasferimento di residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, senza eccezione alcuna, comportava la preclusione dell’accesso al regime per il soggetto che non si fosse mai cancellato dalle anagrafi della popolazione residente[24].

Per superare detta questione (ed il contenzioso pregresso creatosi), il Decreto Crescita ha introdotto un nuovo comma 5-ter all’articolo 16, che permette ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE (rientrati in Italia a decorrere dal 2020, di accedere ai benefici fiscali per i lavoratori impatriati come modificati dalle norme in esame[25], purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia.

Ciò significa che, se nei due periodi d’imposta antecedenti il (ri)trasferimento nel nostro Paese, il cittadino italiano avesse omesso di cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente e di iscriversi all’AIRE, lo stesso potrebbe comunque dimostrare di essere stato, nei medesimi periodi d’imposta, residente (anche) in un altro Paese con cui è in vigore un trattato contro le doppie imposizioni e che, in virtù dei criteri convenzionali di soluzione dei casi di doppia residenza dettati da detto trattato (c.d. tie-breaker rules), la residenza in quest’ultimo Paese prevale su quella in Italia[26].

Le norme in esame chiariscono inoltre che, con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio, nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini di accertamento delle imposte sui redditi (di cui all’articolo 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui alle norme in parola, ma nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al, comma 1, lettera a). Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo.

Con riferimento alla fattispecie delineata sub “b)”, invece, l’Agenzia delle entrate ha indicato che l’accesso al regime agevolativo in commento è consentito, altresì, alle persone fisiche “provenienti” da Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, (purché) in grado di vincere la presunzione di residenza in Italia di cui al comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR[27].

A miglior chiarimento di quanto precede, infatti, si ricorda che la disposizione recata dal citato comma 2-bis (secondo cui, salvo prova contraria, continuano inoltre a considerarsi fiscalmente residenti in Italia i cittadini italiani trasferitisi in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato[28]), lungi dal creare un ulteriore status di residenza fiscale, introduce un criterio presuntivo ai fini del radicamento della residenza stessa[29].

Rispetto all’accesso al regime degli Impatriati, pertanto, quanto precede implica che la persona fisica che si trasferisce in Italia provenendo da uno dei Paesi elencati nel Decreto del Ministro delle finanze del 4 maggio 1999, potrà usufruire del regime agevolativo in esame, (solo) laddove sia in grado di vincere la citata presunzione di residenza[30].

5. Ulteriori profili applicativi di rilievo

Passando alla disamina di ulteriori profili applicativi di particolare rilievo, si sottolinea, ancora, quanto segue.

In via preliminare, vale evidenziare che, nell’interpretare la portata dell’agevolazione in commento, l’Agenzia delle entrate tende a valorizzarne la vis attractiva (e cioè la ratio e la natura di incentivo determinante ai fini della scelta di rilocalizzare la propria attività lavorativa in Italia), escludendo pertanto la possibilità di agevolare i rientri che si pongano in una situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia.

In tal senso, pertanto, sono state ritenute non agevolabili le fattispecie di rientro in Italia conseguenti alla cessazione del periodo di distacco all’estero, in considerazione della situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia[31].

(Solo) con successiva risoluzione n. 76/E del 5 ottobre 2018, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che tale posizione restrittiva, finalizzata ad evitare un uso strumentale dell’agevolazione in esame, non in linea con la vis attractiva della norma, non preclude, tuttavia, la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa.

Ne deriva, certamente, una situazione di possibile incertezza in una serie di casi (in definitiva, legata al concetto stesso di “uso strumentale” dell’agevolazione in esame)[32], possibilmente superabile mediante la presentazione di apposita istanza di interpello ex articolo 11, comma 1, lettera a), della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. «Statuto del contribuente»).

In secondo luogo, occorre ricordare che l’agevolazione fiscale risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato[33], dovendosi a tal fine fare riferimento ai criteri di collegamento con il territorio dello Stato previsti dall’articolo 23 del TUIR – che considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero, nonché i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni –.

In linea generale, quindi, l’esenzione non spetta per i redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai confini dello Stato. Conseguentemente, nel caso in cui un soggetto abbia prodotto nei primi mesi dell’anno redditi al di fuori del territorio dello Stato e, per essere rientrato in corso d’anno, risulti fiscalmente residente in Italia, detti redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo in via ordinaria, salva l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni.

In terzo luogo, si ricorda che uno dei presupposti per l’applicazione del regime agevolativo in esame è che l’attività lavorativa de qua sia prestata prevalentemente nel territorio dello Stato, ponendosi al riguardo la questione interpretativa della portata da attribuire al concetto di «prevalenza», qui richiamato.

In proposito, si ritiene che, in attesa dell’emanazione di nuovi chiarimenti sul novellato regime, si possa far riferimento alle indicazioni della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 17/E del 23 maggio 2017, ancorché emanate a commento del previgente testo dell’articolo 16.

In tale sede, in particolare, è stato chiarito che:

  • il requisito della prevalenza deve essere verificato in relazione a ciascun periodo d’imposta e risulta soddisfatto se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno (184 giorni negli anni bisestili);
  • nel computo dei 183 (o 184) giorni rientrano non solo i giorni lavorativi ma anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e altri giorni non lavorativi (ma – viceversa – non possono essere, invece, computati i giorni di trasferta di durata superiore a 183 giorni, o il distacco all’estero, essendo l’attività lavorativa prestata fuori dal territorio dello Stato);
  • se il requisito sussiste solo per alcuni dei periodi di imposta compresi nel quinquennio per il quale è possibile fruire del beneficio, il lavoratore potrà fruirne per i soli anni in cui il requisito sarà soddisfatto, fermo restando che gli altri anni concorreranno comunque al computo del quinquennio.

Infine, un’ultima – ma molto frequente – questione di rilievo, da valutare attentamente in fase di analisi preventiva della disciplina de qua, attiene al trattamento delle stock option e degli altri incentivi costituenti forme di retribuzione differita, corrisposti al lavoratore dopo il suo trasferimento in Italia.

Al riguardo, come confermato dalla recente dall’Agenzia delle entrate (risposta n. 78 del 27 febbraio 2020)[34], occorre fare nuovamente riferimento alla citata circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, che, quale criterio di allocazione temporaledelle retribuzioni differite (incluse le restricted stock units e le stock option), ha indicato la necessità di individuare il reddito che si considera prodotto all’estero facendo riferimento al rapporto tra il numero di giorni durante il quale la prestazione lavorativa è stata esercitata nel Paese estero e il numero totale dei giorni necessari ad acquisire il diritto a ricevere le azioni[35].

L’applicazione pratica della regola suggerita dall’Agenzia delle entrate, tuttavia, risulta nel concreto alquanto complessa[36], soprattutto laddove il lavoratore che rientra in Italia mantenga un rapporto di lavoro con un datore estero senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato e, per la corretta determinazione delle componenti retributive in commento, non abbia il supporto di un sostituto d’imposta.

6. Conclusioni

Alla luce di quanto sinora indicato, è evidente come il regime degli Impatriati meriti un’attenta analisi da parte di quanti, in questi giorni, stiano valutando la possibilità di “rilocalizzare” la propria attività lavorativa in Italia, potendo risultare estremamente vantaggioso soprattutto in presenza di redditi da lavoro particolarmente elevati[37].

Il regime in commento, tuttavia, è estremamente articolato nonché complesso rispetto a taluni profili applicativi, presentando ancora questioni interpretative irrisolte.

In tal senso, in sede di valutazione preliminare sull’opportunità del trasferimento in Italia e della tipologia di regime preferenziale da scegliere, particolare attenzione dovrà essere posta alla tipologia di attività svolta ed alla struttura dei compensi e/o della retribuzione attuale e prospettica, al fine di inquadrare per tempo quali, tra le componenti reddituali conseguite, possano in effetti risultare agevolate.

 


[1] Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, recante «Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese».

[2] Rubricato «Regime speciale per lavoratori impatriati».

[3] Rubricato «Opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia».

[4] Decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», convertito con modificazioni dalla legge 28 giugno 2019 n. 58.

[5] Cfr. l’articolo 8-bis, comma 2, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, conv. con modificazioni dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, ai sensi del quale «Le disposizioni contenute nell’articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e nell’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, si applicano nel rispetto delle condizioni e dei limiti di cui al regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis», e di cui al regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo».

[6] La disposizione in commento contiene inoltre agevolazioni specifiche per sportivi professionisti, da un lato, e docenti e ricercatori, dall’altro, che si trasferiscano in Italia.

[7] «Testo Unico delle Imposte sui Redditi», approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e ss.ii.mm.

[8] Percentuale di imponibilità ridotta rispetto a quella, del 50 per cento, prevista dal previgente testo dell’articolo 16. L’imponibilità del reddito da lavoro per il solo 30 per cento del relativo ammontare implica, pertanto, una detassazione dello stesso del 70 per cento.

[9] Cfr. il comma 5-bis.

[10] Arco temporale ridotto rispetto a quello, di cinque periodi d’imposta, previsto dal previgente testo dell’articolo 16.

[11] L’articolo 3 del Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 26 maggio 2016 disciplina la decadenza dal regime, disponendo che «Il beneficiario degli incentivi di cui al predetto art. 16, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, decade dal diritto agli stessi laddove la residenza in Italia non sia mantenuta per almeno due anni. In tal caso si provvede al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi».

[12] Vale a dire, le seguenti due ulteriori condizioni: (i) attività lavorativa svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società del gruppo e (ii) lavoratori che rivestissero ruoli direttivi, ovvero fossero in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

[13] E cioè include espressamente nell’agevolazione.

[14] Osserva G. Marianetti (Rafforzati gli incentivi per i lavoratori impatriati, in “il fisco” n. 22 del 2019) che, il Decreto Crescita non modifica il comma 2 dell’articolo 16. Ci si chiede, pertanto, quale possa essere il coordinamento tra le due disposizioni, posto che le condizioni del comma 1 sembrano essere tali da includere anche i soggetti indicati nel comma 2. Ad ogni modo, la valenza residua dell’ambito soggettivo del comma 2 sarà sicuramente marginale.

[15] Anche sotto questo punto di vista, pertanto, potenziando la portata del beneficio.

[16] L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà.

[17] È stato giustamente osservato che non risulta chiaro quando debbano sussistere tali condizioni e se le stesse debbano ricorrere o meno per tutto l’ulteriore periodo di fruizione del beneficio. Sul punto, si rinvia a G. Marianetti, op. cit..

[18] Come specificato, dopo un periodo di residenza mantenuta all’estero di (almeno) due anni.

[19] Cfr. sul punto anche l’Agenzia delle entrate, n. 17/E del 23 maggio 2017, Parte I.

[20] Nel senso sopra specificato.

[21] E cioè, più chiaramente, a decorrere dal 1° gennaio dell’anno in corso.

[22] Nel senso sopra specificato.

[23] E cioè, più chiaramente, a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo.

[24] Come chiaramente statuito dall’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, Parte I, citata, ed ancor prima nella circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011 con riferimento all’agevolazione applicabile a docenti e ricercatori. In proposito, si veda anche l’interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01717, in cui sono stati richiesti al Governo chiarimenti in merito ai requisiti per fruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 ed il Governo ha confermato le interpretazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nelle circolari citate e la conseguente preclusione dell’accesso alle agevolazioni per i soggetti che, pur essendosi stabiliti all’estero negli anni precedenti al trasferimento, non si fossero purtuttavia cancellati dall’anagrafe della popolazione residente.

[25] Sostanzialmente, derogando al disposto dell’articolo 2 del TUIR.

[26] Così G. Formica – M. De Nicola, Regime degli “impatriati” ampliato e potenziato, ma meno conveniente per gli sportivi professionisti, in “il fisco” n. 31 del 2019.

[27] Circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, citata.

[28] Ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR, «Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale». Ai fini dell’applicazione della disposizione in commento, viene in rilievo il Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 4 maggio 1999, e ss.ii.mm., recante, appunto, l’«Individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato» ai fini dell’applicazione dell’articolo 2, comma 2-bis del TUIR.

[29] In altri termini, il legislatore, attraverso l’introduzione di una presunzione legale relativa, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, ponendolo a carico dei contribuenti, cittadini italiani, trasferiti nei suddetti Paesi, al fine di evitare che le risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti sostanziali (cfr. Agenzia delle entrate, circolare n. 17/E del 23 maggio 2017).

[30] Laddove, evidentemente, la prova della effettiva residenza all’estero dovrà essere fornita a richiesta degli uffici dell’Agenzia in fase di controllo (cfr. in tal senso anche l’Agenzia delle entrate, circolare n. 17/E del 23 maggio 2017).

[31] Cfr. circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, Parte II, e le risoluzioni che richiamano i chiarimenti della citata circolare.

[32] Come desumibile dai numerosi interpelli presentati per casistiche di trasferimenti legati ai distacchi. In argomento, cfr., tra gli altri, G. Marianetti – G. Barbieri, Il regime degli impatriati per i lavoratori rientrati in Italia dopo un distacco all’estero, in “il fisco”, n. 6/2019, pag. 527.

[33] Cfr. circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, § 4.

[34] Avente ad oggetto: «Piano incentivazione monetario e azionario – Lavoratori dipendenti – regime fiscale lavoratori impatriati e nuovi residenti»

[35] Per un approfondimento della questione, si rinvia alla circolare citata, che fornisce altresì esempi numerici sul criterio di calcolo proposto.

[36] Per la disamina di alcune criticità legate al trattamento fiscale delle forme di incentivazione e di retribuzione differita, cfr. C. Quartana, Piani di incentivazione monetari e azionari transnazionali: risvolti per neo residenti e lavoratori impatriati, in “il fisco” 13/2020, pag. 1215.

[37] Come tipicamente i redditi conseguiti dai manager.

Leggi gli ultimi contenuti dello stesso autore
Attualità
Fiscalità d'impresa

Semplificazioni Patent Box: primi commenti alla luce degli emendamenti al decreto-legge

16 Novembre 2021

Roberta Moscaroli, Partner, Dentons Europe Studio Legale Tributario

Il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante «Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili» (Decreto Fiscale), ha profondamente innovato, di fatto sostituendola, la disciplina del Patent Box.
Attualità
Fiscalità d'impresa

IVA: in vigore le semplificazioni per l’e-commerce transfrontaliero

2 Luglio 2021

Roberta Moscaroli, Partner, Dentons Europe Studio Legale Tributario

Dal 1° luglio 2021, sono entrate in vigore le nuove regole IVA introdotte dal decreto legislativo 25 maggio 2021, n. 83 (di seguito, “D.Lgs. 83/2021”), con cui l’Italia ha recepito la direttiva 2017/2455/UE, articoli 2 e 3, e la direttiva
Di cosa si parla in questo articolo
Vuoi leggere altri contenuti degli autori?
Una raccolta sempre aggiornata di Atti, Approfondimenti, Normativa, Giurisprudenza.
Iscriviti alla nostra Newsletter
Iscriviti alla nostra Newsletter