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L’attuazione della Direttiva SHRD II e la remunerazione dei manager nelle società quotate

24 Maggio 2019

Alberto Manfroi e Anna Travanini, Studio Legale Associato Atrigna & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Nell’ambito dello studio di corporate governance delle società quotate particolare rilievo assume la remunerazione dei manager– da identificarsi con gli amministratori, i direttori generali e i dirigenti apicali – in quanto permette di individuare il corretto equilibrio tra gli interessi dei manager, i quali aspirano a retribuzioni più elevate e alla conservazione del proprio posto di lavoro, e gli interessi degli azionisti, che tendono, invece, al miglioramento della performance della società.

A tal riguardo, la Direttiva 2007/36/CE (c.d. “SHRD I”) si poneva l’obiettivo di definire i requisiti relativi all’esercizio dei diritti degli azionisti; era, tuttavia, risultato evidente come gli azionisti assumessero rischi eccessivi a breve termine da parte dei dirigenti.

In tale contesto è intervenuta, quindi, la direttiva 2017/828/CE (c.d. “SHRD II” o “Direttiva”), con lo scopo di migliorare la governance delle società quotate e di rafforzarne la competitività e la sostenibilità a lungo termine, accrescendo la trasparenza degli assetti proprietari e incoraggiando la partecipazione attiva dei loro azionisti[1].

In seguito all’emanazione della Direttiva, all’interno dell’ordinamento nazionale si è aperta una fase di consultazione sul Decreto Legislativo di recepimento[2] (di seguito “Decreto”) all’esito della quale, in data 7.2.2019, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri in via preliminare il testo che dovrà essere emanato in via definitiva entro il 10.6.2019.

In tale contesto, lo studio della politica di remunerazione dei manager risulta, quindi, essere di particolare importanza in quanto gli amministratori contribuiscono a realizzare il successo nel lungo periodo della società di cui fanno parte; è chiaro, infatti, come la loro remunerazionesia uno degli strumenti a disposizione della società affinché quest’ultima possa allineare i suoi interessi a quelli degli amministratori stessi.

Attualmente, la disciplina interna in materia di remunerazione dei manager prevede – ai sensi dell’art. 2389 c.c. – che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo siano stabiliti dagli azionisti all’atto della nomina o dall’assemblea; per gli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto, la remunerazione è fissata dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.

Lo statuto della società può assegnare all’assemblea la facoltà di determinare l’importo complessivo delle retribuzioni degli amministratori, compresi quelli investiti di particolari cariche (come amministratori delegati e presidente del consiglio).

I compensi dei manager apicali diversi dagli amministratori (quale, ad esempio, il direttore generale) sono, invece, di regola determinati dal consiglio di amministrazione.

Per quanto riguarda le società quotate, vi sono regole più stringenti in tema di trasparenza nonché di approvazione dei piani di compenso basati su strumenti finanziari e delle retribuzioni ai soggetti apicali in generale; a tal riguardo, l’art. 123 ter del TUF dispone che le società quotate debbano redigere e diffondere al pubblico una relazione sulla remunerazione che, oltre ad illustrare la politica futura della società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche e le procedure utilizzate per l’adozione e l’attuazione di tale politica, riporti altresì i dati sui compensi corrisposti, specificando le varie voci degli stessi, in forma nominativa per i componenti degli organi di amministrazione e di controllo nonché per i direttori generali e in forma aggregata per i dirigenti con responsabilità strategiche.

Il consiglio di amministrazione della società costituisce al proprio interno un comitato per la remunerazione e, su proposta del comitato, definisce la politica di remunerazione, la quale è costituita da una componente fissa, che remunera la prestazione, e da una variabile (per la quale sono previsti dei limiti massimi), che è legata al raggiungimento di obiettivi di performance[3].

È chiaro, quindi, come gli esecutivi (consiglieri esecutivi e dirigenti con responsabilità strategiche) debbano ricevere una retribuzione commisurata all’obiettivo di creare valore per gli azionisti, mentre ai non esecutivi spetta una retribuzione commisurata all’impegno richiesto.

In tale contesto si è inserita la SHRD II, la quale, con lo scopo di incoraggiare l’impegno a lungo termine degli azionisti e di aumentare la trasparenza della società e degli investitori, disciplina il “Diritto di voto sulla politica di remunerazione” e la “Relazione sulla remunerazione”, rispettivamente agli articoli 9 bis e 9 ter.

Per quanto riguarda il Decreto, l’art. 3 interviene proprio in materia di remunerazione degli amministratori e reca modifiche alla Parte IV Titolo III Capo II del TUF; in particolare, l’art. 3 introduce all’art. 123 ter del TUF i commi 3 bis, 3 ter, 8 bis e 8 ter[4].

In merito alla politica di remunerazione, l’art. 9 bis della Direttiva prevede che essa debba contribuire alla strategia aziendale, agli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società e illustrare il modo in cui fornisce tale contributo; essa deve essere chiara e comprensibile e descrivere le diverse componenti della remunerazione fissa e variabile, compresi tutti i bonus e altri benefici in qualsiasi forma che possono essere riconosciuti agli amministratori e ne deve indicare la proporzione relativa.

Inoltre, la politica di remunerazione deve spiegare come è stato tenuto conto del compenso e delle condizioni di lavoro dei dipendenti della società nella determinazione della politica di remunerazione.

In caso di remunerazione variabile, la politica di remunerazione stabilisce criteri chiari, esaustivi e differenziati per il riconoscimento della stessa; essa deve indicare i criteri da utilizzare basati sui risultati finanziari e non finanziari, tenendo conto, se del caso, dei criteri relativi alla responsabilità sociale d’impresa e spiegare in quale modo essi contribuiscano agli obiettivi prefissati; deve precisare, inoltre, le informazioni su eventuali periodi di differimento e sulla possibilità per la società di richiedere la restituzione della remunerazione variabile.

In caso di remunerazione basata su azioni, la politica deve precisare, altresì, i periodi di maturazione e il mantenimento delle azioni dopo l’attribuzione e spiegare anche in questo caso in quale modo la remunerazione basata su azioni contribuisca agli obiettivi prefissati.

La politica di remunerazione deve, inoltre, riportare la durata dei contratti o degli accordi con gli amministratori e il periodo di preavviso applicabile, le principali caratteristiche della pensione integrativa o dei regimi di pensionamento anticipato nonché le condizioni di cessazione e i pagamenti connessi alla cessazione.

Essa è tenuta a spiegare il processo decisionale adottato per la sua definizione, revisione e attuazione, comprese le misure volte a evitare o a gestire i conflitti d’interesse e, se del caso, il ruolo del comitato per la remunerazione o di altri comitati interessati.

L’eventuale revisione della politica descrive e illustra tutte le modifiche significative e le modalità con cui tiene conto dei voti e delle valutazioni degli azionisti sulla politica e sulle relazioni a partire dall’ultima votazione sulla politica di remunerazione nell’assemblea generale degli azionisti.

Dunque, la Direttiva impone agli Stati membri di assicurare che le società elaborino una politica di remunerazione degli amministratori e che gli azionisti abbiano diritto di voto su tale politica nell’assemblea generale; tale voto potrà avere natura vincolante o consultiva in base alla disciplina nazionale di recepimento; inoltre, gli Stati membri possono consentire alle società, in circostanze eccezionali, di derogare temporaneamente alla politica di remunerazione, purché quest’ultima preveda le condizioni procedurali in base alle quali la deroga può essere applicata e specifichi gli elementi della politica a cui si può derogare.

Gli Stati membri devono, altresì, assicurare che le società sottopongano la politica di remunerazione al voto dell’assemblea generale ogni volta che alla stessa venga apportata una modifica rilevante e, in ogni caso, almeno ogni quattro anni.

Orbene, la portata innovativa della Direttiva riguarda soprattutto la c.d. “Say on pay”; gli azionisti, cioè, esprimono un proprio parere sulla remunerazione due volte: un primo voto sulla politica di remunerazione che riguarda il quadro generale di remunerazione degli amministratori (di natura consultiva o vincolante a seconda della scelta di ciascun Stato membro) e un secondo voto sulla relazione sulla remunerazione concessa nell’esercizio finanziario precedente (di natura consultiva).

Deve osservarsi, a tal proposito, che nel Decreto è stata modificata la natura del voto dei soci sulla politica di remunerazione, prevedendo che tale voto abbia natura vincolante e allineando la disciplina prevista per la generalità delle società quotate a quella di banche e assicurazioni.

La periodicità del voto sulla politica di remunerazione (che il vigente art. 123 ter TUF prevede su base annua) è stata estesa a tre anni; inoltre, il voto dei soci è richiesto per ogni modifica della politica stessa (non più soltanto per le modifiche rilevanti)[5].

In attuazione della Direttiva, è stato inoltre introdotto l’obbligo per le società di sottoporre al voto ex post dei soci anche la seconda sezione della relazione sulla remunerazione (relativa all’illustrazione dei compensi corrisposti).

In proposito giova, altresì, evidenziare che il Decreto è stato oggetto di alcune critiche: Assonime, in particolare, ha osservato che alcune disposizioni presenti nell’ordinamento italiano (ma non in quello europeo) sono state mantenute nello schema del predetto Decreto, nonostante il divieto di gold plating che da tempo informa la strategia di recepimento della normativa europea.

Ci si riferisce, ad esempio, all’obbligo di sottoposizione della politica di remunerazione al voto dei soci in occasione di ogni modifica (e non solo di quelle rilevanti) e all’obbligo di informazione sui compensi ricevuti da soggetti collegati (esclusi dalla SHRD II in virtù del richiamo alla nozione di gruppo di cui alla Direttiva 2013/34/UE)[6].

Dopo la votazione dell’assemblea generale sulla politica di remunerazione, la Direttiva dispone che tale politica debba essere pubblicata, congiuntamente alla data e ai risultati del voto, senza indugio sul sito web della società e debba rimanere accessibile gratuitamente al pubblico almeno per tutto il periodo di applicabilità; tale comunicazione mira a garantire una maggiore trasparenza della società e una maggiore responsabilità degli amministratori nonché una migliore sorveglianza degli azionisti sulla remunerazione degli amministratori, creandosi in tal modo un presupposto necessario per l’esercizio dei diritti degli azionisti e il loro impegno per quanto riguarda la remunerazione.

La comunicazione di tali informazioni agli azionisti è necessaria per consentire loro di valutare la remunerazione degli amministratori ed esprimere il loro parere in merito alle modalità e al livello del compenso degli amministratori nonché in merito alla correlazione tra il compenso e i risultati di ogni singolo amministratore, al fine di porre rimedio a potenziali situazioni in cui l’importo della remunerazione di un amministratore non sia giustificato sulla base dei risultati conseguiti individualmente e dalla società.

Infatti, al fine di accrescere la trasparenza della società e la responsabilità degli amministratori e di consentire agli azionisti, ai potenziali investitori e ai portatori di interesse di ottenere un quadro completo e affidabile della remunerazione di ciascun amministratore, è particolarmente importante che ogni componente e l’importo totale della remunerazione siano comunicati.

In particolare, al fine di impedire l’elusione dei requisiti previsti dalla Direttiva da parte della società, di evitare eventuali conflitti di interessi e di assicurare la fedeltà degli amministratori alla società, è necessario prevedere la comunicazione e la pubblicazione della remunerazione riconosciuta o dovuta ai singoli amministratori da parte non solo della società, ma anche di altre imprese appartenenti allo stesso gruppo.

Per quanto riguarda, invece, la relazione sulla remunerazione, l’art. 9 ter della Direttiva prevede che gli Stati membri siano tenuti ad assicurare che la società rediga una relazione sulla remunerazione, chiara e comprensibile, che fornisca un quadro completo della remunerazione, compresi tutti i benefici in qualsiasi forma, riconosciuta o dovuta nel corso dell’ultimo esercizio ai singoli amministratori, inclusi gli amministratori recentemente assunti e gli ex amministratori, conformemente alla politica di remunerazione di cui all’articolo 9 bis.

L’assemblea generale ha il diritto di esprimere un voto di natura consultiva sulla relazione sulla remunerazione dell’ultimo esercizio interessato e la società deve spiegare, nella relazione successiva, come abbia tenuto conto del voto dell’assemblea generale.

Tuttavia, per le piccole e medie imprese – come definite, rispettivamente, all’articolo 3, paragrafi 2 e 3, della Direttiva 2013/34/UE – gli Stati membri, in alternativa al voto, possono prevedere che la relazione sulla remunerazione dell’ultimo esercizio interessato sia sottoposta a discussione in occasione dell’assemblea generale annuale come punto separato all’ordine del giorno; in questo caso, la società è tenuta a spiegare nella successiva relazione sulla remunerazione come abbia tenuto conto della discussione nell’assemblea generale.

Come la politica di remunerazione, anche la relazione sulla remunerazione deve essere pubblicata per consentire, non solo agli azionisti, ma anche ai potenziali investitori e portatori di interesse di valutare la remunerazione degli amministratori, in che misura essa sia correlata ai risultati conseguiti dalla società e in che modo la società attui in pratica la propria politica di remunerazione.

Infatti, in seguito all’assemblea generale le società devono mettere a disposizione del pubblico la relazione sulla remunerazione sul loro sito web, gratuitamente, per un periodo di 10 anni.

Il revisore legale o l’impresa di revisione contabile verificano che siano state fornite le informazioni richieste dalla Direttiva.

Il contenuto di entrambe le sezioni della relazione sulla remunerazione (ora definita “Relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi corrisposti”) è affidato alla regolamentazione secondaria adottata da Consob, Banca d’Italia e Ivass per i soggetti da questi vigilati (art. 23 ter commi 7 e 8 TUF).

In un’ottica di maggiore trasparenza, il Decreto ha optato per la scelta di mantenere l’obbligo di rappresentare i compensi corrisposti non solo dalla quotata e dalle società del relativo gruppo, ma altresì dalle società collegate (così come previsto dalla Direttiva).

Infine, in attuazione della Direttiva, è stato introdotto il comma 8 bis all’art. 123 ter TUF, il quale attribuisce al revisore legale o alle società di revisione legale il compito di verificare l’avvenuta predisposizione della relazione sui compensi corrisposti; ciò al fine di porsi in linea con la ratio della Direttiva che configura in capo a tali soggetti un compito di mera verifica della pubblicazione di informazioni senza esprimere un giudizio sulle stesse né di coerenza con il bilancio né di conformità alle norme.

Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, l’art. 3 del Decreto modifica l’art. 192 bis del TUF, prevedendo che, salvo che il fatto costituisca reato, per le violazioni delle disposizioni previste dall’articolo 123 ter e delle relative disposizioni attuative è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 150.000 (euro 10.000.000 nel testo in consultazione).

La medesima sanzione è applicabile nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, se la loro condotta ha contribuito a determinare la condotta illecita. In alternativa si devono applicare le sanzioni previste dal comma 1, lettere a) e b) dell’art. 192 bis, ossia la dichiarazione pubblica e l’ordine di eliminazione delle infrazioni contestate.

Al soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio che ometta di verificare l’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della seconda sezione della relazione sulla remunerazione si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 100.000.

Assonime ha sollevato alcune critiche in merito all’impianto sanzionatorio delineato nel Decreto, sostenendo che le sanzioni amministrative pecuniarie avrebbero dovuto essere ristrette ai casi più gravi di omissione. Si osservi che, rispetto al documento di consultazione, il Decreto riduce sostanzialmente il massimo edittale della sanzione amministrativa pecuniaria[7].

Inoltre, l’art. 6 del Decreto modifica il Codice delle Assicurazioni Private, prevedendo che il sistema di governo societario dell’impresa assicurativa ricomprenda anche i sistemi di remunerazione e di incentivazione.

All’IVASS sono attribuiti poteri di intervento e poteri regolamentari sulla corporate governance delle imprese assicurative, simili a quelli già previsti per Banca d’Italia nei confronti delle banche (cfr. artt. 53 e 53-bis TUB) e, d’intesa con la Consob, nei confronti di SIM, SGR, SICAV, SICAF (art. 6, comma 1, lett. c bis TUF).

Infine, il Decreto prevede il ricorso alla disciplina secondaria della Consob e della Banca d’Italia in conformità con le rispettive competenze e fa salve, ove necessario, le regole speciali previste per gli intermediari operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo.

La Direttiva è intervenuta in materia di remunerazione dei manager con il preciso obiettivo di migliorare la governance delle società quotate e di rafforzarne la competitività e la sostenibilità nel lungo periodo, rafforzando la tutela dei diritti degli azionisti e, al contempo, accrescendo la partecipazione attiva di questi ultimi: il maggior impegno richiesto a essi viene controbilanciato assegnando loro un ruolo più ampio nella politica di remunerazione dei manager della società di cui fanno parte attraverso la c.d. Say on pay, che consente loro un ruolo attivo attraverso la doppia votazione, dapprima sulla politica di remunerazione e successivamente sulla relazione sulla remunerazione.

Infine, la Direttiva prevede “un’armonizzazione minima”, poiché in vari punti consente la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere deroghe o requisiti più stringenti, in considerazione delle specificità del diritto societario nelle diverse giurisdizioni dell’Unione Europea.

L’ordinamento italiano, attraverso il Decreto approvato per ora in via preliminare, recepisce le novità introdotte dal legislatore europeo prevedendo il doppio voto (rispettivamente di natura vincolante e consultiva) sulla politica di remunerazione e sulla relazione sulla remunerazione e lasciando intatta la struttura della relazione sulla remunerazione nelle due sezioni supra citate come già previsto dall’art. 123 ter TUF.

In definitiva, tale Decreto si pone l’obiettivo di favorire l’impegno a lungo termine dei soci di società per azioni quotate, potenziando le regole di governance societaria con nuovi strumenti a garanzia della trasparenza delle informazioni tra i vertici societari e i soci azionisti.

 


[1] In particolare, secondo la direttiva 2017/828/CE, il maggiore impegno richiesto agli azionisti viene controbilanciato assegnando loro un ruolo più ampio ed incisivo nella definizione delle politiche di remunerazione del management (c.d. “Say on pay”), al fine di scoraggiare scelte gestionali orientate al breve termine e di favorire obiettivi di creazione di valore nel lungo periodo.

[2] Fase di consultazione chiusa in data 18.12.2018.

[3] A tal riguardo,la singola società può anche prevedere intese contrattuali per la restituzione o il trattenimento del compenso variabile (c.d. “clausole di claw-back”).

[4] Con riferimento alla prima sezione della relazione (politica di remunerazione) la regolamentazione secondaria dovrà conformarsi a quanto stabilito dall’art. 9 bis della Direttiva; mentre per quanto riguarda la seconda sezione (sui compensi corrisposti nell’esercizio precedente), bisognerà adeguarsi a quanto previsto dall’art. 9 ter della Direttiva, garantendo al contempo il mantenimento dei più elevati standard di trasparenza sui compensi corrisposti già previsti nell’ordinamento italiano ai sensi della normativa del TUF e della regolamentazione secondaria della Consob (art. 84 quater del Regolamento 11971/1999).

[5] Ciò è coerente con il quadro di maggior flessibilità complessivamente delineato dalla Direttiva e con l’esigenza di limitare il rischio di variazioni della politica in assenza del coinvolgimento dei soci.

[6] Cfr. osservazioni di Assonime e Confindustria alla consultazione del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro, sullo schema di decreto legislativo per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/828 che modifica la Direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti.

[7] Cfr. osservazioni di Assonime e Confindustria alla consultazione del Ministero dell’economia e delle finanze sopra citate.

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