1. Premessa
Nel settore immobiliare italiano, è problematica nota, anche alla luce dei recenti eventi che hanno colpito il nostro Paese, quella dell’abusivismo edilizio.
Secondo i dati Istat dell’ultimo rapporto BES (benessere equo e sostenibile), il 19,7% del patrimonio immobiliare presente sul territorio italiano risulta abusivo. In particolare, nel 2015, il 47,3% del patrimonio edilizio del Sud è stato edificato commettendo illeciti; nelle regioni del Centro la percentuale è del 18,9% e al Nord del 6,7%.
Altro dato rilevante è che su 71.000 ordinanze di demolizione emesse dalle Amministrazioni comunali, soltanto il 20% delle stesse sono state effettivamente poste in esecuzione.
Lo scopo del presente approfondimento, pertanto, è quello di individuare la normativa applicabile e l’impatto che la stessa assume in sede di vendita forzata, sia essa stessa esecutiva o concorsuale, al fine di evitare che gli abusi edilizi possano risultare elemento di pregiudizio alle ragioni dei creditori.
È inevitabile, chiaramente, che il focus in questione coinvolga le funzioni di tutti i diversi soggetti che governano la procedura di vendita forzata: creditore, debitore, Giudice, c.t.u., professionista delegato alle operazioni di vendita e aggiudicatario.
2. Normativa applicabile e giurisprudenza formatasi in argomento
2.1 Nel mercato c.d. libero
Nel nostro ordinamento, sin dal 1942, sono state emanate norme dirette a contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio attraverso l’introduzione di sanzioni di natura penale e amministrativa, accompagnate dalla comminatoria di nullità – sul piano civilistico – degli accordi tra privati aventi ad oggetto immobili non conformi alle prescrizioni urbanistiche.
L’attuale quadro normativo è delineato dalla L. 47/1985 (c.d. Legge sul primo condono edilizio), che si applica agli immobili costruiti in data antecedente al 17 marzo 1985, e dal D.P.R. 380/2001 (c.d. Testo Unico sull’Edilizia), che si applica invece agli immobili costruiti successivamente a tale data.
In forza di tali disposizioni, gli atti di trasferimento aventi ad oggetto fabbricati devono contenere, a pena di nullità, le c.d. menzioni urbanistiche, ossia: la dichiarazione dell’alienante che l’immobile è stato costruito anteriormente all’1 settembre 1967, ovvero, se l’immobile sia stato realizzato successivamente a tale data, l’indicazione degli estremi del permesso di costruire (licenza, concessione ad edificare, denuncia inizio attività/segnalazione certificata inizio attività, c.d. “SCIA”) o del permesso in sanatoria. Nelle ipotesi in cui manchi il permesso in sanatoria ma la domanda ai fini della sanatoria sia stata già presentata, l’atto dovrà contenere la menzione degli estremi della domanda, nonché degli estremi dell’avvenuto versamento dell’intera somma dovuta a titolo di oblazione e di contributo concessorio.
Per quanto riguarda invece gli atti di trasferimento aventi ad oggetto i terreni, gli stessi devono, ancora a pena di nullità, essere corredati del certificato di destinazione urbanistica.
Da quanto sopra, quindi, discende che l’omessa indicazione delle menzioni urbanistiche negli atti di trasferimento di edifici o la mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica agli atti di trasferimento dei terreni comportano la nullità dell’atto di trasferimento medesimo e l’incommerciabilità giuridica dell’immobile.
2.2 Nel settore delle vendite forzate
Le disposizioni precedentemente esaminate non trovano applicazione nei casi di vendita forzata, sia in sede di esecuzione immobiliare individuale che in sede concorsuale.
In tale ipotesi, infatti, sono state introdotte norme ad hoc volte a contemperare l’interesse pubblico ad avere un “patrimonio immobiliare lecito” con l’interesse del creditore ad agire esecutivamente sui beni colpiti da abusi edilizi.
In primo luogo, l’art. 40, comma 5, della Legge sul primo condono edilizio prevede espressamente la deroga al principio della nullità dell’atto di trasferimento privo delle menzioni urbanistiche, così disponendo: “le nullità di cui al secondo comma del presente articolo non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari o concorsuali nonché a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa”.
L’art. 46 del TUE al comma 5 conferma la deroga in commento ed al comma 5 bis la estende anche ai casi in cui siano stati realizzati interventi mediante SCIA ai sensi dell’art. 23, comma 1, dello stesso TUE.
Accanto a tali eccezioni, il legislatore ha poi previsto un ulteriore strumento per favorire la vendita in sede esecutiva di immobili colpiti da abusivismo.
L’art. 40 – comma 6 – della Legge sul primo condono edilizio dispone infatti che “nell’ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilitàdi cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro 120 giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge”.
Al contempo, l’art. 46, comma 5, del TUE (ovvero 5 bis per gli interventi realizzati mediante SCIA ai sensi dell’art. 23, comma 01, del TUE) prevede che “l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria”.
Come emerge dalle norme appena citate, il legislatore, con il precipuo scopo di tutelare la posizione del creditore, allorquando il trasferimento avvenga in sede di vendita forzata da un lato ha introdotto la deroga al principio generale di nullità degli atti di trasferimento di immobili privi delle menzioni urbanistiche e, dall’altro, ha previsto per gli eventuali aggiudicatari una vera e propria rimessione in termini per procedere con la sanatoria dell’abuso.
È chiaro che, affinché possa trovare applicazione l’istituto della rimessione in termini, è necessario che l’immobile sia colpito da un abuso sanabile.
2.3 La vendita forzata di immobili colpiti da abusi insanabili
Gli immobili gravati da “abusi insanabili”, infatti, possono essere posti in vendita in sede esecutiva e/o concorsuale nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano. In tal caso, tuttavia, l’aggiudicatario sarà tenuto a farsi carico della demolizione e del ripristino dell’abuso ma, non essendo il soggetto responsabile dell’abuso, non sarà passibile di alcuna sanzione pecuniaria.
La disciplina eccezionale che rende suscettibile di vendita in sede di esecuzione forzata i beni abusivi (ex lege ordinariamente incommerciabili) ha la finalità di evitare che eventuali procedure esecutive restino paralizzate dall’inerzia dell’amministrazione che, ad esempio, ometta o ritardi nel pronunciarsi su una istanza di sanatoria ovvero che, pur a fronte dell’inottemperanza ad ordini di demolizione, non ne tragga le doverose conseguenze di legge.
La disciplina del procedimento esecutivo, tuttavia, non muta la natura sostanzialmente abusiva dell’immobile, né modifica i presupposti di una sua eventuale sanatoria. Ne consegue che, se l’immobile non è sanabile, tale resta anche per l’acquirente in sede esecutiva.
In questa sede, però, appare utile esaminare i poteri spettanti al debitore esecutato nel caso in cui gli immobili oggetto d’esecuzione immobiliare siano colpiti da un ordine di demolizione.
Per procedere a tale disamina, risulta preliminarmente necessario porre l’attenzione sugli effetti dell’atto di pignoramento. A differenza di quanto avviene in caso di fallimento (in cui il fallito è interamente spossessato del suo patrimonio) o in caso di sequestri disposti dal giudice penale che perseguono esigenze pubblicistiche, il pignoramento è disposto nell’interesse privato dei creditori ed ha l’unico effetto di far prevalere costoro rispetto ad eventuali ulteriori aventi causa inducendo, in favore dei creditori stessi, l’inefficacia relativa dei successivi atti di disposizione.
La trascrizione dell’atto di pignoramento, dunque, rende inopponibili i successivi atti dispositivi eventualmente posti in essere dal debitore.
Sulla base di tali premesse, quindi, occorre stabilire se l’ottemperanza all’ordine di demolizione sia da considerarsi atto dispositivo e, pertanto, non opponibile alla procedura esecutiva immobiliare.
Secondo la recente giurisprudenza amministrativa, tuttavia, “la doverosa esecuzione di un ordine di demolizione (che non ha alcunché di volontario, trattandosi di adempimento ad un ordine esecutivo dell’autorità) non è annoverabile tra gli atti di disposizione (che, per definizione, implicano una più o meno remota origine volontaria della disposizione)”. E prosegue:“d’altro canto, che l’inottemperanza all’ordine di demolizione non subisca i limiti di “opponibilità” indotti dal pignoramento è coerente con il meccanismo di acquisto che a tale inottemperanza consegue (acquisto a titolo originario, art. 31 d.p.r. n. 380/01), per definizione estraneo ai criteri di opponibilità dettati dalla trascrizione, che caratterizzano invece tanto il pignoramento che gli acquisti a titolo derivativo ai quali il primo deve restare insensibile” (T.A.R. Piemonte, sez. II, 27.06.2018, n. 791) .
Escluso dunque che l’ottemperanza ad un ordine di demolizione sia annoverabile tra gli atti di disposizione, essa risulta piuttosto ascrivibile agli atti di diligente conservazione del bene, tipici del custode.
Il debitore-custode ha l’onere, da un lato, previe eventuali necessarie autorizzazioni, di coltivare ipotesi plausibili di sanatoria e, in subordine, di ottemperare all’eventuale ordine di demolizione che “libera” la procedura di un bene definitivamente privo di valore economico, ancorché suscettibile di esecuzione forzata.
Da quanto esposto, risulta quindi evidente la criticità connessa all’acquisto in sede esecutiva di un immobile colpito da abusi insanabili.
2.4 La vendita forzata di immobili colpiti da abusi sanabili
Con riguardo agli “abusi sanabili”, invece, come già precedentemente accennato, è prevista la possibilità per gli aggiudicatari di procedere con la sanatoria nel termine di 120 giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile.
In tal caso, tuttavia, è prevista una diversa disciplina a seconda dell’anno di costruzione dell’immobile:
- per gli immobili costruiti ante 17 marzo 1985, trova applicazione la c.d. sanatoria straordinaria (il condono edilizio regolato da leggi speciali) in presenza delle seguenti condizioni: 1) ragioni creditorie per cui si procede o interviene anteriori al 2 ottobre 2003; 2) la data di realizzazione dell’abuso è precedente al 31 marzo 2003; 3) la tipologia dell’abuso rientra tri tra i casi di sanatoria descritti dalla Legge sul primo condono edilizio
- per gli immobili costruiti successivamente alla data del 17 marzo 1985, trova applicazione la c.d. sanatoria ordinaria, ossia quella prevista dall’art. 36 (qualora l’intervento abusivamente realizzato fosse soggetto a permesso di costruire o SCIA alternativa al permesso di costruire) e 37 del TUE (qualora l’intervento abusivamente realizzato fosse soggetto a DIA/SCIA), ai sensi dei quali gli interventi edilizi abusivi sono sanabili a condizione che gli stessi siano conformi sia agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti al momento di realizzazione degli interventi, sia agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti al momento in cui viene presentata la domanda di sanatoria
La giurisprudenza – prettamente amministrativa – ha posto la propria attenzione sulla questione relativa alla perentorietà, o meno, della decorrenza del termine per la presentazione della domanda di condono, pervenendo alla conclusione che l’art. 40, comma 6 della L. 47/1985 ha fissato “un termine perentorio ai fini della presentazione dell’istanza di sanatoria per opere abusive relative a immobili assoggettati a procedure esecutive che però deve razionalmente raccordarsi all’ipotesi in cui sia immediatamente e inequivocamente percepibile l’esistenza dell’illecito edilizio” (Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2013, n. 5598).
Ulteriore corollario della pronuncia in commento è che il termine inizia a decorrere non dall’emissione del decreto di trasferimento ma soltanto dal momento in cui l’illecito edilizio possa considerarsi “inequivocamente percepibile” dall’aggiudicatario.
Sul punto, una recente sentenza del T.A.R. Lombardia ha avuto modo di specificare che la percepibilità dell’abuso deve ritenersi configurata allorquando vi sia la materiale disponibilità dell’immobile e, quindi, il possesso effettivo dello stesso (T.A.R. Lombardia, sez. II, 10.05.2018, n. 1248).
Appare evidente, quindi, come nell’ipotesi in esame, sia presente nel nostro ordinamento una disciplina volta a favorire il trasferimento di beni immobili colpiti da abusi sanabili.
3. Funzioni dei soggetti coinvolti nella procedura esecutiva immobiliare
3.1 Il C.T.U.
Alla luce delle complesse e diverse situazioni edilizie che possono riscontrarsi nel caso concreto, risulta evidente l’importanza che assume il perito nominato dal Giudice dell’Esecuzione e/o Fallimentare.
Sulla materia è recentemente intervenuto il legislatore con il D.L. 83/2015, convertito con modificazioni ed integrazioni, nella Legge 132/2015, novellando l’art. 568 c.p.c. e l’art. 173 bis disp. att. c.p.c..
Il comma 1 dell’art. 568 c.p.c., recependo la prassi già in uso nei Tribunali italiani, così dispone: “agli effetti dell’espropriazione il valore dell’immobile è determinato dal giudice avuto riguardo al valore di mercato sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto nominato”.
Il comma 2 della medesima disposizione elenca una serie di criteri ai quali l’esperto dovrà far riferimento nel determinare il valore di mercato dell’immobile.
Lo stesso, in particolare, dovrà considerare il valore per metro quadro dell’immobile, specificandone la superficie commerciale, apportare in modo analitico e distinto i correttivi alla stima correlati a circostanze di fatto (come, ad esempio, lo stato d’uso e di manutenzione dell’immobile) e ad elementi giuridici (quali, a titolo esemplificativo, l’assenza di garanzia per vizi, lo stato di possesso, quanto dovuto a titolo di oneri per la regolarizzazione urbanistica).
Per quanto qui di interesse, la norma di cui all’art. 173 bis disp. att. c.p.c. viene in rilievo con riguardo ai nn. 6) e 7), ove è previsto che dalla relazione dell’esperto stimatore devono risultare:
“la verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso previa acquisizione o aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente normativa; in caso di opere abusive, il controllo della possibilità di sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e gli eventuali costi della stessa; altrimenti, la verifica sull’eventuale presentazione di istanze di condono, indicando il soggetto istante e la normativa in forza della quale l’istanza sia stata presentata, lo stato del procedimento, i costi per il conseguimento del titolo in sanatoria e le eventuali oblazioni già corrisposte o da corrispondere; in ogni altro caso, la verifica, ai fini della istanza di condono che l’aggiudicatario possa eventualmente presentare, che gli immobili pignorati si trovino nelle condizioni previste dall’articolo 40, sesto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ovvero dall’articolo 46, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, specificando il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria”.
Dalla lettura coordinata delle norme in esame discende che il perito, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, dovrà tener conto dei costi da sostenere per la sanatoria ed indicarli analiticamente all’interno della propria perizia.
In particolare, nel caso di abuso insanabile, l’esperto dovrà indicare i costi per la demolizione del manufatto ed il ripristino dello stato dei luoghi, ovvero per il pagamento di eventuali sanzioni pecuniarie ai sensi dell’art. 34 del TUE (ipotesi quest’ultima che ricorre quando l’eventuale demolizione dell’abuso potrebbe essere di pregiudizio alla parte dell’edificio realizzata a norma di legge).
Per completezza di approfondimento, appare opportuno anche porre l’attenzione sull’eventuale responsabilità in cui può incorrere l’esperto stimatore nel caso in cui ometta l’indicazione dei citati dati.
Secondo la consolidata giurisprudenza, l’esperto nominato per la stima del bene pignorato è equiparabile ad un C.T.U. e “svolge, nell’ambito della procedura, una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell’interesse generale e superiore della giustizia, con responsabilità oltre che penale e disciplinare, anche civile” – nei limiti di cui all’art. 64 c.p.c. – “la quale importa l’obbligo di risarcire il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio” (Cass., sez. III, 18.09.2015, n. 18313).
Una successiva pronuncia della Suprema Corte ha poi specificato anche i contorni della responsabilità extracontrattuale in cui incorre il perito, precisando che la stessa si integra “a condizione che si accertino l’effettiva sussistenza di dolo o colpa nello svolgimento dell’incarico, la rilevanza ai fini di una significativa alterazione della situazione reale dell’immobile destinato alla vendita e la sua incidenza causale nella determinazione del consenso degli acquirenti” (Cass., sez. III, 23.06.2016, n. 13010).
3.2 Il debitore ed i creditori
Per quanto riguarda i poteri spettanti al debitore esecutato nell’ambito di una procedura esecutiva avente ad oggetto immobili colpiti da abusi edilizi, si richiama quanto già sopra evidenziato al paragrafo 2.3 sulla funzione di custode allo stesso spettante.
Particolare, invece, può essere la funzione dei creditori ai quali, talvolta, il Giudice può demandare il compito di sanare l’abuso edilizio.
Nel caso specifico dell’abuso insanabile, il Giudice, al fine di consentire la prosecuzione della procedura esecutiva, potrebbe anche ordinare il ripristino dello stato dei luoghi con spese a carico del creditore procedente e/o ipotecario (ipotesi che ad esempio ricorre quando vi è la presenza di amianto nell’immobile).
La giurisprudenza di legittimità, in tal caso, ha attribuito a tali spese la qualifica di spesa privilegiata ex art. 2770 c.c., così pronunciandosi “le spese necessarie alla conservazione stessa dell’immobile pignorato e, cioè, le spese indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell’immobile pignorato (con esclusione, quindi, delle spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata, essendo intese ad evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese «per gli atti necessari al processo» che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 8, il giudice dell’esecuzione può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente” (Cass., sez. III, 22.06.2016, n. 12877).
Da quanto esposto, risulta evidente che, nel caso in cui i creditori non intendessero sostenere tali spese, il Giudice potrebbe dichiarare l’estinzione della procedura esecutiva immobiliare.
3.3 Il professionista delegato alle operazioni di vendita e l’aggiudicatario
Tali soggetti possono essere oggetto di trattazione unitaria in quanto vengono in rilievo nella “fase terminale” della procedura esecutiva immobiliare.
Con riguardo alle funzioni del professionista delegato alla vendita, lo stesso è tenuto a riportare all’interno dell’avviso di vendita le analisi e le risultanze della perizia estimativa redatta dall’esperto, dando rilievo alla presenza di eventuali abusi e fornendo una descrizione dettagliata degli stessi ai fini della stima dei costi di sanatoria/ripristino.
Gli errori in cui può incorrere il delegato nella redazione dell’avviso di vendita, infatti, possono diventare rilevanti se si traducono in un vizio della procedura esecutiva che potrebbe sfociare in un’opposizione agli atti esecutivi avanzata dall’eventuale aggiudicatario.
È però opportuno differenziare il caso in cui l’errore – del delegato ovvero, a monte, dell’esperto estimatore – riguardi un abuso sanabile o insanabile.
Nel primo caso, infatti, l’aggiudicatario, fin quando la procedura esecutiva non è definita, può ricorrere al Giudice dell’Esecuzione chiedendo che sia riconvocato il perito per i necessari chiarimenti. In ogni caso, lo stesso, in applicazione della normativa sopra richiamata, potrà comunque depositare domanda in sanatoria nel termine di 120 giorni dall’aggiudicazione.
Nel secondo caso, che ricorre quando l’omessa informativa abbia ad oggetto un abuso insanabile, sembra consolidato l’orientamento secondo il quale l’aggiudicatario possa valersi delle tutele offerte dall’aliud pro alio, sia pure entro i limiti di una più rigorosa definizione ontologica e circoscrivendone le possibili azioni, la cui esperibilità si consuma però entro i confini della procedura esecutiva.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, si può parlare di aliud pro alio “quando il bene aggiudicato appartenga ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita, ovvero manchi delle qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che, preso in considerazione dalla succitata ordinanza, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto” (Cass., sez. VI, 12.07.2016, n. 14165).
Nella casistica dell’aliud pro alio, a titolo esemplificativo, sono state ricomprese le ipotesi di vendite forzate di terreni con erronea indicazione della destinazione urbanistica e di immobili abusivamente edificati non sanabili la cui condizione edilizia non sia stata menzionata nell’avviso di vendita.
In tali casi, il rimedio esperibile per l’aggiudicatario è costituito esclusivamente dall’opposizione agli atti esecutivi avverso il decreto di trasferimento da proporre “nel termine di 20 giorni decorrente dal decreto ovvero dal momento in cui si è acquisita conoscenza o conoscibilità del vizio o della difformità del bene, gravando sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare tale momento” (Cass., sez. VI, 11.05.2017, n. 11729).
In ogni caso, si ritiene che l’eventuale opposizione possa essere promossa dall’aggiudicatario nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, momento che coincide con la definitiva approvazione del progetto di distribuzione (Cass., sez. III, 02.04.2014, n. 7708).
Con la medesima sentenza appena citata, inoltre, la Suprema Corte ha precisato che, in considerazione della natura della vendita forzata come trasferimento coattivo che si compie nell’ambito di un procedimento giurisdizionale, resta espressamente esclusa la possibilità di proporre in via autonoma (con separato giudizio, al di fuori della procedura espropriativa) le azioni previste dal diritto sostanziale a tutela dell’acquirente in forza di vendita negoziale, e segnatamente tutte le impugnative negoziali (Cass., sez. III, 02.04.2014, n. 7708).
4. Conclusioni
Alla luce di quanto esposto, la disciplina attualmente in vigore, così come modellata dalla giurisprudenza formatasi nel corso del tempo, può ritenersi idonea ad evitare che gli immobili colpiti da abusi edilizi siano sottratti alla garanzia dei creditori, in ossequio al generale principio stabilito dall’art. 2740 c.c..
Tuttavia, un intervento del legislatore potrebbe essere accolto favorevolmente soprattutto in quei casi in cui l’abuso edilizio sia insanabile e di epoca successiva rispetto alla costituzione della garanzia ipotecaria del creditore.
Spesso, infatti, si verifica la pendenza di procedure esecutive aventi ad oggetto immobili colpiti da abusi insanabili che rendono anti-economica la prosecuzione dell’esecuzione immobiliare stessa e sviliscono la garanzia ipotecaria del creditore (il più delle volte di una Banca che ha erogato un mutuo a garanzia del quale è stata iscritta ipoteca), con inevitabili conseguenze anche sotto il profilo dell’economia generale.
Potrebbe essere opportuno, quindi, al fine di rafforzare ulteriormente la tutela del creditore, un intervento legislativo volto ad armonizzare maggiormente la normativa amministrativa e processuale civile, attribuendo da un lato maggiori poteri al Giudice dell’esecuzione e/o fallimentare e, dall’altro, introducendo norme volte a rendere più appetibili gli immobili colpiti da abusi insanabili.