Il presente lavoro trae spunto dalla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C-156/17, KA Deka, in tema di trattamenti tributari differenti applicabili agli organismi di investimento collettivo del risparmio residenti e non residenti in relazione ai dividendi di fonte nazionale. Più in particolare, dopo aver analizzato i principi contenuti in tale sentenza, sono tratteggiati altresì i motivi in base ai quali si ritiene che le censure avanzate dalla giurisprudenza comunitaria possano riguardare anche la disciplina italiana in materia.
1. Il caso affrontato dalla Corte
La sentenza C-156/17 esamina la compatibilità con il principio della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 e ss. del TFUE della disciplina tributaria olandese applicabile a taluni organismi di investimento collettivo del risparmio – residenti e non residenti in Olanda – denominati “organismi di investimento collettivo a carattere fiscale” (OICF). Più in particolare, al fine di consentire ai piccoli risparmiatori di effettuare più agevolmente investimenti in determinati tipi di attività, assimilando il trattamento fiscale loro applicabile a quello riservato a coloro che effettuano tali investimenti individualmente, la disciplina olandese prevede che gli OICFsiano assoggettati a un’aliquota d’imposta sulle società pari a zero e che abbiano diritto al rimborso della ritenuta operata sui dividendi corrisposti da società residenti in Olanda.
Al fine di poter essere qualificati come OICF, gli organismi hanno l’obbligodi:
- distribuire agli investitori i proventi riferibili ai dividendi percepiti entro un determinato termine dalla chiusura dell’esercizio;
- operare su tali proventi una ritenuta a titolo di imposta olandese sui dividendi;
- rispettare taluni vincoli di composizione relativi alla compagine degli investitori che assicurino un’elevata diffusione delle quote, fino al 2006, differenziate tra organismi quotati e non quotati presso la Borsa di Amsterdam e, dal 2007, valevoli per gli organismi quotati presso un mercato di strumenti finanziari, ovvero in possesso di una specifica autorizzazione o dispensa.
Il ricorrente del procedimento principale (KA Deka) è un OICVM tedesco:
- le cui azioni sono quotate presso la Borsa tedesca, ma la loro negoziazione avviene mediante un sistema denominato “global stream system” che non consente a tale OICVM di conoscere l’identità dei propri investitori;
- che ha subito la ritenuta operata sui dividendi corrisposti da società olandesi nella misura del 15% prevista dalla Convenzione tra Germania e Olanda;
- che non ha operato la ritenuta a titolo di imposta olandese sui dividendi al momento della distribuzione dei proventi;
- che motiva il proprio diritto al rimborso della ritenuta subita anche in virtù della circostanza che, ai sensi della disciplina tributaria tedesca,gli OICVM, in aggiunta ai proventi distribuiti agli investitori, sono altresì tenuti a determinare un importo presunto di tali proventi che si considerano in ogni caso distribuiti a questi ultimi; e
- la disciplina tedesca prevede che entrambe tali tipologie di proventi concorrano parzialmente alla formazione del loro reddito imponibile degli investitori.
Il giudice del rinvio pone all’attenzione della Corte tre questioni in merito alla compatibilità del regime olandese degli OICF con il principio della libera circolazione dei capitali, che vengono di seguito più dettagliatamente analizzate.
La prima questione concerne la compatibilità con tale libertà fondamentale della disciplina olandese sugli OICF nella misura in cui quest’ultima non concede il rimborso della ritenuta sui dividendi di fonte domestica agli organismi esteri in ragione del fatto che tali organismi non operano in qualità di sostituti di imposta in relazione alla ritenuta a titolo di imposta olandese sui dividendi al momento della distribuzione dei proventi agli investitori, ma lo concede agli OICF residenti in Olanda su cui, invece, gravano i predetti obblighi di sostituzione d’imposta.
Tale questione è stata ritirata dal giudice del rinvio a seguito all’emanazione della sentenza relativa alla Causa C-480/16, Fidelity Funds, attinente alla disciplina fiscale danese che, analogamente a quella olandese sugli OICF, subordinava l’esenzione degli organismi residenti dalla ritenuta alla fonte sui dividendi di fonte domestica alla condizione che tali organismi effettuassero una distribuzione minima (reale o presunta) nei confronti degli investitori e operassero su tale distribuzione una ritenuta a titolo di imposta, negandola, invece, l’esenzione agli organismi esteri.
Più in particolare, si ricorda che, in tale sentenza, la Corte ha statuito che, se pur il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sui dividendi nazionali concesso agli organismi danesi è, in linea di principio, compensato dalla tassazione dei proventi riferibili a tali dividendi distribuiti agli investitori – potendo a tal fine essere invocata, sempre in linea di principio, la giustificazione alla restrizione relativa alla preservazione della coerenza del sistema impositivo domestico – è comunque possibile mantenere tale coerenza interna del sistema tributario nell’ipotesi in cui gli organismi esteri possano beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta a condizione che le autorità fiscali accertino, con la piena collaborazione di tali organismi, che questi ultimi versino un’imposta equivalente a quella versata dagli organismi danesi.
La seconda questione riguarda invece la verifica in merito alla conformità ai dettami della libera circolazione dei capitali della disciplina fiscale olandese per il fatto che non accorda il rimborso della ritenuta sui dividendi di fonte domestica agli organismi esteri che non dimostrano di rispettare i vincoli di composizione degli investitori previsti dalla disciplina sugli OICF.
A tale riguardo, la Corte ha anzitutto rilevato che la normativa olandese non distingue tra organismi residenti e non residenti, nel senso che i requisiti ai quali è subordinato il rimborso della ritenuta si applicano indistintamente ad entrambe tali categorie di organismi. Tuttavia, poiché non è da escludere a priori che una normativa nazionale di tale tipo possa de facto svantaggiare operatori non residenti, non sempre in grado di ottemperare ad obblighi che sono naturaliter propri del mercato nazionale, la Corte ha rimesso al giudice del rinvio la verifica in merito alla possibilità che le prescrizioni richieste dalla normativa sugli OICF possano fattualmente escludere gli organismi esteri dal beneficio del rimborso della ritenuta.
Per quanto concerne le prove che devono essere fornite dagli organismi esteri al fine di dimostrare il proprio diritto a tale beneficio fiscale, la Corte ha stabilito che, pur avendo le autorità fiscali olandesi il diritto di esigere dal contribuente le evidenze necessarie per la sua eventuale concessione, queste ultime non possono esigere dagli organismi esteri la produzione di documenti conformi sotto ogni profilo a quelli che gli organismi nazionali sono in grado di produrre, rendendo gli adempimenti eccessivamente gravosi, qualora dalle prove fornite dagli organismi esteri sia già possibile verificare i presupposti di spettanza del beneficio in parola.
Con riferimento ai fatti della causa principale la Corte ha rilevato che l’impossibilità di fornire alle autorità fiscali olandesi la prova relativa alla compagine degli investitori di KA Deka non è legata all’eccessiva onerosità della normativa olandese, ma dipende unicamente dalla scelta del modello di negoziazione delle azioni di tale OICVM, che non consente di conoscere l’identità degli investitori, pertanto la mancata concessione del beneficio fiscale per il motivo che quest’ultimo non ha potuto dimostrare in modo sufficiente la sussistenza di tale requisito non costituisce un trattamento sfavorevole censurabile.
La terza questione concerne la compatibilità con il principio di libera circolazione dei capitali della disciplina olandese nella misura in cui quest’ultima non concede il rimborso della ritenuta agli organismi esteri in ragione del fatto che non distribuiscono integralmente il risultato di gestione agli investitori ma, secondo la disciplina del proprio Stato membro di residenza, sono tenuti a determinare un importo presunto di tali proventi che si considerano in ogni caso distribuiti e tassati in capo agli investitori, che si aggiunge alla quota parte dei proventi realmente distribuiti.
A tale riguardo, la Corte, pur ribadendo che la normativa olandese pone l’obbligo di ridistribuzione in capo agli organismi sia residenti sia non residenti, ha rilevato che occorre verificare se tale obbligo sia tale da svantaggiare de facto i soli organismi esteri, ciò in quanto subordinare la possibilità di ottenere un beneficio fiscale al rigoroso rispetto dei requisiti previsti dalla normativa nazionale, a prescindere dal quadro normativo applicabile in capo a questi ultimi nel loro Stato di stabilimento, equivale a riservare il beneficio in parola ai soli organismi residenti. Conseguentemente, gli organismi non residenti devono essere messi in grado di dimostrare di trovarsi, proprio in virtù del contesto normativo vigente nel loro Stato di stabilimento, in una situazione paragonabile a quella degli organismi residenti che soddisfano tali requisiti.
Con riferimento alla comparabilità tra le situazioni degli organismi residenti e non residenti la Corte ha stabilito che occorre porre riferimento all’obiettivo perseguito dalla normativa olandese in relazione all’obbligo di distribuzione del risultato di gestione, che, come detto, è quello di far sì che il rendimento degli investimenti che un privato realizza tramite un organismo di investimento sia lo stesso del rendimento degli investimenti realizzati a titolo individuale. A tale fine, il legislatore olandese ha ritenuto essenziale che gli OICF facessero circolare al più presto il risultato di gestione verso gli investitori.
La distribuzione dei proventi comporta, come visto, il loro assoggettamento a tassazione in capo agli investitori. Tuttavia, a causa dell’introduzione in Olanda di un sistema di tassazione del rendimento annuo forfettario degli investimenti detenuti dai privati, calcolato indipendentemente dal rendimento effettivo da questi ultimi ricavato, la Corte ha dato conto che tutte le parti della causa si sono interrogate sul carattere indispensabile della distribuzione dei proventi al fine di conseguire l’obiettivo di neutralità dell’imposizione tra gli investimenti diretti e quelli effettuati tramite un di un organismo di investimento.
Pertanto, la Corte ha stabilito che spetta al giudice del rinvio determinare l’obiettivo principale sotteso all’obbligo di distribuzione dei proventi, e, in particolare:
- se risulta che l’obiettivo perseguito è quello di far pervenire al più presto agli investitori il risultato della gestione, la situazione di un organismo non residente che non distribuisce i proventi derivanti dai suoi investimenti, quand’anche questi ultimi siano considerati distribuiti, non è oggettivamente comparabile a quella di un organismo residente che distribuisce il risultato della gestione alle condizioni previste dalla normativa nazionale;
- se, invece, l’obiettivo perseguito consiste principalmente nella tassazione dei proventi in capo agli investitori, occorre considerare che un organismo residente che effettua una distribuzione effettiva del suo risultato di gestione e un organismo non residente il cui risultato della gestione non è effettivamente distribuito ma che si considera presuntivamente distribuito e, in quanto tale, assoggettato ad imposta in capo agli investitori, si trovano in una situazione oggettivamente comparabile. Infatti, in entrambi i casi, il livello di tassazione è spostato dall’organismo verso l’investitore;
- in tale ultima situazione, il rifiuto dell’Olanda di concedere all’organismo estero il rimborso della ritenuta costituirebbe una restrizione alla libera circolazione dei capitali.
2. Considerazioni in relazione alla disciplina italiana
La sentenza C-156/17, pur riguardando un contesto normativo, quello olandese, differente da quello italiano per ciò che concerne la tassazione degli organismi di investimento collettivo del risparmio e dei loro investitori si pone comunque nel solco tracciato dalle precedenti sentenze della Corte[1] che ha sempre rilevato la contrarietà al principio di libera circolazione dei capitali di discipline nazionali che accordano (ovvero rendono più agevolmente fruibili) benefici fiscali unicamente ad organismi residenti, negandoli (ovvero rendendoli meno agevolmente fruibili) agli organismi non residenti, nella misura in cui questi ultimi si trovano in una situazione oggettivamente paragonabile a quella dei loro omologhi residenti.
A tale censura potrebbe essere soggetta nel prossimo futuro anche la disciplina tributaria italiana, quanto meno per gli organismi residenti in altri Stati membri dell’Unione Europea e negli Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo (UE/SEE), avuto presente che, proprio in relazione ai dividendi di fonte italiana, tali organismi esteri sono soggetti ad un trattamento tributario deteriore rispetto a quelli residenti in Italia[2].
Ciò in quanto, gli organismi istituiti in Italia, diversi da quelli immobiliari, sottoposti a forme di vigilanza prudenziale, o il cui soggetto gestore sia sottoposto a tali forme di vigilanza, pur essendo, in linea di principio, soggetti passivi IRES, sono esenti dal tale imposta[3] e nei loro confronti è altresì prevista la disapplicazione delle forme di prelievo alla fonte (ritenute ed imposte sostitutive) generalmente applicabili[4], tra cui la ritenuta, ovvero l’imposta sostitutiva, sui dividendi di fonte domestica, prevista, nella misura del 26%[5], rispettivamente, dagli artt. 27 e 27-ter del D.P.R. n. 600/1973[6].
Diversamente, gli organismi istituiti in altri Stati UE/SEE, diversi da quelli immobiliari, parimenti sottoposti a forme di vigilanza prudenziale, o il cui soggetto incaricato della gestione sia sottoposto a tali forme di vigilanza, sono ordinariamente tassati in Italia per ciò che concerne i redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato[7], e sono pertanto soggetti alla ritenuta a titolo di imposta, ovvero all’imposta sostitutiva, sui dividendi di fonte italiana[8].
Più in particolare, al fine di valutare se, con specifico riferimento al caso sopra rappresentato, sussista una discriminazione a danno degli organismi UE/SEE occorre accertare preliminarmente se il differente trattamento fiscale previsto per questi ultimi rispetto a quello previsto per gli organismi italiani possa essere giustificato o meno in relazione alla oggettiva comparabilità delle due situazioni. A tal fine, occorre ulteriormente valutare se il confronto debba essere effettuato esclusivamente a livello degli organismi di investimento o se piuttosto debba essere presa in considerazione anche la situazione degli investitori.
In linea di principio, infatti, si potrebbe sostenere che la situazione interna e quella transfrontaliera non sono paragonabili in quanto nel caso di dividendi distribuiti a favore di un organismo italiano, l’Italia mantiene il diritto di esercitare la propria competenza tributaria sui proventi successivamente distribuiti dall’organismo, mentre un analogo diritto evidentemente viene meno nel caso di distribuzione a favore di un organismo estero. Tuttavia, poiché l’esonero da ritenuta stabilito a favore degli organismi istituiti in Italia non è subordinato espressamente alla condizione che i dividendi percepiti vengano redistribuiti agli investitori sotto forma di proventi da partecipazione all’organismo e conseguentemente assoggettati a tassazione in capo a questi ultimi, in linea con la giurisprudenza della Corte in casi analoghi[9], si ritiene che il confronto debba prescindere dalla situazione degli investitori e che, pertanto, la discriminazione non sia giustificata. Peraltro, quand’anche si volesse prendere in considerazione anche il carico fiscale in capo agli investitori, gli organismi esteri risulterebbero comunque discriminati in quanto di norma tali organismi sono partecipati da investitori istituzionali esteri localizzati in Stati c.d. White list (come, ad esempio, i fondi pensione e fondi di fondi) i quali non avrebbero subito alcuna ritenuta sui proventi distribuiti da un organismo italiano[10].
Da ultimo, sempre in base ai principi sanciti nelle precedenti sentenze della Corte, si evidenzia altresì che la discriminazione in esame non potrebbe essere giustificata:
- né da motivi di lotta a pratiche abusive e di prevenzione dell’evasione fiscale, in quanto il regime deteriore previsto dall’ordinamento italiano per gli organismi esteri non si pone come obiettivo quello di contrastare l’utilizzo di costruzioni puramente artificiose prive di effettività economica volte a conseguire indebiti vantaggi fiscali;
- né da ragioni connesse alla ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, posto che, dal momento in cui l’Italia ha deciso di non assoggettare a tassazione i dividendi di fonte nazionale percepiti da organismi italiani vigilati, non è possibile invocare tale motivazione per giustificare l’imposizione dei medesimi dividendi ove percepiti da organismi esteri.
[1] Cfr. C-303/07, Aberdeen Property,C-338/11 – C-347/11, Santander, C-190/12, DFA e C-480/16, Fidelity Funds.
[2] A quanto ci consta tale discriminazione a danno degli organismi esteri è stata portata all’attenzione della Commissione Europea la quale ha avviato un’attività investigativa presso le autorità fiscali italiane diretta a verificare la disponibilità delle stesse a conformare la disciplina italiana ai principi comunitari. (cfr. EU PILOT 8105/15/TAXU).
[3] Cfr. art. 73, commi 1, lett. c), 3 e 5-quinquies, del T.U.I.R..
[4] Fatte salve talune (poco significative) eccezioni, cfr. Risoluzione n. 43/E del 2 luglio 2013.
[5] Cfr. art. 3, comma 1, del D.L. n.24 aprile 2014, n. 66.
[6] Cfr. Cfr. Circolare n. 33/E del 15 luglio 2011, par. 2.2.1 e 2.2.2, Circolare n. 11/E del 28 marzo 2012, par. 8.1 e 8.2 e Circolare n. 19/E del 27 giugno 2014, par. 3.1.1.
[7] Cfr., artt. 23, 73, comma 1, lett. d), 75, comma 1, e 153 del T.U.I.R..
[8] Cfr. Circolare n. 26/E dell’16 giugno 2004, par. 4.5, e Circolare n. 26/E del 21 maggio 2009, premessa.
[9] Inoltre, in ossequio ai principi sanciti nella sentenza DFA, la possibilità di invocare una discriminazione rispetto agli organismiistituiti in Italia dovrebbe essere limitata agli organismiesteri localizzati in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni con l’Italia. E ciò in quanto, l’autorità fiscale italiana potrebbe avere necessità di ricorrere alla cooperazione con l’amministrazione fiscale dell’altro Stato al fine di verificare che l’organismo non residentepossieda le caratteristiche tipiche degli organismi italianie che possa pertanto essere equiparato ad un organismo istituito inItalia e che l’organismostesso (o il soggetto incaricato della suagestione) sia assoggettato a forme di vigilanza prudenziale.
[10] Cfr. art. 26-quinquies, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973.