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Nuove modalità di finanziamento: la blockchain per startup e piccole e medie imprese. Rischi e possibili vantaggi.

14 Maggio 2019

Enea Franza, Consob

Di cosa si parla in questo articolo

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non riguardano la Consob, commissione per cui l’autore lavora

 

1. Le forme di finanziamento delle imprese

Come noto le principali tipologie di finanziamento delle imprese possono riassumersi nei prestiti proposti dalle banche ed altri intermediari finanziari autorizzati a ricevere depositi, in finanziamenti tramite emissione di obbligazioni ed in finanziamenti tramite capitale. In particolare, le banche e le non banche, tendenzialmente, preferiscono prestare denaro ad aziende consolidate, con flussi di cassa storici stabili e positivi, soprattutto se sono in grado di fornire garanzie collaterali o garanzie personali.

Tanto per intendersi, tali caratteristiche sono generalmente assenti nelle start up, ovvero, in quelle aziende che, se inizialmente erano essenzialmente individuate in quelle che svolgevano un’attività di nuova istituzione con un prodotto molto tecnologico ed all’avanguardia nel settore informatico, ora con il passare del tempo, hanno perso la loro connotazione settoriale ed includono diversi settori economici. In definitiva le start up e si caratterizzano per la particolarità che vede in tali imprese una nuova azienda con un business model ed un potenziale tale da poter espandersi velocemente[1]. Dunque, lo stato di start up è per definizione passeggero, una fase di test per trovare gli elementi della strategia vincente per conquistare il mercato ed espandersi in larga scala.

Ciò premesso, le caratteristiche di una start up sono chiaramente la temporaneità, poiché lo stato di start up è iniziale e di passaggio, il metodo del trial and error, ovvero di sperimentazione del modello di business e la strategia ottimale, ed infine il modello di business che deve essere scalabile e ripetibile ovvero deve permettere una crescita a larga scala. Per tale verso quindi le start up solitamente presentano un tasso di rischio molto alto perché tante sono le variabili che incidono sul business e diversi gli scenari che possono presentarsi. Tali imprese si caratterizzano, poi, per un basso il tasso di sopravvivenza; dall’altro lato, possono portare ad un livello di guadagni estremamente alto nel caso in cui abbiano successo.

L’analisi dei documenti preventivi, in assenza di documenti storici, si dimostra essenziale per l’approvvigionamento delle risorse. In particolare la valutazione: delle immobilizzazioni (impianti, attrezzature, software, ecc.) richieste in fase di avvio e il capitale circolante necessario per sostenere i costi di gestione iniziali; del denaro che serve per avviare l’attività (fabbisogno finanziario); di se il capitale proprio è sufficiente, ovvero, di se è necessario ricorrere anche a capitali di terzi (banche, finanziarie, ecc.). Centrale appare la determinazione dei ricavi della futura attività, procedendo alla previsione delle vendite[2].

Infine, la redazione del preventivo economico, ovvero, di un prospetto che serve a determinare la convenienza del progetto imprenditoriale; infatti, attraverso l’individuazione dei costi e dei ricavi si determina l’utile della futura attività[3].

Viceversa, le piccole e medie imprese o PMI[4] sono aziende le cui dimensioni rientrano entro certi limiti occupazionali e finanziari prefissati.

Esse sono solitamente caratterizzate da una gestione di tipo familiare, dove il socio fondatore è anche il possessore della maggioranza delle quote della società, nonché responsabile amministrativo, affiancato da altri componenti del nucleo familiare, solitamente collocati nei ruoli cardine dell’organigramma aziendale senza avere di norma un background ed una formazione all’altezza del ruolo assegnatogli. Inoltre, per tali aziende è generalmente assente un CFO (Chief Financial Officier) capace di orientare l’azienda nella scelta degli adeguati strumenti finanziari da adottare e nello scegliere il migliore rapporto di indebitamento, visto che ogni impresa, in base alle proprie caratteristiche ed al mercato nel quale opera dovrà adottare una struttura finanziaria diversa, tale da sfruttare al massimo la leva finanziaria.

Rispetto alle start up, le PMI producono con regolarità documenti contabili. I dati quantitativi sono quelli solitamente più utilizzati da parte degli istituti di credito in quanto sono ricavabili dai bilanci delle imprese, anche se c’è un’enorme differenza se l’impresa è obbligata a redigere il bilancio in forma standard o in forma abbreviata; nel secondo caso l’assenza di molte voci dello Stato Patrimoniale limitano evidentemente il contenuto informativo. Dai dati presenti nel bilancio si possono comunque ricavare molti indici utili alla banca e alle non banche per capire lo stato di salute dell’azienda degli ultimi due anni. Di solito, le PMI dispongono anche di rapporti pluriennale dai quali è possibile svolgere degli studi temporali circa l’andamento, lo stato di salute e quindi l’affidabilità del soggetto analizzato.

Tutto ciò premesso, tuttavia, circa i prezzi e le condizioni dei finanziamenti tramite prestito erogati dalle banche si può osservare che la realtà fattuale evidenza la presenza di notevoli differenze, a seconda del loro modello aziendale e della loro fonte di finanziamento. La determinazione dei prezzi dipende, ancora, oltre che dal livello generale dei tassi d’interesse, dalla tipologia di attività da finanziare, dal settore in cui opera il prestatario, dalla natura di qualsivoglia garanzia, dal tipo di strumento finanziario, dalla struttura giuridica dell’azienda e dalla sua capitalizzazione azionaria. In linea generale, un finanziatore cercherà segnali che comprovino un track-record di successo in termini commerciali, una gestione finanziaria solida e buone possibilità di continuo successo.

Nel caso delle società consolidate, il motivo più comune per cui un finanziatore normalmente respinge una richiesta di prestito è il timore in merito alla capacità dell’azienda di far fronte ai rimborsi. Un altro motivo potrebbe essere la mancanza di entrate sufficienti o stabili.

Per altro verso, anche proprio per tale motivo, va rilevato che alcuni finanziatori evitano per scelta tutte le aziende in fase di start-up, mentre altri potrebbero erogare prestiti a una start-up in presenza di garanzie collaterali o di capitale sufficiente a supporto del prestito. Esistono finanziatori disposti a erogare prestiti alle start-up senza alcuno storico operativo; tuttavia, molti dei finanziatori principali, in circostanze normali, non concedono prestiti alle aziende operative da meno di due anni, in considerazione dei rischi posti da questo tipo di attività “giovani”. Tuttavia, i finanziatori spesso intrattengono rapporti con provider di prestiti alle start-up e reti di angel investor. Questi fungono da punto di contatto principale per offrire consulenze in merito alle opzioni di finanziamento disponibili e possono indirizzare le società più giovani verso queste alternative.

Peraltro, come anticipato più sopra, sono da qualche tempo sempre più presenti sul mercato del credito italiano anche cosiddette “non banche” (fondi per prestiti, piattaforme di crowdfunding, società di leasing, provider di anticipi su fatture, organizzazioni di community financing e grosse aziende) che forniscono prestiti alle imprese, secondo varie forme e modalità.

I prestiti da parte di queste entità non bancarie possono comportare un costo maggiore per il debitore rispetto ai prestiti bancari, a seconda delle fonti e dei costi di finanziamento della “non banca” e della relazione tra debitore e finanziatore. Le non banche possono essere tenute o non tenute a detenere capitali a fronte di un prestito. Tali operatori risultano generalmente più disponibili a finanziare anche imprese giovani ed, in generale, start up.

Anche i finanziatori bancari e non bancari spesso utilizzano ratings forniti dalle società di raccolta di dati creditizi per valutare le richieste di finanziamento, per cui le aziende a cui sono già stati rifiutati prestiti in passato hanno una maggiore probabilità di vedersi rifiutato una nuova richiesta, e dunque debbono valutare con estrema attenzione ogni richiesta in tal senso, in quanto eventuali nuovi rifiuti potrebbero danneggiare il loro punteggio creditizio. Molti finanziatori utilizzano criteri creditizi simili tra i diversi settori, mentre altri adottano criteri specifici a seconda dei settori in cui operano le aziende.

I finanziamenti mediante emissione di obbligazioni nelle due forme di obbligazioni convertibili, ovvero di titoli che attribuiscono la facoltà di chiedere la loro trasformazione in azioni in base ad un prefissato “rapporto di conversione” e non convertibili con riferimento alla tipica operazione di finanziamento a m/l termine che si conclude con il rimborso graduale del valore nominale delle obbligazioni sottoscritte, stanno oggi diventando sempre più accessibili alle PMI più grandi.

L’emissione di strumenti finanziari di raccolta è consentita per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato, che non corrisponde necessariamente a quello di esercizio, ben potendo emergere la consistenza del capitale da un bilancio straordinario ad hoc, redatto ed approvato dagli organi sociali ed aggiornato ad epoca immediatamente anteriore alla deliberazione del prestito obbligazionario[5]. Per inciso, la sottoscrizione delle obbligazioni può essere rivolta ad un pubblico indistinto, nel qual caso occorre eventualmente predisporre un prospetto informativo, ovvero, spettare a soggetti individuati, sulla base di trattative personalizzate tra l’emittente e tali soggetti[6].

L’emissione di tali prodotti finanziari è, peraltro, soggetta a vigilanza delle competenti autorità del mercato finanziario, Banca d’Italia e, nei casi d’offerta pubblica, la Consob; la Banca d’Italia, infatti, compete l’attribuzione del codice ISIN ed il conseguente accreditamento e può richiedere, a chi emette od offre strumenti finanziari, segnalazioni periodiche, dati e informazioni a carattere consuntivo riguardanti gli strumenti finanziari emessi od offerti in Italia, ovvero all’estero da soggetti italiani, al fine di acquisire elementi conoscitivi sull’evoluzione dei prodotti e dei mercati finanziari ex art. 129 TUB. Peraltro, se ne ricorrono le condizioni, alla Consob spetta l’autorizzazione alla pubblicazione del prospetto informativo.

Ad aprire il mercato del finanziamento attraverso l’emissione di bond alle PMI non quotate italiane, quasi tutte sottocapitalizzate, ha senz’altro contribuito la riforma attuata col “Decreto Sviluppo” che ha modificato il comma 4 dell’art. 2412 del Codice Civile, il quale oggi prevede che il limite di cui sopra non si applica all’emissione di obbligazioni da parte di società di capitali (non necessariamente quotate) purché tali obbligazioni siano quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione o diano il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni (obbligazioni convertibili).

In tale prospettiva Borsa Italiana ha istituito, altresì, la piattaforma denominata Extra Mot Pro dedicata alla quotazione e allo scambio di obbligazioni denominati “minibond” (in generale si tratta di emissioni di importo inferiore ai 10 milioni di euro), ed ha previsto un regolamento di quotazione molto snello prevedendo, ad esempio, l’esenzione dall’obbligo di pubblicazione di un prospetto di quotazione ai sensi della “Direttiva Prospetti”[7].

Dunque, ad oggi, le PMI non quotate (S.p.A., S.r.l. e Società Cooperative) possono finanziarsi mediante l’emissione di “minibond “di mercato”, cioè requisiti che l’impresa emittente deve possedere affinché sia appetibile per il potenziale investitore [8]. La sottoscrizione di queste obbligazioni è generalmente riservata ad investitori istituzionali professionali ed altri soggetti qualificati; si tratta, pertanto, di un fondo alternativo che viene riservato alla clientela istituzionale come, fondazioni bancarie e casse di previdenza[9].

La provvista finanziaria acquisita a seguito di sottoscrizione può essere investita in attività di ricerca e sviluppo ed in tale caso è previsto un accesso ad un credito di imposta del 50% dell’importo destinato a tale attività in presenza dei requisiti richiesti dalla legge tramite accordi con start-up innovative o università, in tutti gli altri casi, detto credito si riduce al 25%. Inoltre, nel caso di PMI innovative, la convenienza ad emettere bond convertibili in azioni, entro i 7 anni dall’iscrizione nella relativa sezione speciale del Registro delle Imprese, risiede nella deducibilità ai fini IRES/IRPEF in capo al sottoscrittore.

Il capitale azionario, invece, può essere la forma di finanziamento più adatta per le start-up o le aziende esistenti con importanti piani di espansione. Alcune banche erogano prestiti alle start-up e alle aziende con flussi di cassa incerti o negativi; tuttavia, gli investitori di capitale – quali familiari e amici, angel investor, mercati P2P (peer-to-peer), crowdfunding, fondi di capitale di rischio e di private equity – sono spesso più adatti alle aziende che si trovano a questo stadio del loro sviluppo. Peraltro, vi sono molti programmi paneuropei e sponsorizzati dai governi concepiti appositamente per aiutare le start-up e le aziende consolidate che necessitano di finanziamenti.

In particolare, l’equity crowdfunding rappresenta un importante strumento di finanziamento per le piccole e medie imprese, e come le analisi finora elaborate evidenziano come esso sia generalmente utilizzato per supportare il lancio di nuove iniziative imprenditoriali[10]. Ancorché, negli ultimi anni, anche in Italia gli importi movimentati stiano raggiungendo livelli sempre più significativi, non mancano gli analisti che osservano come permangano comunque incertezze operative legate soprattutto alla scarsa conoscenza dello strumento, alle implicazioni operative, alle difficoltà anche culturali delle imprese di aprire il proprio capitale di rischio, alla gestione delle dinamiche di corporate-governance successive alla raccolta di equity proveniente da una moltitudine di soggetti.

Per inciso, ricordiamo che per crowdfundingsi indica il processo con cui più persone (“folla” o “crowd”) conferiscono somme di denaro (“funding”), anche di modesta entità, per finanziare un progetto imprenditoriale o iniziative di diverso genere utilizzando siti internet (“piattaforme” o “portali”) e ricevendo talvolta in cambio una ricompensa. Il crowdfunding è definito “equity-based” quando tramite l’investimento on-line si acquista un vero e proprio titolo di partecipazione in una società: in tal caso, in cambio del finanziamento si riceve un complesso di diritti patrimoniali e amministrativi che derivano dalla partecipazione nell’impresa.

L’equity crowdfunding, presenta molte analogie con un’offerta pubblica iniziale o IPO (dall’inglese Initial Public Offering): di conseguenza, sarebbe giusto valutarlo come un primo approccio ai mercati finanziari che, nel tempo, favorisca la crescita di numerose nuove imprese il cui sbocco naturale potrà anche essere, dapprima, l’ammissione alla quotazione su mercati minori (dedicati ad esempio alle piccole e medie imprese, quali l’AIM Italia), e successivamente il listing su piattaforme di negoziazione più evolute come i mercati regolamentati (ad es. l’MTA di Borsa Italiana).

Il finanziamento tramite capitale azionario diminuisce il grado di proprietà dell’azienda. Ma sul punto va rilevato che gli investitori azionari hanno approcci molto diversi alla partecipazione azionaria. In genere, i partecipanti ai programmi di crowdfunding, ad esempio, sono generalmente interessati esclusivamente al rendimento degli investimenti, e non al controllo della gestione, mentre gli investitori di capitale di rischio e di private equity, al contrario, spesso insistono per ottenere una qualche forma di controllo aziendale ma, in cambio, possono apportare preziose competenze nonché utili contatti che possono essere utili per contribuire alla crescita della attività iniziale, in un contesto capace spesso di superare le logiche familistiche delle PMI. Per le società sufficientemente grandi, un’offerta pubblica iniziale (IPO), oppure, un collocamento azionario privato possono rappresentare un mezzo per raccogliere capitale e contanti da utilizzare nelle attività di sviluppo ed acquisizione di impianti, macchinari, ovvero, aziende concorrenti.

2. Le Initial Coin Offering (o ICO’s )

Le Initial Coin Offering (meglio conosciute come ICO) sono oramai ampiamente diffuse nel mondo delle criptovalute e della Blockchain, tanto che si si stima che, con tale strumento, nel solo anno 2017 siano stati raccolti circa 1,25 miliardi di dollari; ora, anche se i dati 2018 mostrano un forte restringimento di tali operazioni[11], tuttavia, non è possibile non tenere conto che tale strumento si sta consolidando come una valida possibile alternativa alla raccolta di mezzi freschi in particolare per le categorie d’imprese di cui al presente lavoro. Infatti, come forma di finanziamento, essa è stata utilizzata in particolare da soggetti che intendono realizzare un determinato progetto, piccole e medie imprese e le start up. Essa, poi, si è dimostrata essere uno dei metodi più veloci presenti nel panorama finanziario; in effetti, non necessita la presentazione di nessun documento per dimostrare l’affidabilità dell’azienda e, inoltre, cedendo i token, a ben vedere, non si stanno vendendo quote dell’impresa. Ma questo innesta un problema delicato circa le ipotesi, in vero non rare di flop dell’iniziativa, in quanto, in tal caso a rimetterci sono solamente i finanziatori/investitori.

Pur essendo evidente che ciascuna Initial Coin Offering può avere proprie peculiari caratteristiche tecniche e giuridiche, per meglio analizzare l’operazione, tentiamo una sintesi che ne individui gli aspetti caratterizzanti. D’altra parte, come anche evidenziato dalle autorità di controllo, proprio l’incertezza giuridica e la carenza di informazione riscontrata in alcune ICO determinano un elevato rischio per gli investitori che, ove l’offerta di investimento riguardi contratti assimilabili a strumenti finanziari, si trovano privi delle garanzie che vengono normalmente fornite in caso di acquisto di prodotti sui mercati regolamentati.

Sebbene le modalità concrete di strutturazione dell’operazione siano numerose, lo schema che si è andato a stabilizzare prevede che il soggetto (emittente) che intende finanziarsi attraverso una ICO promuova nei confronti del “pubblico” un progetto imprenditoriale attraverso la pubblicazione e diffusione del c.d. whitepaper[12], avente caratteristiche spesso simili a quelle di un breve prospetto informativo – su un sito internet dedicato. L’emittente, spesso, crea attraverso una piattaforma una nuova criptovaluta (molto spesso ethereum) legata al progetto (token digitali); i token digitali attribuiscono ai possessori diritti economici legati all’andamento nell’iniziativa imprenditoriale (quali dividendi, diritti sugli asset della società emittente etc.). Su questo aspetto, in effetti, verrebbero ad essere replicate per una prevalente parte della dottrina, le caratteristiche tipiche dei “strumenti finanziari” a cui tuttavia si connettono anche diritti di varia natura relativi ad un software o ad una piattaforma o tecnologia che l’emittente intende sviluppare con le risorse raccolte (ad es. diritti di uso etc.).

Peraltro, altro elemento su cui si deve necessariamente riflettere e che, nei casi che si riscontrano, quasi mai il possessore di token – a differenza dei sottoscrittori di una IPO – diventa socio della società o del soggetto emittente. I token digitali sono generalmente offerti in sottoscrizione al pubblico per un periodo determinato di tempo, attraverso una fase di prevendita (c.d. presale), una fase di vendita (c.d. sale) ed eventualmente una possibilità di riacquisto entro un periodo.

Peraltro, per stimolare gli acquisti chi aderisce all’offerta durante la fase di prevendita, ha normalmente un diritto ad acquistare i token sulla base di un rapporto di conversione più favorevole rispetto a quello della fase di vendita. Per aderire all’offerta, i sottoscrittori devono trasferire sul portafoglio di cui alla piattaforma usata dall’emittente la criptovaluta richiesta (ad es. ether o bitcoin) e ricevono contestualmente in cambio i token digitali emessi dall’emittente nella misura prefissata. Di solito l’offerta si chiude al raggiungimento del quantitativo minimo richiesto, e l’emittente potrà utilizzare le risorse finanziarie raccolte per sviluppare il progetto descritto nel whitepaper; nell’ipotesi in cui non viene, invece, raccolto il quantitativo minimo richiesto, l’emittente dovrebbe restituire le risorse raccolte ai sottoscrittori. I rapporti tra l’emittente il sottoscrittore, sono comunque regolati da un c.d. digital token agreement, che viene sottoscritto digitalmente dal sottoscrittore attraverso l’adesione all’offerta sul sito internet dell’emittente. I token digitali, cosi acquistati sul mercato primario attraverso l’adesione all’ICO, possono essere mantenuti a scadenza e convertiti in croptovaluta, scommettendo sostanzialmente sull’incremento di valore degli stessi, ovvero, essere ceduti e negoziati su piattaforme di negoziazione disponibili su internet (cryptocurrency exchange platforms).

3. I token digitali come strumenti finanziari ?

Andando al cuore del problema, l’incertezza connessa alla vendita ed alle negoziazioni di token digitali consiste sostanzialmente nel fatto gli investitori – come sopra specificato – non acquisiscono, in genere, alcun diritto sull’operato dell’emittente né sulla società emittente, ne risulta che, in definitiva, l’attenzione deve essere posta sui diritti che il possesso del token attribuisce. In particolare, i token emessi in occasione di una ICO possono essere astrattamente suddivisi in tre categorie, ovvero, come criptovaluta ed in tal caso il token è a tutti gli effetti una moneta (coin) ossia uno strumento di pagamento generico (p.e. i bitcoin) per l’acquisto di beni e servizi, ed è scambiabile sul mercato con fiat o altre criptovalute in base a un valore estrinseco definito dal mercato, ovvero, assumere le caratteristiche tipiche di uno strumento finanziario (security token); in tal caso il token rappresenta una partecipazione, in termini di dividendi, diritti di voto, tassi di interessi e/o percentuale sugli utili, al successo dell’ente emittente[13]. Infine, possono configurarsi come utility token, dove il token rappresenta solo e soltanto il diritto di acquistare beni e servizi del soggetto emittente escludendo espressamente finalità di natura monetaria, speculativa e partecipativa.

La corretta individuazione della tipologia di token digitali oggetto di emissione della ICO è fondamentale per individuare la normativa applicabile al caso di specie. Se i token “criptovaluta” potrebbero ricadere, infatti, nella normativa bancaria inerente la moneta elettronica (e, soprattutto in fase di pre-vendita, i depositi bancari), i security token, sono meglio riconducibili ai prodotti finanziari (quali azioni, derivati ecc.) per cui le relative ICO sono soggette alla normativa finanziaria e l’emittente dovrà dotarsi eventualmente di un prospetto informativo ed effettuare le previste comunicazioni ai pubblici regolatori (Consob, per il mercato italiano). Infine, con riferimento agli utility token – le cui ICO, sono solitamente chiamate Token Sale proprio per evitare commistioni con i security tokens – in particolare nel caso di pre-vendita, vi potrebbe essere il rischio che i pagamenti possano essere considerati depositi bancari, ovvero, addirittura come securities token; in effetti, in tal caso il soccorso deve essere dato, a nostro modo di vedere, dai contratti che accompagnano l’ICO[14].

Fermo restando l’uso di uno smart contract per disciplinare il deposito della criptovaluta/fiat degli investitori e la consegna dei token, utile appare il cosiddetto “Simple Agreement for Future Tokens” (SAFT[15]) che prende le mosse dal “Simple Agreement for Future Equity” (SAFE[16]), dove deve essere opportunamente evidenziato che il token è un bene digitale e, nel relativo SAFT, che l’operazione si qualifica come effettivamente vendita di cosa futura.

 In effetti in mancanza di tali precisazioni, i diritti commercializzati e scambiati possono, di volta in volta ed a seconda di come si configura il token digitale, essere assimilati alla moneta, o modalità di gestione di depositi bancari, ovvero, alla stregua di azioni (molto raramente), obbligazioni, prodotti derivati, quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o, più in generale, di prodotti o strumenti finanziari ecc. e ciò senza considerare, infine, che l’emissione e la gestione del token criptovaluta e del security token (in misura minore in caso di utility token) sarebbe soggetto alla normativa sull’antiriciclaggio del denaro.

Cosi, l’attività di vigilanza delle Autorità dei mercati finanziari si sono sostanzialmente astenute dal caratterizzare univocamente le ICOs ed i token digitali, rilevando che, a seconda della struttura concreta dell’ICO e dei diritti incorporati nei token, queste ultime possono ricadere in un ampio perimetro della regolamentazione che va dalle offerte al pubblico di strumenti finanziari, della prestazione di servizi e attività di investimento, della gestione collettiva del risparmio, nonchè dell’equity crowdfunding. Tale atteggiamento comunque, a nostro avviso, ha determinato una migrazione delle proposte verso paesi dove l’offerta fosse praticabile con minor costo e tempo e, ha portato le autorità ad una pluralità di decisioni, sulle quali, a tutt’oggi, manca un filo che conduca ad atteggiamento coordinato e coerente[17].

In particolare, in questo susseguirsi di decisioni, si segnalano quella della “Securities and Exchange Commission” americana, per il caso DAO/Slock.it – ex comunicazione n. 81207 del 25 luglio 2017. La vicenda di The DAO va senz’altro segnalata per essere stata uno dei primi eventi – anche di ampia rilevanza mediatica – relativo alla tecnologia Blockchain, ma anche perché il numero dei soggetti coinvolto, anche a seguito della c.d. scissione della Blockchain Ethereum[18].

Il caso è ampiamento noto, e per tale ragione, ci limiteremo a riassumerlo nelle sue linee essenziali. The DAO era una “Decentralized autonomous organization”, ossia un’organizzazione creata su Blockchain Ethereum (tramite una serie di smart contracts correlati) caratterizzata dal fatto di essere senza una sede, senza una personalità giuridica, senza veri e propri amministratori. I creatori di The DAO, per costituirla, hanno precorso un cammino che poi sarà seguito da molti altri soggetti offerenti: hanno creato un sito internet dove circolavano le relative comunicazioni/informazioni; hanno provveduto alla redazione di un whitepaper in cui è stato descritto il programma e all’audit del codice sorgente degli smart contracts utilizzati, nonchè a provvedere ad accordi con alcuni “exchange”, per permettere lo scambio dei token acquisiti. L’offerta di The DAO era mirata a raccogliere capitali (tramite lo scambio di DAO Tokens a fronte di Etherium da investire su progetti che venivano previamente vagliati da un comitato e successivamente posti in votazione ai possessori dei token che potevano esprimere il loro voto (proporzionale al quantitativo di DAO Token posseduti) per determinare a quali progetti sarebbero poi stati erogati i capitali.

Nel caso sopra sommariamente descritto i token venduti rappresentavano, secondo la SEC, delle securities, con la completa applicazione della relativa legge federale e dei principi generali rispetto al diritto degli strumenti finanziari anche ai soggetti che abbiano raccolto risparmio tramite l’uso della distributed ledger technology.

Nel dettaglio, sempre con riferimento al caso di The DAO, la SEC ha evidenziato che benché nell’offerta ad essere oggetto di scambio erano Ether (dunque una criptomoneta, con un valore determinato sul mercato) e i DAO Tokens, quindi che non si trattava di un investimento “monetario”, ma he tuttavia, sebbene effettuato con altra tipologia di contribuzione di valore, l’investimento stesso, tuttavia, prevedeva un’attesa di guadagno, come tutti i materiali promozionali di The DAO mettevano in evidenza. L’obiettivo era creare un business con scopo di lucro, ed il sistema finalizzato a finanziare progetti in cambio di un ritorno sull’investimento, che era derivante da una organizzazione di mezzi che vedeva i promotori e i curatori dell’offerta monitorare le attività, decidendo i progetti che effettivamente venivano sottoposti al voto e d’altra parte, la comunità degli investitori era numerosa e frammentata. La citata pronuncia e le considerazioni svolte dalla SEC ha fatto certamente da battistrada e hanno “condizionato” le successive pronunce degli altri regolatori internazionali.

In senso analogo, conseguentemente, infatti, si è espressa, poco dopo, la Financial Conduct Authorithy inglese, per quanto riguarda il mercato britannico, che ha altresì avvisato gli investitori degli elevati rischi connessi con la “sottoscrizione” di token digitali, e ha anche predisposto un modulo online e una pagina per segnalare eventuali truffe[19]. Con comunicazione del 29 settembre 2017, anche la FINMA svizzera ha rilevato che se i token digitali offerti presentano le caratteristiche tipiche dei valori mobiliari (ad es. sotto forma di derivati), può sussistere un obbligo di autorizzazione, aggiungendo, peraltro, che se i patrimoni raccolti nell’ambito delle ICO vengano gestiti da terzi, può trovare applicazione la disciplina in materia di gestione collettiva del risparmio. Infine, la FINMA ha segnalato che se il token costituisce un mezzo di pagamento troveranno applicazione le disposizioni in materia di antiriciclaggio. Peraltro, una posizione simile è stata assunta dalla Canadian Securities Administrators, la quale ha affermato che adotterà un approccio sostanzialistico e non formalistico nella qualificazione dei token digitali quali prodotti finanziari. Dall’altra parte del globo, la Securities and Futures Commission di Hong Kong ha ribadito che deve essere valutato caso per caso se l’ICO comporti lo svolgimento di un’attività regolamentata e, quindi, i soggetti coinvolti necessitino delle relative autorizzazioni. Invece, la Monetary Authority of Singapore, nel suo comunicato del 10 agosto 2017 si è concentrata principalmente sulla segnalazione dei rischi connessi alle ICOs e all’acquisto dei token.

Una osservazione particolare va fatta, peraltro per completezza d’analisi, anche sui modelli basici di vendita token che si sono potuti registrare, in particolare, per la loro rilevanza sulla formazione del prezzo del token.

La c.d. “uncapped auction” (Aste senza tetti massimi dichiarati) è la modalità dove viene venduto un numero illimitato di tokens a un prezzo fisso per un periodo di tempo (anche prolungato). Qualsiasi acquirente può acquistare quanti tokens desidera, senza limiti di quantità, in quanto non c’è limite neanche sull’importo massimo dichiarato da raccogliere. Tale modalità si distingue dalla “uncapped con tasso fisso” dove gli acquirenti scambiano criptovaluta o monete fiat per token ad un ratio fisso. I contribuenti iniziali possono ricevere un tasso migliore, ed il numero di token ricevuti per lo stesso importo può diminuire successivamente nel periodo di vendita. Questo modello ha un periodo specifico di contribuzione. La “capped auction” (Aste con tetto massimo dichiarato) è, invece, quella vendita dove un numero limitato e variabile di tokens sono offerti al prezzo di offerta più basso, in proporzione alla spesa totale impegnata da ciascun acquirente. Gli acquirenti indicano il prezzo desiderato e la spesa totale, con un limite sull’importo massimo da raccogliere.

Le altre modalità che si sono affermate sono la “dutch auction”, asta olandese dove l’asta parte da un prezzo fissato, sufficientemente alto a dissuadere tutti gli offerenti, e viene progressivamente ridotto. Le offerte più alte sono accettate fino a quando la somma delle quantità desiderate è sufficiente per vendere tutti i token offerti. Dopo che l’ultima offerta è stata accettata, tutti gli offerenti con un’offerta accettata, ottengono il prezzo dell’ultima offerta per ciascun token. Questo metodo viene spesso utilizzato quando si desidera una vendita rapida. Ma l’asta olandese può essere inversa se l’elemento significativo è il tempo di vendita impiegato per raggiungere il sold out dei token. Si utilizza difatti per incoraggiare gli investitori a esitare e impiegare più tempo nell’acquisto di token. Viene definita come una vendita limitata. Se la vendita termina il primo giorno, solo gli X% dei token totali vengono distribuiti tra gli acquirenti. Se termina il secondo giorno, X + Y% del totale dei token viene distribuito tra gli acquirenti e così via. La raccolta e restituzione (collect and return) prevede, invece, che l’importo totale del contributo è fisso, ma lo smart contract è aperto a contributi che possono superare l’importo fisso. Al momento della finalizzazione, i contributi vengono adeguati in base al rapporto e la differenza dei contributi viene restituita ai legittimi proprietari. Questa struttura garantisce che tutti possano partecipare in una certa misura. Tuttavia, se la vendita è in eccesso, gli acquirenti riceveranno un numero inferiore di token rispetto a quello che desiderano acquistare e un rimborso parziale del pagamento.

Un sistema misto dei metodi sopra descritti con una serie di mini caps (tetti massimi) — hard cap e hidden cap -, impostati a intervalli di blocco specifici èla modalitàc.d “dynamic ceiling”; questo metodo limita la quantitàmassima che può essere depositata per ogni dato massimale, il che significa che i maggiori contributori dovrebbero suddividere le loro transazioni in transazioni molto più piccole, incorrendo in tal modo a più costi per transazione. Se una transazione supera il limite, viene rifiutata. Infine, in base alla tipologia di “cap”, si trovare altre varie sfumature che tuttavia non apportano elementi sostanziali di variazione rispetto agli schemi principali riportati[20].

4. Il caso italiano

In Italia la CONSOB ha prodotto un documento che “si pone l’obiettivo di avviare un dibattito a livello nazionale sul tema delle offerte iniziali e degli scambi di cripto-attività, come di seguito illustrato in maggiore dettaglio, in connessione con la recente diffusione di operazioni cosiddette di initial coin offerings (ICOs) e, quindi, di crypto-asset nei quali investono i risparmiatori italiani”. Il documento del 19 marzo 2019, prevede una pubblica consultazione con le categorie di soggetti potenzialmente interessati, quali i risparmiatori, i soggetti che emettono crypto-asset (cripto-attività), soggetti che intendano promuovere offerte di cripto-attività che abbiano come target market i risparmiatori italiani o che abbiano comunque lo scopo di promuovere prodotti/servizi collegati alle cripto-attività, soggetti che negoziano criptoattività, soggetti che custodiscono cripto-attività, intermediari finanziari professionali, gestori di sedi di negoziazione, gestori di portali di crowdfunding, associazioni di categoria del settore finanziario, autorità, consumatori e associazioni di categoria degli stessi, studi professionali, esponenti del mondo accademico. Le osservazioni al presente documento dovranno pervenire on-line all’autorità vigilante entro il 5 giugno 2019, per il tramite del SIPE – Sistema Integrato per l’Esterno.

Tuttavia, fatte salve le precisazioni che potranno pervenire al termine della consultazione sul documento, possiamo già da ora delineare dei capisaldi della disciplina.

L’applicabilità delle disposizioni di vigilanza previste dal TUF[21] alle ICOs e l’obbligo di pubblicare un “prospetto” dovrà essere valutata caso per caso e la verifica non potrà che riguardare: la qualificazione (o meno) dei token digitali quali “prodotti finanziari” ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. u), del TUF, categoria che include sia le figure tipizzate degli “strumenti finanziari” sia “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”; l’esistenza di una comunicazione volta a far acquistare o sottoscrivere detti prodotti finanziari e contenente, di conseguenza, quantomeno, la rappresentazione delle principali caratteristiche degli stessi; la condizione che l’offerta sia pubblica e rivolta ad investitori residenti in Italia. Se l’offerta presenta tutte e tre le predetti caratteristiche, la ICO dovrà essere trattata alla stregua di un’offerta al pubblico di prodotti finanziari, come definita dalla lett. t), comma primo, art. 1 del TUF, con conseguente obbligo di pubblicare un prospetto informativo[22]. E’ evidente, ciò sottolieato, che in molti casi la qualificazione dei token quali “prodotti finanziari” dipenderà la possibilità di inquadrare gli stessi nella categoria residuale degli “investimenti di natura finanziaria”, ovvero, presenti la compresenza dei seguenti elementi: impiego di capitale, aspettativa di rendimento di natura finanziaria e assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale. Evidentemente, la qualificazione di una ICO come “offerta al pubblico di prodotti finanziari” determina, altresì, l’applicazione ai token delle disposizioni in materia di “servizi e attività di investimento”, delle disposizioni sulla “gestione collettiva del risparmio” (nel caso di gestione a monte delle risorse raccolte da parte di terzi), nonché l’obbligo di autorizzazione per le piattaforme di negoziazione dedicate alla criptovalute.

Inoltre, il fenomeno delle ICO ha una prevalente caratteristica di essere assai spesso transnazionale. In effetti, le offerte di token avvengono tramite internet, e si rivolgono a tali utenti, per cui ben possono, ad esempio, coinvolgere soggetti residenti in paesi diversi da quello in cui ha la sede legale la società offerente; peraltro, ben può essere che i paesi (come di normalmente accade) abbiano regimi di qualificazione dell’offerta pubblica dei token differenti e ciò che per uno stato è offerta di strumenti finanziari per l’altro è un tokien utility. Peraltro, in tali situazioni, la lingua d’offerta non potrebbe essere una discriminante, come è palese nel caso di una svizzera società con sede nel cantone italiano.

Per completezza di analisi si deve, tuttavia, evidenziare che la questione delle offerte dei token digitali, è stata affrontata dai principali commentatori e, direi conseguentemente dal regolatore, principalmente con riferimento alla necessità o meno di introdurre limitazioni alla diffusione del fenomeno, per evitarne le applicazioni, spesso distorte, con riguardo alle Initial Coin Offering (ICO) e, in generale, all’emissione di criptovalute (Bitcoin tra le più famose). In particolare, come visto, ci si è concentrati sulla circostanza che le c.d. ICO siano riconducibili o meno nell’ambito della disciplina del prospetto e, conseguentemente, se e come tutelare gli investitori con una appropriata disclosure (spesso carente o addirittura assente nei c.d. White Paper associati alle ICO), se non addirittura per bloccarne la diffusione per prevenire fenomeni fraudolenti. In coerenza, la analisi che è possibile tuttora leggere si astraggono fino a definire alcuni concetti utili per poter individuare la natura dei token associati ad una ICO.

5. Conclusioni

L’analisi fatta è senz’altro frammentaria, anche per la novità della disciplina che è ancora in divenire.

Di tutta evidenza, infatti, si pongono questioni altrettanto importanti – tanto per fare una elencazione non esaustiva – con riferimento ad ulteriori argomenti connessi alle ICO’s, come quelli in tema di validità dell’emissione e del trasferimento degli strumenti, alla luce della disciplina civilistica applicabile, ovvero, di quella propria del TUF, per quanto attiene la gestione accentrata degli strumenti finanziari.

Inoltre, si pone la questione, solo di sfuggita segnalata, della legge applicabile all’emissione ma anche ed a maggior ragione, al trasferimento (sotto un profilo di diritto internazionale privato) tenuto in debito conto dell’”immaterialità” degli strumenti emessi tramite blockchain, nonché della conseguente necessità di individuare dei criteri di collegamento corretti. Da ultimo, andrebbe, con maggiore attenzione, anche scandagliata le disciplina sulla protezione dei dati personali, ovvero, di proprietà intellettuale soprattutto con riferimento alla disciplina relativa alla formazione, alla validità ed efficacia degli smart contracts/smart bonds sopra citati.

Evidentemente tutti aspetti che, tuttavia, rischiano di allontanare troppo dal cuore della trattazione prefissata, che ha l’obiettivo di fornire uno sguardo sulle modalità verso sui il mono della raccolta di mezzi freschi si sta indirizzando. Ma, in effetti, sappiamo bene che la blockchain, essendo una tecnologia in astratto applicabile a qualunque operazione che richieda la documentazione certa ed immutabile dei passaggi di titolarità di beni, è un fenomeno di ben più ampio respiro rispetto a quello delle sole emissione di token, magari legati a criptovalute.

Tuttavia, la citata esperienza delle criptovalute e delle ICO’s dovrebbe aver avuto comunque il merito di aver raggiunto l’obiettivo di averne fatto conoscere le potenzialità del sistema blockchain.



[1] Possiamo riconoscere diversi tipi di start up: newco che significa nuova azienda (dalle prime lettere di new company in inglese) e la cui esistenza risulta dalla suddivisione delle operazioni di un’azienda madre che sta attraversando un momento difficile. Nella newco vengono raggruppate tutte le operazioni ancora redditizie e l’azienda viene costituita come indipendente da quella madre. pin-off nel caso in cui un ramo aziendale venga strategicamente trasformato in un’azienda a sè stante. La proprietà di questi tipi di start up a volte rimane all’azienda madre mentre altre volte viene venduta ad altri investitori per accumulare finanze da investire in altri progetti. Una start up spin-off si sviluppa in modo indipendente dall’azienda madre e può con lo sviluppo e il passare del tempo anche diventare una concorrente dell’azienda da cui è stata creata. Un discorso a parte merita la start up innovativa che ha delle caratteristiche ben precise e può godere di parecchi vantaggi e agevolazioni.

[2] In buona sostanza, si stabilisce il livello di vendite atteso, si descrivono gli eventi che potrebbero assicurare il pieno raggiungimento del volume di vendite ipotizzato e si individuano le minacce che potrebbero inficiare le previsioni.

[3] Per la redditività del capitale investito e del capitale proprio, si utilizzano due indicatori: ROI (return on investiment) e il ROE (return on equity). La redditività del capitale investito indica la capacità del progetto imprenditoriale di remunerare il capitale investito. Si calcola dividendo il reddito operativo (utile lordo) per il capitale investito. La redditività del capitale proprio impegnato nell’attività si calcola dividendo l’utile netto per il capitale proprio.

[4] L’abbreviazione PMI (o SME in inglese) è diffusa soprattutto nell’Unione europea e nelle organizzazioni internazionali, quali la Banca Mondiale, le Nazioni Unite ed il WTO. In altri paesi è usata l’abbreviazione SMB, “Small or Medium sized Business”. Ciascuno stato membro dell’UE ha tradizionalmente utilizzato una propria definizione di PMI. Per esempio, in Italia, il limite era 250 impiegati che salivano a 500 in Germania e scendevano a 100 in Belgio. Oggi, invece, l’Unione europea ha uniformato il concetto di PMI

[5] Tale limite può essere tuttavia superato: se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale. In caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali; se le obbligazioni emesse sono garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi; se l’emissione di obbligazioni è effettuata da società le cui azioni siano quotate in mercati regolamentati, o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni; quando ricorrono particolari ragioni che interessano l’economia nazionale e la società è autorizzata, con provvedimento dell’autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore, con l’osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso.

[6] Ai sensi dell’ultimo periodo dell’art. 2 della Delibera CICR del 19.07.2005 n. 1058 «non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata […] sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento»

[7] Per inciso, tecnicamente non si tratta di un mercato regolamentato ai sensi della Direttiva MIFID, ma appunto di un ‘sistema di scambi organizzato’ (multilateral trading facility) attivo con una piattaforma di negoziazione elettronica, con procedure di settlement automatiche, e comunque eleggibile per tutte le operazioni finanziarie bancarie verso la Banca Centrale Europea. In tal modo si offre alle imprese e agli investitori la possibilità di cogliere ulteriori opportunità in un mercato secondario. ExtraMOT PRO è aperto alle emissioni di società di capitali, cooperative, assicurazioni, enti pubblici e loro controllate; ad esse viene data la possibilità di comunicare periodicamente con gli investitori, in modo trasparente e standardizzato.

[8] L’emittente piccola impresa, ovvero, con meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o uno stato patrimoniale annuo inferiore a 10 milioni di euro ovvero, media impresa, con meno di 250 dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un totale attivo dello stato patrimoniale inferiore a 43 milioni di euro deve: aver pubblicato gli ultimi due bilanci di cui l’ultimo certificato da una società di revisione; non essere banca o micro imprese, cioè imprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato annuo o bilancio inferiore a 2 milioni di euro. Inoltre, essa si considera appetibile per il mercato se ha un fatturato non inferiore a 5 milioni di euro e in crescita negli ultimi tre anni; un management serio e di comprovata esperienza; un margine operativo lordo (EBITDA) almeno pari al 10% del fatturato; un rapporto posizione finanziaria netta (PFN) e EBITDA inferiore a 4; un rating pubblico (investment grade) emesso da una società di rating.

[9] Ovvero a banche, imprese di investimento, SGR, società di gestione armonizzate, SICAV, intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del T.U. bancario e le banche autorizzate all’esercizio dei servizi di investimento anche aventi sede legale in uno Stato extracomunitario, purché autorizzate alla prestazione di servizi nel territorio della Repubblica.

[10] Si veda “Report Crowdfunding 2018” in https://www.crowdfundingreport.it/#report-2018

[11] Vedi “Report ICORating”, 2018- https://icorating.com.

[12] Il White Paper o “libro bianco” è un documento che serve all’azienda per presentare nel dettaglio la soluzione ad un problema, i vantaggi di un prodotto o servizio offerti, l’analisi di un segmento di mercato oppure una tecnologia del tutto innovativa. Solitamente la sua lunghezza può variare dalle 10 alle 30 pagine. Sostanzialmente è un documento che, assieme al “case study”, rappresenta una parte importantissima della documentazione pubblicitaria. È essenziale all’interno di una campagna di marketing.

[13] Vedi il caso “the DAO”.

[14] Si veda il documento “Conceptual Framework fo Legal & Risk Assesment of Blockchain Crypto Property”: www.mme.ch/fileadmin/files/documents/Publikationen/170927_Magazinbeitrag_BCP_Genesis_Version.pdf

[15] Il SAFT è un contratto di investimento. Una transazione SAFT prevede una vendita iniziale di SAFT da parte degli sviluppatori ad investitori accreditati. Il SAFT obbliga gli investitori a finanziare immediatamente gli sviluppatori. In cambio, gli sviluppatori utilizzano i fondi per sviluppare una rete realmente funzionale, con token di utilità genuinamente funzionali, e quindi consegnare quei token agli investitori una volta funzionali. Gli investitori possono quindi rivendere i token al pubblico, presumibilmente per un profitto, e così anche gli sviluppatori. Il SAFT richiede il rispetto delle leggi sui titoli.

[16] Il modello contrattuale reso celebre dal famoso acceleratore statunitense Y-Combinator.

[17] A oggi, diversi enti regolatori esteri si sono espressi sulle ICOs: il 25 luglio 2017, la US Security Exchange Commission ha emanato la nota n. 81207 nella quale ha affermato che i token emessi con le ICO, in taluni casi, possono essere prodotti finanziari e che, dunque, devono sottostare alla relativa normativa; il 24 agosto 2017, la Canadian Securities Administration ha diffuso una informativa affermando che diverse potenziali ICO da loro esaminate in via preventiva costituivano prodotti finanziari; il 4 settembre 2017, la Bank of Cina ha dichiarato illegali le ICO con obbligo, in capo agli enti emittenti, di restituzione dei fondi agli investitori; il 5 settembre 2017, la Securities and Futures Commission (Hong Kong) ha affermato che, in base alle circostanze del caso, i token emessi in una ICO possono essere prodotti finanziari. Il 12 settembre 2017, la FCA (Regno Unito) evidenziato che le ICO come emissione di prodotti finanziari va valutata caso per caso; il 29 settembre 2017 la FINMA (Svizzera) ha emanato apposite linee guida per le ICO affermando che, in taluni casi, i token possono essere equiparati a prodotti finanziari, ferma restando la possibile applicazione della normativa antiriciclaggio in caso di criptovaluta e della necessità di ottenere una licenza bancaria; il 8 ottobre 2017, la Financial Services Regulatory Authority (Abu Dhabi) ha emanato un regolamento per chi intende effettuare ICO, specificando che non tutte le ICO comportano l’emissione di prodotti finanziari; il 26 ottobre 2017: la Autorité del Marchés Financiers (Francia) ha aperto una consultazione pubblica inerente la possibile regolamentazione delle ICO; Il 14 novembre 2017: La Monetary Authority di Singapore ha emanato una guida dettagliata, quasi una regolamentazione, che esprime i criteri in presenza dei quali le ICO costituiscono emissione di prodotti finanziari; il 6 dicembre 2017, la FSC (Corea del Sud), dopo aver dichiarato il 29 settembre 2017 che le ICO sono vietate, ha dichiarato che una specifica normativa è in fase di studio. Da segnalare, per altro, a livello europeo l’ advice dell’ESMA (www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/esma50-157-1391_crypto_advice.pdf) per la Commissione europea riguardante in particolare le problematiche di applicazione della disciplina sui servizi di investimento per i token qualificabili come strumenti finanziari e, la consultazione pubblica avviata il 23 gennaio 2019, FCA ha avviato una consultazione pubblica (consultazione che si è conclusa il 5 aprile) sulla Guidance on Crytpoassets (www.fca.org.uk/publications/ consultation-papers) con l’obiettivo di chiarire agli operatori di mercato in quale regolamentazione ricadono le diverse tipologie di crypto-asset. Il 4 luglio 2018 il Parlamento maltese ha approvato la nuova legge “AN ACT to regulate the field of Initial Virtual Financial Asset Offerings and Virtual Financial Assets and to make provision for matters ancillary or incidental thereto or connected therewith” www.justiceservices.gov.mt/DownloadDocument.aspx?app=lp&itemid=29079&l=1. Da ultimo, il 19 marzo 2019 la Consob ha pubblicato un documento titolato: “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività: documento per la Discussione” posto in consultazione, che si chiude il 6 giugno p.v.

[18] In effetti assistiamo (era il 18 giugno 2016) alla violazione dell’indirizzo in cui erano allocati gli Eterium ricevuti dall’organizzazione, con una perdita che è stata quantificata in circa 70 milioni di dollari. La vicenda portò ad una scissione della Blockchain Ethereum ed alla creazione di due nuove blockchain (oggi suddivise in Ethereum classic (quella più antica) ed Ehthereum).

[19] Nel dettaglio, nell’aprile 2017, ha avviato una raccolta di opinioni da parte degli stakeholder interessati, allo sviluppo futuro e sull’integrazione del mercato delle DLT (Discussion Paper on Distributed Ledger Technology di FCA, aprile 2017) ed ha pubblicato il suo feedback nel dicembre 2017, sottolineando il suo approccio “tecnologico neutro” alla regolamentazione. Peraltro, nel marzo 2018, è stata avviata una Taskforce composta dal Ministero delle Finanze (HM Treasury), dalla Financial Conduct Authority (FCA) e dalla Bank of England, per monitorare gli sviluppi nel settore dei criptoassets.

[20] Infine, in base alla tipologia di cap, abbiamo, le soft caps, dove viene impostato un limite, e dopo esser raggiunto, viene applicato un periodo di chiusura prolungato fino alla chiusura completa della vendita, o un hard cap, e quindi, invece di avere un periodo di tempo prima della chiusura, se l’importo del contributo soddisfa o supera il limite massimo, la vendita di token termina.

[21] Decreto Legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 ovvero, Testo Unico della Finanza (TUF, in breve).

[22] Vedi il caso dell’Ico di Togacoin, società di diritto inglese è finalizzata al finanziamento di un data center localizzato a Tenerife per il mining di criptovalute, ma anche ad attività di hosting e rivendita di energia elettrica per ridurne il rischio, considerata come un’ offerta finanziaria abusiva e sospesa con la delibera 20660 del 31 ottobre 2018 «in via cautelare, per il periodo di novanta giorni, l’attività di offerta al pubblico residente in Italia». In tal caso l’analisi della Consob, diversamente da quella dell’Agenzia delle Entrate nell’interpello 14/2018, punta sulle caratteristiche del token che, in questo caso, è stato assimilato ad uno strumento finanziario di cui alla lettera c) dell’art. 67 del TUIF.

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